12 Anni Schiavo
2013
Vota questo film
Media: 3.50 / 5
(2 voti)
Regista
Affrontare un tema delicato come lo schiavismo in un periodo di forti tensioni razziali può sembrare un azzardo o peggio una mera operazione commerciale. E infatti, nel panorama cinematografico contemporaneo, il rischio di cadere in una retorica consolatoria o in una spettacolarizzazione sensazionalistica è sempre in agguato, soprattutto quando si tocca una ferita storica così profonda e ancora pulsante nel dibattito civile. Ma Steve McQueen, regista da sempre impegnato in un cinema sociale dai forti contenuti di denuncia – si pensi alla claustrofobia di "Hunger" o alla disperata ricerca di contatto in "Shame" – risolve il nodo narrativo con forza epica ed estro registico campendo un grande documento storico e al contempo uno splendido capitolo di cinema. La sua non è una rappresentazione didascalica, bensì un'immersione cruda e penetrante nella materia umana del dolore, della resilienza e della barbarie.
Tratto dall’omonima autobiografia di Solomon Northup del 1853, il film narra la storia di Solomon, valente violinista di Saratoga Springs, uomo libero e colto, padre di famiglia, rapito con l’inganno da due loschi intermediari che lo convincono a seguirli a Washington per un ingaggio musicale. Un inganno tanto più crudele quanto più Solomon è lontano, per status e cultura, dalla tipica immagine dello schiavo che la storia ufficiale spesso ci ha tramandato. In realtà, dopo averlo drogato, lo spogliano di ogni avere e lo rivendono in Louisiana come schiavo. Solomon si ritroverà privato di ogni più elementare diritto, sottratto all’amore dei suoi cari e costretto a lottare ferocemente per conservare l’unico bene rimasto: la vita, e con essa, la sua dignità. La scelta di McQueen di attenersi pedissequamente al testo autobiografico non è puramente filologica; è un atto di fedeltà alla memoria storica, un tributo alla verità vissuta, che eleva il film da mera finzione a testimonianza incisiva e universale.
Il piccolo universo delle piantagioni di Edwin Epps, il signore sotto cui Solomon deve sottostare, è scandito da regole ferree a cui bisogna conformarsi rapidamente e con solerzia per non essere frustati a morte o puniti con carichi mortali di lavoro. Al centro della scena il motore di ogni cosa è il crudele negriero che giostra i suoi schiavi come carne da macello, sottoponendoli a costanti umiliazioni in nome di una presunta superiorità razziale che concedeva ai bianchi diritto di vita e di morte su altri esseri umani la cui unica colpa era quella di avere un colore della pelle diverso dai propri aguzzini. Epps, interpretato con una ferocia glaciale da Michael Fassbender (già collaboratore di McQueen), non è solo un aguzzino, ma la personificazione di un sistema marcio che corrompe l'anima, che distorce la fede religiosa per giustificare l'abominio, trasformando la depravazione in legge e l'umiliazione in spettacolo quotidiano. La sua ossessione morbosa e violenta per Patsey, la giovane schiava interpretata da una straziante Lupita Nyong'o (premiata con l'Oscar), è il culmine di questa brutalità, un ritratto dell'orrore che si annida nella banalità del male.
Solomon, immerso in quel brutale microcosmo, si adatterà ben presto alle sue leggi, ma non al suo spirito, mantenendo, seppur sotto strati di paura e sofferenza, la fiamma della sua identità di uomo libero. La sua intelligenza, la sua educazione, diventano una maledizione e al contempo un'arma segreta, un rifugio mentale dalla distruzione psicologica perpetrata dal sistema schiavista. La lotta di Solomon è prima di tutto una lotta interiore, un rifiuto ostinato di lasciarsi piegare nell'anima. E l’occasione giungerà con Samuel Bass, abolizionista canadese, interpretato da un Brad Pitt (anche produttore del film) che incarna una coscienza morale rara e preziosa, che aiuterà Solomon a recuperare il bene più prezioso: la libertà, un concetto che trascende la mera condizione fisica per abbracciare l'intera dignità umana.
Splendida la fotografia del veterano Sean Bobbitt che lascia che sia la maestosa luce degli esterni a fluere nell’inquadratura e a dettarne la tavolozza cromatica. Una luce che a volte sembra indifferente, quasi complice della violenza che illumina, altre volte si fa simbolo di speranza. L'uso di riprese ampie, quasi pittoriche, della natura lussureggiante della Louisiana crea un contrasto lancinante con la miseria e la crudeltà degli atti umani, un paradosso visivo che amplifica il dramma. Un’opera essenziale nella sua drammaticità, senza retorica né enfasi McQueen stabilisce un nuovo punto di riferimento per questo genere di cinema, evitando le trappole del melodramma per abbracciare un realismo viscerale. Il suo stile, fatto di lunghi piani sequenza e inquadrature fisse che non distolgono lo sguardo, costringe lo spettatore a confrontarsi con l'orrore, a farne esperienza quasi fisica. Chiwetel Ejiofor, nei panni di Solomon, è un prodigio di contenimento e di sofferenza muta, esprimendo con la sola forza dello sguardo l'abisso della sua prigionia e la tenacia della sua resistenza.
Una scena su tutte colpisce per la sua forza icastica, diventando emblema della poetica di McQueen: Solomon è appena stato punito da John Tibeats, il sadico guardiano degli schiavi, a essere appeso per il collo ad un albero tramite un cappio alla gola. I suoi piedi a stento toccano il terreno scongiurando la morte, e Solomon deve impegnare ogni fibra del proprio essere per cercare di sopravvivere a quell’atroce tortura. È un'immagine di una crudeltà disarmante, prolungata da un piano sequenza che sembra non finire mai, in cui la camera non si muove, non offre scampo allo sguardo. Intorno la vita della piantagione scorre placida e gli altri schiavi fingono di non notare la disperata lotta dell’uomo per non morire, per timore di subire la stessa sorte. La loro apparente indifferenza è in realtà l'espressione più cruda della paura, della sottomissione psicologica imposta, di un'umanità spezzata che ha imparato a velare lo sguardo per sopravvivere. Un verde attanagliante domina l’inquadratura e sembra trasmettere un’irreale senso di pace che contrasta violentemente con la scena, mentre in sottofondo solo il frinire di grilli e cicale accompagna Solomon nel suo supplizio, un coro naturale che amplifica la solitudine del suo patire, sottolineando la disarmante assenza di empatia non solo degli aguzzini, ma del mondo stesso. È in momenti come questo che "12 Anni Schiavo" si eleva oltre il semplice racconto storico, diventando una meditazione profonda sulla capacità dell'uomo di infliggere e di sopportare, un'opera d'arte necessaria che ci costringe a guardare la storia negli occhi, senza compromessi.
Attori Principali
Galleria















Commenti
Loading comments...