Quarantaduesima Strada
1933
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Regista
Il prolifico Bacon (oltre 130 film all’attivo nella sua carriera) arriva a questo progetto con un solido background alle spalle. 42nd Street si differenzia dalle sue opere precedenti prima di tutto per essere un musical, e in secondo luogo per la raffinata indagine metacinematografica incentrando la propria narrazione sulla genesi di uno spettacolo teatrale raccontato attraverso il mezzo cinematografico. Il film, con la sua energia contagiosa, le sue coreografie spettacolari e le sue musiche indimenticabili, cattura lo spirito dell'epoca, offrendo al pubblico un'evasione dalla truce realtà della Grande Depressione. Bacon, con la sua esperienza nel dirigere film di generi diversi, dimostra una grande padronanza del linguaggio cinematografico, creando un'opera che coniuga spettacolo, emozione e critica sociale. Quarantaduesima Strada è un film che ha fatto scuola, definendo i canoni del musical "backstage" e aprendo la strada all'introduzione dell'elemento musicale come corpo a se stante nella narrazione cinematografica, come elemento inamovibile di un linguaggio che si conforma alla sua struttura e al suo dettato ritmico. L'urgenza quasi febbrile che traspare in ogni fotogramma non è solo un artificio narrativo, ma il riflesso di un'America affamata di sogni e distrazione, dove il luccichio di Broadway diveniva un faro di speranza contro l'ombra incombente della crisi economica. Questa "fabbrica dei sogni" cinematografica, che la Warner Bros. seppe magistralmente allestire, non si limitava a raccontare una storia, ma incarnava essa stessa il potere catartico e rigenerante dell'arte, un'ode alla resilienza dello spirito umano che rifiuta di arrendersi di fronte alle avversità.
La storia, ambientata nel mondo del teatro di Broadway, segue le vicende di Julian Marsh, un regista carismatico ma spietato, che sta mettendo in scena un nuovo musical. La produzione è costellata di difficoltà: problemi finanziari, rivalità tra le attrici, e infine l'infortunio della star dello show, Dorothy Brock, che si sloga una caviglia a pochi giorni dalla prima. Marsh, disperato, decide di affidare il ruolo principale a Peggy Sawyer, una giovane e talentuosa ballerina di fila. Peggy, inizialmente insicura, riesce a superare le sue paure e a trionfare sul palcoscenico, conquistando il pubblico e la critica. Questo archetipo narrativo, la "ragazza sconosciuta che diventa una star", si è impresso nell'immaginario collettivo, diventando quasi un mantra dell'industria cinematografica e teatrale, un simbolo dell'opportunità americana che, anche nei tempi più bui, poteva ancora brillare. La parabola di Peggy non è solo un successo personale, ma una metafora della ripresa collettiva, della capacità di reinventarsi e di trovare il proprio posto sotto i riflettori.
Bacon, con un ritmo narrativo avvincente, mette brillantemente in scena il dietro le quinte di uno spettacolo di Broadway, con le sue tensioni, le sue ambizioni, i suoi sogni. Ma è nella geniale visione coreografica di Busby Berkeley che il film raggiunge vette di estasi visiva ineguagliabili. Le sue non sono semplici coreografie, ma vere e proprie sinfonie geometriche, caleidoscopiche, che trascendono il palcoscenico per esplorare le possibilità illimitate del mezzo cinematografico. Le sue telecamere si muovevano come pennelli su una tela immensa, creando pattern umani che sembravano disegnati da un divino architetto, trasformando file di ballerine in fiori che sbocciano, in motivi astratti di una bellezza quasi psichedelica. L'uso di riprese aeree e prospettive inusuali, le zoomate sui volti delle performer che svaniscono e riappaiono, infrangono la quarta parete in modo radicale, portando lo spettatore non solo sul palco, ma dentro la performance stessa, in un vortice di movimento e forma che anticipava di decenni l'estetica dei videoclip musicali. Queste sequenze, audaci e lussureggianti, erano l'antidoto perfetto alla grigia realtà della Depressione, un'orgia di colori e simmetrie che faceva dimenticare per un istante le code per il pane e la miseria diffusa.
In sinergia con le musiche indimenticabili, composte da Harry Warren e Al Dubin, e con le interpretazioni brillanti di Warner Baxter, Ruby Keeler e Ginger Rogers, le coreografie hanno contribuito a creare un classico che continua ancora oggi incantare il pubblico di ogni età. La musica più di ogni altra cosa è, come detto, l'elemento portante del film: canzoni come "Young and Healthy" e "You're Getting to Be a Habit with Me" esprimono in modo inequivocabile il complesso gioco dell'attrazione tra i protagonisti, mentre "Shuffle Off to Buffalo" celebra l'amore e il suggello del matrimonio, con una leggerezza e una malizia che catturano l'essenza dell'epoca. Ne La Quarantaduesima Strada, la musica trascende la sua funzione di semplice accompagnamento per diventare un vero e proprio elemento semiotico, un linguaggio con una propria grammatica e sintassi, capace di veicolare significati e di contribuire alla costruzione del senso complessivo del film. I numeri musicali non sono interruzioni, ma prolungamenti drammatici, sublimazioni emotive del non detto, un'espressione del subconscio dei personaggi che si traduce in un fervore dionisiaco di canto e danza. Lloyd Bacon, con la sua sensibilità artistica e la sua visione innovativa, ha saputo utilizzare la musica in modo originale e creativo, integrandola perfettamente con la narrazione e le coreografie e facendola infine assurgere a protagonista dell'opera, un linguaggio espressivo che entra in simbiosi con la narrazione e la completa.
Il risultato è un'opera che, pur essendo intrinsecamente legata al suo contesto storico, sprigiona un'atemporalità sorprendente. Il "show must go on", il mantra di Julian Marsh, non è solo una battuta, ma la filosofia trainante di un'intera industria e, per estensione, di una nazione in ginocchio. Quarantaduesima Strada non si limita a celebrare il glamour di Broadway; ne svela anche le ombre, la fatica incessante, la crudeltà del dietro le quinte, pur avvolgendo il tutto in un'aura di ottimismo contagioso. Questo equilibrio tra realismo crudo e sublime fantasia musicale ha garantito al film una posizione di rilievo non solo nella storia del musical, ma in quella del cinema tout court. Capolavori come Follie di Broadway (1942) di Vincente Minnelli o Cantando sotto la pioggia (1952) di Gene Kelly e Stanley Donen non sarebbero esistiti, o non avrebbero avuto la stessa risonanza, senza la strada maestra tracciata da questo film, una vera e propria Pietra di Rosetta per il linguaggio del musical cinematografico. La sua influenza è riscontrabile in ogni musical che successivamente ha esplorato il tema del "fare spettacolo", elevando il backstage a palco e il sogno a realtà tangibile.
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