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A Qualcuno Piace Caldo

1959

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La commedia è un’arte e Billy Wilder è il suo profeta. Non un semplice artigiano del riso, ma un vero e proprio demiurgo capace di forgiare archetipi narrativi e personaggi indimenticabili, infondendo nelle sue creazioni una scintilla di genio che trascende il puro divertimento per toccare corde più profonde dell’animo umano. La sua commedia è sempre intrisa di un’acutezza che rasenta il cinismo, una disincantata osservazione della società, ma mitigata da una profonda umanità.

Il trio Jack Lemmon, Tony Curtis e Marilyn Monroe è una combinazione chimica perfetta, una sinergia attoriale così calibrata da sembrare quasi un miracolo cinematografico. Ne esce un film divertente con alcune scene memorabili che fanno parte dell’immaginario collettivo, cesellate con una precisione quasi matematica nel loro tempismo comico e nella loro capacità di veicolare emozioni autentiche, al di là della farsa.

La premessa, quasi shakespeariana nella sua impostazione di travestimento e fuga, ci catapulta nella Chicago proibizionista del 1929, un’epoca di sfrenata opulenza e, al contempo, di brutale violenza. Due musicisti squattrinati, Joe e Jerry, cercano disperatamente di sfuggire alla vendetta della folla inferocita per aver assistito al massacro di San Valentino – un aneddoto storico tragico che Wilder abilmente trasforma nel catalizzatore di una delle più esilaranti avventure mai concepite. Un perfetto esempio di come il regista fosse capace di innestare il grottesco sulla cronaca più nera.

Ripareranno a Miami e si travestiranno da donne – Josephine e Daphne – per formare una band di sole donne con un’avvenente cantante autoctona, Sugar Kane Kowalczyk, interpretata da una Marilyn Monroe che qui raggiunge l’apice della sua iconicità, fondendo innocenza, vulnerabilità e una sensualità debordante. Ma i guai saranno appena agli inizi, poiché la commedia degli equivoci si amplifica esponenzialmente, con l’aggiunta di innamoramenti incrociati, malintesi d’identità e la costante minaccia di essere scoperti dai gangster.

"A Qualcuno Piace Caldo" è un film che riconcilia con la vita, un inno alla leggerezza nonostante le premesse drammatiche, andando a scarnificare i precetti basilari della commedia e trasponendoli direttamente su pellicola per farci ridere in un crescendo inarrestabile. Wilder, con il suo co-sceneggiatore I.A.L. Diamond, costruisce un meccanismo narrativo di precisione svizzera, dove ogni gag, ogni battuta, ogni sguardo contribuisce a una deflagrazione di umorismo, senza mai scadere nella volgarità gratuita o nella facile caricatura. La brillantezza del dialogo è pari solo alla vivacità della messa in scena.

Wilder naturalmente gioca sull’avvenenza di Marilyn Monroe (come potrebbe non essere altrimenti?), sapendo che la sua mera presenza magnetica è di per sé un catalizzatore narrativo. Ricama intorno a lei un tessuto di equivoci, baci rubati e languidi gesti che contribuiscono a creare un alone di sensualità in potenza, un eros pronto a esplodere, una sorta di tensione hitchcockiana in versione erotica, ma giocata con un’ironia e una delicatezza che la rendono irresistibile. La fragilità di Sugar, la sua disperata ricerca di stabilità emotiva – un sottotesto forse autobiografico per la stessa Marilyn – aggiunge uno strato di malinconia al suo fascino, rendendola un personaggio non solo desiderabile ma anche profondamente umano. Il pubblico ride con lei, ma anche per lei.

Ed è davvero incredibile che Wilder riesca a imbrigliare questa locomotiva lanciata a tutta velocità – le performance strabordanti, il ritmo frenetico, la costante minaccia del pericolo – con la semplice arma dell’ironia, affidandosi sull’altro versante alla coppia Lemmon-Curtis. La loro trasformazione non è solo esteriore: Jack Lemmon, in particolare, si abbandona completamente al personaggio di Daphne, esplorando con sorprendente sottigliezza le sfumature della femminilità, non solo come imitazione ma come quasi-esperienza. Il suo crescente entusiasmo per la vita da donna, la sua amicizia con Sugar, il corteggiamento da parte del miliardario Osgood Fielding III (un Joe E. Brown indimenticabile nella sua ostinata allegria) non sono semplici espedienti comici, ma una genuina esplorazione – per i tempi audacissima – della fluidità di genere e delle aspettative sociali. Curtis, invece, deve destreggiarsi tra l'impacciato Joe/Josephine e l'alter ego milionario Cary Grant-esque, dimostrando una versatilità notevole.

Ne nasce uno dei film più sensuali e divertenti della storia del cinema, una pietra miliare che ha saputo rivoluzionare la commedia, rompendo tabù e ponendo interrogativi sull’identità, sul desiderio e sull’accettazione. Non poteva che essere altrimenti, data la maestria di Wilder e il talento del suo cast. Il suo impatto risuona ancora oggi, influenzando generazioni di cineasti e rimanendo un faro di genio comico. E proprio quando pensi che la farsa abbia raggiunto il suo culmine e ogni nodo sia impossibile da sciogliere, Wilder ci regala una delle battute finali più perfette e liberatorie di tutta la storia del cinema, una sintesi definitiva della filosofia del film: di fronte alla rivelazione del travestimento di Jerry/Daphne, Osgood risponde con un serafico, immortale “Well, nobody’s perfect.” Una frase che non solo chiude magistralmente una commedia, ma che incapsula un intero approccio alla vita, all’amore e all’imperfezione umana, rendendo "A Qualcuno Piace Caldo" un'opera d'arte senza tempo.

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