A Sangue Freddo
1967
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Regista
Tratto dal celeberrimo romanzo-documento di Truman Capote, questo film si segnala per una splendida analisi della mente criminale dei due protagonisti, ponendola in relazione con il contesto sociale circostante e ricavandone un quadro clinico spietato e desolante. L'opera di Capote, un archetipo del non-fiction novel che ha ridefinito i confini tra giornalismo e letteratura, trova nella trasposizione cinematografica di Richard Brooks una risonanza altrettanto audace e disturbante, capace di penetrare le pieghe più oscure dell'animo umano con chirurgica precisione.
La storia è quella di due balordi fannulloni che progettano una rapina in una sperduta casa del Kansas, nella cittadina di Holcomb. Richard Hickock e Perry Smith, un duo improbabile e fatale, incarnano la deriva di un certo "sogno americano" tradito e disilluso. Hickock, con la sua superficialità e la spinta all'opportunismo, e Smith, una figura più complessa e tormentata, afflitta da traumi infantili e aspirazioni artistiche frustrate, compongono un dittico di patologia sociale che scardina ogni semplificazione. Quando si renderanno conto che i quattro membri della famiglia Clutter – un ritratto quasi idilliaco della laboriosità e della moralità puritana rurale – non hanno denaro contante, li uccideranno senza pietà per evitare di lasciarsi dietro testimoni. È la brutalità di un atto gratuito, un'efferata violenza scaturita dalla più arida frustrazione e dalla mancanza di ogni barlume di empatia.
Inizierà con la fuga una lenta discesa all’inferno che culminerà con l’arresto, il processo e l’esecuzione. Ma ciò che eleva "A Sangue Freddo" al di là di un mero true crime cinematografico è il modo in cui Brooks gestisce questa discesa. Non è una corsa adrenalinica, ma una deriva inevitabile e glaciale, scandita da momenti di falsa speranza e disperata consapevolezza. L'attenzione quasi documentaristica si concentra non solo sull'iter criminale e giudiziario, ma anche sul sottile balletto psicologico tra i due assassini e il mondo che li circonda, un mondo che a fatica cerca di comprendere l'indicibile. Le interpretazioni di Robert Blake e Scott Wilson nei panni di Perry e Dick sono di una verosimiglianza sconcertante, capaci di evocare tanto la banale crudeltà quanto le insospettabili fragilità. Blake, in particolare, infonde a Perry una profondità malinconica che rende il personaggio tragicamente memorabile, un mosaico di brutalità e patetica ricerca di affetto.
Ciò che salta agli occhi e colpisce del lavoro di Brooks è l’eccezionale punto di vista della narrazione, che proprio come quello di Capote, è ben al di sopra di ogni coinvolgimento morale ma si preoccupa soltanto di fotografare la nuda verità. Questa scelta stilistica, a tratti quasi scientifica, è resa magistralmente dalla direzione fotografica in bianco e nero di Conrad L. Hall. La sua fotografia è un'opera d'arte a sé stante: un bianco e nero crudo, contrastato, che non addolcisce ma esalta la desolazione dei paesaggi del Kansas e la claustrofobia delle celle carcerarie, creando un'atmosfera di cupa fatalità. Ogni inquadratura è calibrata per trasmettere un senso di ineluttabilità, per cogliere le micro-espressioni e i silenzi eloquenti. È proprio da questa scarnificante certificazione che sale il disgusto più ripugnante per una strage commessa nella più totale mancanza di umanità, ma è anche da essa che emerge un'inquietante comprensione delle radici del male, non come entità astratta, ma come prodotto di devianze sociali e psicologiche tangibili.
La fredda oggettività non sminuisce il dramma, anzi, lo amplifica, costringendo lo spettatore a confrontarsi direttamente con l'orrore, senza il filtro rassicurante della condanna esplicita o della moralizzazione facile. Questa assenza di giudizio esplicito fu una mossa rivoluzionaria per l'epoca, e il film, pur essendo stato girato nel 1967, conserva ancora oggi una modernità sorprendente nel suo approccio. "A Sangue Freddo" non si limita a raccontare un crimine, ma indaga la sua genesi e le sue conseguenze con una profondità che pochi film del genere hanno eguagliato.
Un film che destabilizzò l’opinione pubblica americana, proprio come l’atrocità del delitto e l’indagine di Capote avevano già fatto. Arrivò in un'America che stava lentamente perdendo la sua innocenza, un decennio dopo gli omicidi, quando il paese era già scosso da assassini politici e dalla Guerra del Vietnam. Il film di Brooks non fu solo una cronaca, ma un sismografo delle ansie sociali, mettendo in discussione l'illusione di una sicurezza intrinseca e rivelando la fragilità della normalità. È un capolavoro senza tempo, una riflessione acuta e perturbante sulla natura del male e sulla complessa interazione tra l'individuo e il tessuto sociale, che continua a riverberare con la forza di una verità scomoda e ineludibile.
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