Amadeus
1984
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Regista
Un’opera centrale della cinematografia moderna, premiata con otto Oscar: una finissima rapsodia in forma biografica in ossequio ad uno dei più grandi geni che la razza umana abbia potuto celebrare. Amadeus non è soltanto un biopic glorioso; è, piuttosto, un'esplorazione metanarrativa del genio stesso, del suo mistero insondabile e del suo impatto devastante su coloro che, pur devoti all'arte, non sono stati baciati dalla stessa scintilla divina. Un vertice della Settima Arte che, a quasi quarant'anni dalla sua uscita, continua a risuonare per la sua audacia tematica e la sua impeccabile realizzazione.
Il taglio spiccatamente romanzesco infuso da Peter Shaffer (drammaturgo inglese che ha tratto la sceneggiatura del film da una sua piéce teatrale) ha sollevato molte polemiche sulle troppe imprecisioni storiche nella biografia di Mozart. Ma è un vezzo che gli si concede volentieri, anzi, è un elemento fondante della sua grandezza. Il film non aspira a essere un documentario accademico, bensì un dramma psicologico e quasi teologico sull'invidia, sulla grazia e sulla predestinazione. In sinergia con il talento visionario di Milos Forman, proveniente dalla Nuova Onda Ceca e maestro nel delineare personaggi complessi e contesti sociali pulsanti, Shaffer ha saputo forgiare un’opera avvincente che commuove e appassiona fin dalla prima scena. Come altri grandi biopics che osano ridefinire la verità storica per catturare un'essenza più profonda – si pensi a The Social Network di David Fincher, che disegna un ritratto archetipico della nascita del genio contemporaneo attraverso la lente della mitologia, o a Lawrence d'Arabia che sublima la figura storica in icona leggendaria – Amadeus trascende il mero dato biografico per toccare corde universali sull'ingratitudine della sorte e sulla crudele disuguaglianza del talento.
La storia della vita di Mozart viene narrata con gli occhi e la mente del suo più acerrimo nemico, il musicista di corte Salieri, che disprezzava in Mozart la mediocrità dell’uomo a fronte di un’ammirazione smisurata per il suo talento immenso, inconcepibile per lui in un uomo così frivolo e ridanciano. È questo il cuore pulsante e tragico del film: la crisi esistenziale e teologica di Salieri. Egli, uomo di profonda fede e instancabile dedizione, che aveva fatto voto a Dio di servire la musica in cambio del talento, si trova di fronte a un paradosso insostenibile. Come può il divino splendore musicale scaturire da un essere così volgare, sguaiato, puerile come il Mozart di Tom Hulce, con la sua risata beffarda e le sue infantili buffonate? La performance di F. Murray Abraham, premiata con l'Oscar, è un tour de force di contenzione e tormento, un ritratto indimenticabile di invidia sublimata in ossessione, di frustrazione che si eleva a vendetta contro Dio stesso. È il grido di un uomo che sente tradita la propria devozione, costretto a riconoscere la mano divina non in sé stesso, ma nel suo rivale più fastidioso.
Il film ripercorre i maggiori successi di Mozart, dal trionfo delle sue prime opere viennesi, spesso accolte con scetticismo dalla corte conservatrice di Giuseppe II ma capaci di scuotere il pubblico con la loro vitalità irriverente, fino all’impegno spossante della sua più grande opera finale: il Requiem. Ogni composizione diventa un personaggio in sé, un'onda sonora che pervade lo schermo, spesso in totale dissonanza con le circostanze miserevoli in cui nasceva. Forman non si limita a usare la musica come mero accompagnamento; la integra nel tessuto narrativo, rendendola un elemento drammatico che definisce i personaggi e ne anticipa il destino.
A questo proposito, forse il punto focale del film, le sue scene più memorabili, si trovano proprio nella sequenza in cui Salieri, assistendo Mozart sul letto di morte, trascrive la partitura del Requiem su dettatura del compositore malato. Questo momento è il culmine della disperazione e della sublime comunione. Il sentimento contrastante di Salieri sta tutto in questo quadro: disinteressato a Mozart e alla sua malattia – una figura umana che per lui non merita alcuna empatia – eppure smisuratamente invaghito della sua musica, così profonda, complessa e geniale da avere difficoltà anche a seguirne il dettato. È l'apice del suo supplizio e, al contempo, il suo più grande privilegio: toccare con mano (e con l'inchiostro) il genio puro, essere l'amanuense di un'ispirazione che trascende l'umano.
Mentre Salieri trascrive diligentemente le note, con la fronte imperlata di sudore per lo sforzo intellettuale di comprendere e fissare su carta quelle architetture sonore celestiali, in sottofondo sale possente il Coro del "Confutatis Maledictis". La scelta di questo brano non è casuale: "Confutatis maledictis, flammis acribus addictis" – "Sconfitti i maledetti, dati alle fiamme brucianti" – risuona come un giudizio divino sul patto non mantenuto da Salieri, sulla sua invidia che lo ha condannato a una dannazione terrena, ma anche come un'eco del suo stesso inferno interiore. La scena è una sinfonia di immagini e suoni, dove la musica non è solo diegetica ma diventa l'anima stessa del racconto, la voce di Dio che si manifesta attraverso un Mozart morente e la trascrizione affannata di un Salieri dannato.
Amadeus è un trionfo di rara raffinatezza, tutto è incastonato con sapienza: dai meravigliosi costumi di Theodore Pistek (vincitore di un Oscar sacrosanto, che ricrea la sontuosità rococò e la stravaganza teatrale dell'epoca con una precisione sontuosa), al trucco di Paul Le Blanc (anch’egli vincitore dell’Oscar, capace di trasformare Salieri da giovane ambizioso a vecchio ossessivo). Ma la magnificenza visiva e acustica va ben oltre. La cinematografia di Miroslav Ondříček, altro collaboratore abituale di Forman, illumina e modella gli spazi grandiosi della Vienna imperiale, spesso ricostruita con maestria nella Praga ottocentesca, conferendo al film un respiro epico. La scenografia di Karel Černý immerge lo spettatore in un XVIII secolo pulsante di vita, tra teatri opulenti e dimore signorili. Milos Forman gira con magistrale estro e dedizione, orchestrando un cast eccezionale e un'imponente produzione con la precisione di un direttore d'orchestra, plasmando non solo uno dei film più amati della storia del cinema, ma un'opera che continua a interrogarci sul prezzo della grandezza e sulla natura sfuggente del talento. È un capolavoro che celebra la musica, ma soprattutto, indaga l'animo umano nelle sue contraddizioni più profonde e sublimi.
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