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Amores Perros

2000

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Alejandro Iñárritu al suo film d’esordio realizza un’opera che inaugura una grande stagione per il cinema messicano riuscendo a travalicare i confini e mietendo premi cinematografici in tutto il mondo (Amores Perros è detentore di oltre cinquanta riconoscimenti). Non si trattava solo di un esordio folgorante per il cineasta, ma di un vero e proprio spartiacque per il cinema messicano, il quale, dopo anni di relativa marginalità, irrompeva sulla scena globale con una forza e una visione nuove. Amores Perros, insieme alle successive opere di Alfonso Cuarón e Guillermo del Toro – la triade nota come “I Tre Amigos” – ha ridefinito l'identità cinematografica del Messico, proiettandola in una dimensione internazionale di prestigio e sperimentazione, segnando una rottura con le convenzioni e abbracciando un realismo crudo e senza compromessi che avrebbe influenzato la produzione successiva.

Il cinema di Iñárritu è un fluire costante di narrato, il regista messicano è infatti un affabulatore molto abile grazie anche all’impalcatura semantica edificata da Guillermo Arriaga che ha scritto soggetto e sceneggiatura e che con questo film diverrà suo collaboratore fisso (sue anche le sceneggiature di 21 Grammi e Babel, le due opere successive a questa e che a detta di alcuni critici, costituiscono con Amores Perros una trilogia detta “della Morte”). Questa narrazione non lineare, frammentata e tesa, diventerà la cifra stilistica del regista e del suo sceneggiatore, un approccio che ricorda per certi versi la struttura corale di film come Magnolia di Paul Thomas Anderson o, per certi aspetti, il mosaico temporale di opere tarantiniane, ma che qui trova una sua specificità nell'ineluttabilità del destino e nella brutalità delle collisioni. La "trilogia della morte" non è un mero esercizio di stile, ma una scelta intrinseca che rispecchia il caos esistenziale e le collisioni ineludibili che caratterizzano le vite dei personaggi. La morte non intesa come fine ultima, ma come catalizzatore di cambiamento, come forza trasformatrice che mette a nudo la fragilità e la resilienza dell'animo umano. In Amores Perros, essa si manifesta nell'improvviso e violento incidente stradale che frantuma le esistenze dei protagonisti, costringendoli a confrontarsi con le proprie scelte e le proprie inevitabili perdite, ponendo le basi per le successive esplorazioni tematiche più ampie.

Questo film narra le vicende di tre storie che hanno i cani come comune denominatore.

Octavio decide di tirar su qualche soldo facendo combattere il suo cane negli incontri clandestini, Valeria, una modella ferita in un incidente d’auto, perde il suo cagnolino nelle viscere del suo nuovo appartamento e infine El Chivo è un homeless con una muta di cani come compagna di viaggio che incontrerà la figlia perduta. Tutti e tre gli episodi si incroceranno in un evento che muterà profondamente il corso degli eventi di ciascuno dei personaggi: un incidente automobilistico.

I cani, in questa epopea urbana, non sono semplici accessori narrativi, ma veri e propri catalizzatori drammatici, specchi deformanti delle pulsioni più oscure e sincere dei loro padroni. Essi riflettono la lealtà cieca e la ferocia primordiale, la dipendenza e l'istinto di sopravvivenza, diventando emblemi tangibili delle virtù e delle miserie umane. La rappresentazione cruda e talvolta brutale dei combattimenti di cani, pur scatenando polemiche e proteste animaliste (alle quali Iñárritu rispose sempre con la chiara affermazione che nessun animale fu maltrattato e che gran parte delle scene furono realizzate con effetti speciali e animali addestrati), serve a evidenziare la barbarie intrinseca nell'animo umano, una violenza primordiale che si riversa persino sulle creature più fedeli, ma che trova la sua eco più devastante nelle relazioni umane.

I personaggi appaiono perduti nelle loro angosce quotidiane, vinti dalla vita e i loro cani rappresentano un’ideale via di salvezza che tuttavia non può concretizzarsi per qualche crudele scherzo del destino o per una fatalità imponderabile. Le loro esistenze sono incrociate e sconvolte da un'unica catastrofe, un punto di non ritorno che svela la fragilità delle loro illusioni. Octavio, disperato nel suo tentativo di sfuggire a un destino di povertà e frustrazione, incarna la lotta di classe e il sogno di riscatto attraverso mezzi illeciti; Valeria, icona di successo e bellezza, si vede proiettata in un inferno di dolore fisico e morale che smaschera la superficialità del suo mondo dorato e la solitudine che lo abita; El Chivo, l'ex professore universitario trasformatosi in sicario e clochard, è la personificazione della disillusione e della ricerca di una redenzione tardiva, un fantasma di ideali perduti nella caotica metropoli. Ogni personaggio è prigioniero di un ciclo vizioso, di un "destino canino" fatto di lotta per la sopravvivenza e di amori ossessivi. La loro ricerca di salvezza è spesso auto-distruttiva, le loro decisioni mosse da un'urgenza disperata che li spinge verso baratri emotivi e fisici. L'incidente automobilistico non è solo un meccanismo narrativo, ma un evento fatale che agisce come una purga, un momento in cui le maschere cadono e le vere priorità emergono, spesso in modo doloroso e irreversibile.

La Città del Messico non è solo uno sfondo, ma un personaggio pulsante e caotico, un ventre molle di contrasti sociali, rumori assordanti e ingorghi soffocanti, la cui energia frenetica e brutale si riflette nelle vite turbolente dei suoi abitanti. La regia di Iñárritu, coadiuvata dalla fotografia vibrante e nervosa di Rodrigo Prieto, cattura questa metropoli con un realismo viscerale, quasi documentaristico, immergendo lo spettatore in un'esperienza sensoriale totalizzante fatta di sporcizia, rumore e ineludibile vitalità. La macchina da presa si muove con agilità tra i bassifondi e i quartieri alti, rivelando una città divisa ma interconnessa da fili invisibili di violenza, desiderio e disperazione. Questo approccio estetico, unito a un montaggio serrato e a una colonna sonora che pulsa al ritmo della città, contribuisce a creare un'atmosfera opprimente ma magneticamente autentica.

Il titolo è un gioco di parole intraducibile in italiano: può significare letteralmente amori canini, ma anche l’amore è una rogna, o più precisamente, gli amori sono un guaio, un fardello, una maledizione che insegue i personaggi, quasi un "amore da cani", nel senso più brutale e disperato del termine. Questa ambivalenza linguistica è la chiave di lettura di un'opera che, pur nella sua crudezza, esplora le molteplici sfumature dell'affetto, della lealtà e del tradimento, dimostrando come anche nella più abietta delle esistenze possa risiedere una scintilla di umanità, o una condanna inappellabile.

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