Animal House
1978
Vota questo film
Media: 4.50 / 5
(4 voti)
Regista
Esistono detonazioni cinematografiche la cui onda d'urto modella il panorama a venire, ridefinendo i confini del possibile e del dicibile. Animal House di John Landis non è semplicemente una di queste; è l'archetipo stesso della detonazione, uno sguaiato e barbarico "yawp" lanciato sui tetti del mondo, per parafrasare Whitman, che nel 1978 ha fatto saltare in aria le porte della commedia americana, lasciando dietro di sé un cratere fumante da cui sarebbero germogliate intere generazioni di irriverenza. Analizzare quest'opera con gli strumenti della critica convenzionale è un esercizio tanto necessario quanto parzialmente futile. È come tentare di eseguire un'autopsia su un fulmine. Si possono descriverne gli effetti, misurarne la potenza, ma la sua essenza numinosa, la sua caotica e primordiale energia, sfugge alla dissezione.
Il film ci trasporta nel 1962, al fittizio Faber College, un microcosmo che funge da campo di battaglia per una guerra culturale eterna, quasi mitologica. Da un lato, l'establishment incarnato dalla confraternita Omega Theta Pi: apollinei, wasp, rigidi, eredi di una tradizione patrizia che vede nel conformismo la più alta delle virtù. Dall'altro, i nostri anti-eroi, la Delta Tau Chi: dionisiaci, disordinati, etnicamente eterogenei, un coacervo di reietti il cui unico statuto è il rifiuto di ogni statuto. Questa non è la solita dicotomia "slobs vs. snobs" che il cinema successivo banalizzerà all'infinito. Qui, la posta in gioco è filosofica. Landis, insieme agli sceneggiatori Harold Ramis, Douglas Kenney e Chris Miller (provenienti dalla fucina satirica del National Lampoon), non sta mettendo in scena una semplice rivalità studentescha; sta orchestrando lo scontro tra l'Ordine e il Caos, tra la Repressione e il Desiderio. Gli Omega non sono semplicemente "cattivi"; sono l'entropia negativa, la forza che cerca di imbrigliare la vita in regolamenti e apparenze. I Delta, di converso, sono l'entropia positiva, l'esplosione liberatoria che smaschera l'ipocrisia di quell'ordine.
La scelta del 1962 è un colpo di genio storiografico e narrativo. Girato nel 1978, nel pieno del disincanto post-Vietnam e post-Watergate, il film guarda a quell'anno, l'ultimo barlume di un'America falsamente innocente prima dell'assassinio di Kennedy, con uno sguardo che è al contempo nostalgico e ferocemente cinico. I Delta non sono ancora hippy, non hanno una coscienza politica definita; la loro ribellione è pre-ideologica, istintiva, quasi biologica. È il rutto prima della rivoluzione. Questa distanza temporale permette al film di funzionare su un doppio binario: da un lato, celebrazione di un'anarchia goliardica; dall'altro, commento amaro sulla perdita di quell'energia primordiale, incanalata e poi spentasi nelle complesse e tragiche vicende del decennio successivo. I flash-forward finali, che rivelano i destini dei personaggi, sono la stilettata più crudele e geniale: l'anarchico Bluto diventa senatore, il mellifluo leader degli Omega viene sodomizzato in prigione. Il Caos, in qualche modo, trova una sua assurda, contorta via verso il potere, mentre l'Ordine si autodistrugge nella sua stessa perversione repressa.
E poi c'è John Belushi. La sua interpretazione di John "Bluto" Blutarsky trascende la recitazione per diventare performance art, un evento fisico irripetibile. Bluto non è un personaggio; è un golem di puro id freudiano, una forza della natura che comunica a grugniti, eruzioni di cibo e gesti di devastazione elementare. La sua comicità è ancestrale, pre-verbale, radicata nella tradizione dei grandi clown del muto come Fatty Arbuckle, ma iniettata con una dose letale di nichilismo punk rock. Quando schiaccia una lattina di birra sulla fronte, non è una gag; è una dichiarazione filosofica. Quando ingurgita gelatina in mensa, è un atto di terrorismo alimentare. È il satiro rabelaisiano scatenato nel tempio della borghesia, l'incarnazione del "corpo grottesco" teorizzato da Mikhail Bakhtin: aperto, debordante, costantemente impegnato a mangiare, bere, defecare e copulare, in un ciclo vitale che ignora e deride ogni norma di decoro. La sua celebre arringa ("Did we give up when the Germans bombed Pearl Harbor?") è un capolavoro di nonsense surreale che eleva la stupidità a sublime forma di resistenza.
La struttura narrativa del film riflette perfettamente la sua etica. Animal House non ha una vera e propria trama nel senso aristotelico del termine; è una successione di quadri, di sketch, di momenti iconici (la Toga Party, l'incidente col cavallo, la parata finale) tenuti insieme da un filo tematico più che da un intreccio causale. Questa frammentazione è una scelta estetica precisa: la vita dei Delta non può essere costretta in un arco narrativo convenzionale, perché la loro esistenza è una negazione di ogni struttura preimpostata. È un film picaresco, dove i nostri protagonisti errano attraverso una serie di avventure che smascherano la corruzione e la stupidità del mondo che li circonda. La parata finale, in particolare, assume contorni quasi epici. Il carro armato "Deathmobile" e la distruzione che ne consegue non sono solo il culmine comico del film, ma una vera e propria allegoria della rivolta. Visivamente, la scena evoca le tele brulicanti di vita e caos di Pieter Bruegel il Vecchio, come ne "La lotta tra Carnevale e Quaresima". È il trionfo del Carnevale, la temporanea ma catartica sovversione di ogni gerarchia sociale, che esplode in un tripudio di distruzione creativa.
Anche l'uso della colonna sonora è rivoluzionario. Invece di un commento musicale extradiegetico, Landis inonda il film di classici del rock 'n' roll e del rhythm and blues (Sam Cooke, Otis Redding, Lloyd Williams), usandoli in modo quasi sempre diegetico. La musica non commenta l'azione, è l'azione. È la colonna sonora della ribellione, il linguaggio che unisce i Delta e che è incomprensibile, alieno, per il mondo degli Omega, fermo a un'idea di intrattenimento compassato e bianco. La scena in cui i Delta si ritrovano per caso in un locale di soli avventori neri, il "Dexter Lake Club", è emblematica: il disagio iniziale si scioglie nella musica, rivelando un'affinità elettiva basata su un comune status di outsider rispetto alla cultura dominante WASP.
Certo, rivisto oggi, Animal House presenta un'ottica spietatamente maschile e una serie di gag che sfidano la sensibilità contemporanea. Il suo sguardo sulle donne è quello di un adolescente arrapato, e l'umorismo a tratti si avventura in territori oggi minati. Tuttavia, giudicare il film con il metro del 2024 sarebbe un errore esegetico. La sua forza sta proprio nel suo essere un documento senza filtri di una mentalità specifica, nel suo approccio da "terra bruciata" in cui tutta l'autorità e tutte le convenzioni sociali – non solo quelle che ci appaiono oggi ingiuste – vengono messe al rogo con la stessa gioia iconoclasta. La sua volgarità non è mai gratuita; è un'arma, uno strumento di critica sociale tanto efficace quanto una forbita analisi sociologica. È la dimostrazione che a volte, per smantellare un sistema ipocrita, non serve un trattato, ma una chitarra spaccata in testa e un grido liberatorio: "Toga! Toga! Toga!". Animal House è entrato nel canone non come la "migliore" commedia di sempre, ma come la più importante: un Anno Zero che ha insegnato al cinema che l'idiozia, quando brandita con intelligenza, può essere la più alta forma di intelligenza stessa.
Attori Principali
Generi
Paese
Galleria






Commenti
Loading comments...
