Aquarius
2016
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Regista
La vita di una donna come strumento di lotta, come principio connotativo irripetibile e unico, preziosa orma sulla battigia sempre sul punto di essere cancellata dalla prima alta marea. Questa immagine iniziale non è solo una metafora poetica; è la cifra stilistica e filosofica di "Aquarius", un film che si erge come un baluardo contro l'oblio, un'ode alla persistenza dell'individuo di fronte alle forze omologanti della modernità.
Questo film del regista brasiliano Kleber Mendonça Filho, qui alla sua seconda prova, tocca davvero alcune corde sopite nell’animo con placida sobrietà e grazie al labirintico volto di Sonia Braga disegna una storia difficile da dimenticare. Mendonça Filho, già autore del notevole "Sound of Neighbors" (O Som ao Redor), si conferma una delle voci più acute e stratificate del cinema contemporaneo, capace di sondare le crepe sociali e umane con una precisione quasi chirurgica e un'attenzione maniacale al dettaglio sonoro e visivo. La sua scelta di Sonia Braga non è meramente di casting; è un atto di dichiarazione. L'attrice, icona del cinema brasiliano e internazionale fin dai tempi de "Dona Flor e i suoi due mariti" e "Il bacio della donna ragno", porta con sé un'eredità di sensualità, forza e resilienza, che qui si sublima in un'interpretazione di rara intensità e dignità. Il suo volto, come un'antica mappa, racconta una vita intera, e la sua presenza magnetica eleva il racconto da una cronaca personale a una parabola universale.
Clara è una matura donna di 65 anni, vedova in pensione, dedita alle sue passioni: scrivere, ascoltare musica, passeggiare in riva al mare. La sua figura è un inno alla maturità come culmine di saggezza e sensibilità, una netta contrapposizione all'idea che l'età avanzata sia sinonimo di declino.
Clara abita a Recife in un vecchio palazzo chiamato Aquarius, vestigia di un passato dove l’edilizia veniva incontro ai bisogni dell’alta borghesia della città che chiedeva eleganza e austerità. Questo edificio non è solo una dimora; è un personaggio a sé stante, un monumento architettonico e memoriale, custode di storie e vibrazioni, un rifugio dall'assalto di un mondo che ha smarrito la propria bussola etica. Quel passato ora non c’è più, soppiantato da un caos dove l’etica dell’Eleganza è stata inopinatamente travolta dall’Etica del Profitto. È qui che il film di Mendonça Filho si fa acuto commento sociale. Non si tratta solo di gentrificazione, ma di una battaglia tra due visioni del mondo inconciliabili: da un lato, il rispetto per la storia, l'identità, la cultura; dall'altro, la pura logica del capitale, che vede nel vecchio solo un ostacolo al nuovo, nel vissuto un mero spazio da speculare. L'Aquarius diviene così un'ultima roccaforte, un simbolo di resistenza contro l'omologazione urbanistica e culturale che minaccia l'anima stessa delle città.
Clara è una donna forte e combattiva, ha sconfitto un cancro, è sopravvissuta alla straziante perdita dell’amato compagno di vita, ha avuto una storia professionale ricca di soddisfazioni come critico musicale e scrittrice di successo. Questa ricchezza interiore, il suo bagaglio di esperienze e la sua profonda sensibilità artistica – non a caso è una critica musicale, ovvero una custode di armonie e dissonanze – sono le armi silenziose con cui affronta l'assalto. Ora passa le sue giornate imprigionata nei ricordi, scossa da emozioni in divenire, cullata dal rumore dell’Oceano e da voli pindarici che la trasportano lontano. Il suo mondo interiore è un santuario, e il suono dell'oceano non è solo sottofondo, ma un perpetuo richiamo alla vastità, all'eternità, in netto contrasto con la meschina contingenza degli interessi economici.
La sua pacata routine è interrotta dalle richieste della ditta che ha acquisito la proprietà del condominio. La società ha comprato uno dopo l’altra tutte le unità abitative e resta solo quella di Clara per avere in mano l’intera struttura e poter erigere un nuovo e moderno residence. Ma Clara non vuole lasciare quella casa dove ricordi e sensazioni le serrano il cuore, dove mille attimi impressi nella sua memoria e vissuti tra quelle mura le ricordano ogni giorno chi è, cos’ha fatto, come ha potuto diventare quel che adesso è. La sua ostinazione non è capriccio senile, ma la ferma difesa di un'integrità che non si piega al ricatto.
Dapprima con garbo poi via via sempre più con insolente insistenza le richieste diverranno ben presto mobbing, ma Clara opporrà una silenziosa e ferma resistenza a quella violenza. Questa escalation è gestita con una tensione palpabile, dove la minaccia non è mai apertamente fisica ma si insinua nelle pieghe del quotidiano, fatta di piccoli sabotaggi, rumori molesti, isolamento. Imbevuto di una poetica minimalista e sorniona questo film si fa apprezzare per la splendida recitazione di Sonia Braga, davvero Deus Ex Machina di una storia attagliata sulla sua pelle. La regia di Mendonça Filho è un esercizio di sottrazione, dove il non detto e l'atmosfera assumono un peso specifico enorme. La macchina da presa si sofferma sugli oggetti, sui volti, sui dettagli, lasciando che il tempo scorra con una cadenza quasi meditativa, permettendo allo spettatore di immergersi completamente nel microcosmo di Clara. Il contrasto tra la violenza strisciante degli aggressori e la dignità inamovibile di Clara è il cuore pulsante del film, che si nutre di silenzi eloquenti e di sguardi che racchiudono interi universi.
L’attrice e il personaggio si fondono in una commistione ammaliante, dando vita ad una affascinante creatura opposta alla stridente cacofonia della modernità. Clara non è solo un personaggio, è un archetipo, una figura che evoca alla mente la tenacia di altre eroine cinematografiche che si ergono contro il sistema, da Erin Brockovich a Norma Rae, pur nella sua singolare pacatezza. Il film, inoltre, si è fatto portavoce di una più ampia resistenza culturale e politica, specialmente nel contesto brasiliano contemporaneo, dove la sua proiezione a Cannes è stata accompagnata da una dichiarazione esplicita contro il golpe politico allora in atto. Questo non fa che amplificare la risonanza di "Aquarius", trasformandolo da racconto intimo in manifesto civile, un grido di allarme contro la corrosione dei valori umani di fronte alla brama incontrollata del profitto. La battaglia di Clara non è solo per una casa, ma per il diritto alla memoria, all'identità e alla dignità in un mondo che sembra volerci ridurre a numeri, a pedine su una scacchiera di speculazione.
Impossibile non amare questo personaggio, impossibile non innamorarsi di lei. Clara resta scolpita nella memoria, un faro di integrità in un mare di compromessi. Il suo coraggio non è fatto di gesti eclatanti, ma di una granitica, quotidiana persistenza, che ci ricorda come la vera forza risieda spesso nella fedeltà a se stessi e al proprio passato, anche quando il presente cerca disperatamente di sradicarti. "Aquarius" è un capolavoro di sottigliezza e potenza, un film che non grida ma sussurra, eppure il suo eco risuona a lungo, invitandoci a riflettere sul valore inestimabile dell'esistenza vissuta e sulla sacralità del proprio spazio, fisico e interiore.
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