Arrivederci Ragazzi
1987
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Regista
n’opera strettamente autobiografica questa di Louis Malle, in cui ritorna con la memoria agli anni trascorsi in collegio, all’amicizia che lo legava ad un suo compagno di studi, alla vergogna della Francia di Petain, fantoccio nazista persecutore di ebrei e oppressore del popolo francese. Arrivederci Ragazzi non è semplicemente un film; è un atto di memoria, una confessione sofferta e necessaria, l’approdo catartico di un Louis Malle che per decenni ha portato il peso di un ricordo lacerante. Quest'opera strettamente autobiografica, con la sua inesorabile lucidità, lo vede ritornare con la memoria agli anni trascorsi in collegio, al santuario effimero di un’infanzia bruscamente interrotta, e all’amicizia nascente con un suo compagno di studi, destinata a un epilogo di straziante e brutale onestà. È un film che scava nel profondo di una ferita personale per rivelare una piaga collettiva: la vergogna della Francia di Pétain, non solo un fantoccio nazista, ma il simbolo di una nazione lacerata tra resistenza e collaborazionismo, tra l’onore di pochi e la cieca complicità di molti, artefice della persecuzione di ebrei e dell’oppressione del popolo francese. Malle non si limita a narrare; indaga il silenzio, le ipocrisie, la dilagante insensibilità che permise l’orrore, facendone un doloroso ritratto generazionale e nazionale.
La scena prende corpo e luogo tra le austere mura di una scuola cattolica a Fontainebleau – un dettaglio non secondario, giacché la località aggiunge un ulteriore strato di isolamento e apparente immunità alla furia bellica – dove l'innocenza ancora respira, seppur a fatica. Qui, in un microcosmo protetto ma permeabile, si intrecciano i destini di due figure emblematiche: Julien Quentin, alter ego del regista, studente modello dalla spiccata curiosità intellettuale e leader indiscusso della sua cerchia di amici, e Jean Bonnet, un ebreo celato con coraggiosa pietà dai gesuiti, che lo registrano sotto falso nome per sottrarlo all’implacabile morsa della Gestapo. L’incontro tra i due non è immediato idillio: è un’esplorazione reciproca, un lento disvelarsi di mondi differenti, mediato da una naturale ritrosia e da quelle piccole gelosie infantili che, anziché dividere, innescano il processo di avvicinamento.
La Guerra, con la sua minaccia invisibile eppure palpabile, infuria intorno alle mura del collegio, ma in un primo momento non sembra lambire la sacralità, quasi arcadica, di quel luogo. È una bolla di relativa sicurezza, un'oasi di normalità dove le lezioni, i giochi e le piccole rivalità quotidiane possono ancora fiorire, ignorando o sottovalutando la barbarie che si addensa all'orizzonte. L’imminenza della tragedia è suggerita solo da echi lontani – il rombo di aerei, le sirene, le sporadiche irruzioni di militari tedeschi – che la direzione della scuola tenta di minimizzare. Questa fragile quiete si infrange però con la violenza di un’onda anomala quando, con una brutalità agghiacciante e improvvisa, la Gestapo varcherà i cancelli del collegio, strappando Jean a Julien e con lui l'ultima vestigia di un'infanzia ancora illusa, consegnando entrambi a un destino segnato e irreversibile. La scena dell’arresto, con la sua agghiacciante freddezza e il silenzio degli astanti, si imprime nella memoria come un monito sull'orrore della complicità e dell'impotenza.
Ma ridurre Arrivederci Ragazzi a un mero film sul grande sentimento d’amicizia che lega i ragazzi sarebbe riduttivo. È, piuttosto, un’indagine profonda sull’innocenza perduta, sulla scoperta del "diverso" e sulla formazione di una coscienza morale in un contesto di disintegrazione etica. È commovente, certo, osservare come Malle dipinge questa storia dal suo nascere, con le sue esitazioni e i suoi imbarazzi, fino al tragico epilogo, che non è solo la fine di un’amicizia, ma la fine di un’era, la rivelazione di una realtà brutale che la fanciullezza non aveva ancora potuto decifrare. Il film evita qualsiasi sentimentalismo facile, affidandosi a una tenerezza pudica e a una narrazione asciutta, quasi documentaristica nella sua fedeltà al ricordo.
I due ragazzi, dopo piccoli scontri iniziali dettati più dalla reciproca diffidenza che da autentica ostilità, si avvicinano progressivamente, come due pianeti che scoprono una comune orbita. Julien, dapprima infastidito dalla perfezione accademica e dall'alone di mistero che circonda Jean, impara a superare i pregiudizi e a guardare oltre le apparenze. È un percorso di empatia in crescendo, scandito da gesti minimi – la condivisione di un libro, la complicità in una marachella notturna, il calore di una coperta – che rivelano una stima e un rispetto reciproci così profondi da renderli, infine, incapaci di fare a meno l’uno dell’altro. In questa dinamica, Malle suggerisce come l’amicizia autentica possa trascendere barriere sociali e religiose, diventando un faro di umanità in tempi disumani. Non è solo la storia di un legame, ma la cronaca di un risveglio alla consapevolezza, un’educazione sentimentale e morale che si compie nell'ombra incombente della Storia.
Non è un caso che quest'opera abbia meritato il Leone d’Oro al Festival del Cinema di Venezia nel 1987, un riconoscimento che ne ha consacrato l'indiscutibile valore artistico e morale. Arrivederci Ragazzi colpisce per il suo inconfondibile mix di sentimento e lirismo, una sintesi perfetta tra l'intimità del racconto personale e l'universalità della sua risonanza storica. La macchina da presa di Malle si muove con una delicatezza che rasenta la poesia, catturando non solo le espressioni dei volti, ma anche le atmosfere rarefatte del collegio, i silenzi eloquenti, la luce malinconica di un inverno che porta con sé presagi funesti. È un lirismo che non indulge al patetico, ma che eleva la tragedia a dignità estetica, consentendo allo spettatore di penetrare l'essenza della perdita e del rimpianto senza mai scadere nella facile commozione.
È un’opera di un rigore formale abbacinante, che rinuncia a ogni eccesso melodrammatico per affidarsi alla potenza del non detto, alla forza evocativa di sguardi e gesti. La sua capacità di commuovere non deriva da manipolazioni narrative, ma da una recitazione perfettamente sintonizzata con il taglio emozionale che il regista vuole conferire alla narrazione: i giovani Gaspard Manesse (Julien) e Raphaël Fejtö (Jean) incarnano i loro personaggi con una naturalezza e una profondità rare, veicolando le sfumature di un rapporto che si consolida tra la diffidenza e un'affettuosa complicità. L'esemplare messa in scena di Malle, sostenuta da una fotografia che evoca la malinconia dei ricordi e un montaggio misurato, conferisce all'intera pellicola un'aura di autenticità che la eleva ben oltre la cronaca. In un panorama cinematografico spesso incline alla spettacolarizzazione del trauma, Arrivederci Ragazzi si distingue per la sua quieta intensità, un monito sottile ma incisivo che riechegga la lezione di autori come Robert Bresson nella sua ricerca di un'essenzialità emotiva, pur mantenendo un'accessibilità e una tenerezza estranee al rigore bressoniano più ascetico. È il cinema che diventa coscienza, un’impronta indelebile che ci ricorda che la memoria, per quanto dolorosa, è l'unico argine contro l'oblio e la ripetizione degli orrori.
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