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Ascensore per il Patibolo

1958

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Louis Malle è un uomo che naviga nel sottile limine che separa le ombre dalla notte emozionale. E non a caso, la sua opera prima, quel mirabile saggio sul destino e sull'alienazione che è Ascenseur pour l'échafaud, si apre con un crepuscolo che è tanto atmosferico quanto spirituale, un preludio alla discesa nel cuore di tenebra della psiche umana e dei bassifondi morali della Ville Lumière.

In questo grande film il regista indugia sulle passioni più torbide e sui risvolti più tenebrosi dell’animo umano, rivelando le crepe nella facciata di una società borghese apparentemente impeccabile. La visione che ne traspare non è mai di un realismo fine a se stesso ma è quasi specchio ontologico in cui le vicende si trasfigurano e acquistano carattere di blando dramma. Un dramma che non strilla, che non si compiace nel melodramma esplicito, ma che sussurra con un'inquietante lucidità le implicazioni esistenziali di ogni scelta, di ogni casualità, di ogni errore. Malle, con una precisione quasi chirurgica, svela la fragilità della volontà umana di fronte all'assurdo, il quale si manifesta qui non come evento catastrofico, ma come una sequenza di sfortunati e banali imprevisti che incatenano i destini dei suoi personaggi. Il film, infatti, pur radicato nei canoni del noir classico, se ne distacca per un'intensa focalizzazione sull'interiorità e sull'indifferenza del fato, anticipando quel cinema di rottura che di lì a poco sarebbe stato codificato come Nouvelle Vague.

Jeanne Moreau interpreta il ruolo di una dark lady, Florence Carala, che convince il proprio amante, Julien Tavernier – un ex paracadutista della Legione straniera, ora losco trafficante d’armi sotto le cui dipendenze il marito di lei lavora – ad uccidere l’ingombrante consorte. La sua Florence non è la classica femme fatale unidimensionale del noir americano; è piuttosto un'anima in pena, una figura di una bellezza algida e al contempo struggente, la cui iconica deambulazione notturna per le strade di Parigi, sotto le luci fioche dei lampioni, diventa un balletto disperato di ansia e presagio. La sua voce interiore, che ci guida attraverso la sua ricerca ossessiva di Julien, rivela una vulnerabilità palpabile, un'attesa angosciosa che la rende infinitamente più complessa di un mero strumento del male.

I due progettano l’omicidio nei minimi particolari e lo eseguono salvo poi accorgersi di aver dimenticato qualcosa sul luogo del delitto. È qui che il meccanismo perfetto dell'omicidio si inceppa, non per un geniale contropiede della giustizia o per un tradimento, ma per la più banale delle distrazioni: Julien, dopo aver eliminato il marito di Florence, dimentica una corda sulla scena del crimine. Ed è nel tentativo di recuperarla che l'ingegnere del destino si trova prigioniero del più prosaico degli imprevisti: quando l’ascensore che lo dovrebbe condurre in salvo si blocca, inizia non solo un vero e proprio viaggio attraverso il terrore, ma una discesa simbolica nella sua stessa prigione esistenziale. L'ascensore diventa una bara verticale, un limbo meccanico che isola Julien dal mondo esterno, costringendolo a confrontarsi con il proprio isolamento e la propria disperazione.

Parallelamente, la notte parigina si dispiega con una crudezza poetica attraverso la macchina da presa di Henri Decaë, il direttore della fotografia che avrebbe contribuito a definire l'estetica della Nouvelle Vague. Il suo uso della luce naturale, le riprese notturne "alla candela", i chiaroscuri intensi che avvolgono le figure in un velo di mistero e fatalità, non sono solo scelte stilistiche, ma elementi narrativi che amplificano il senso di precarietà e alienazione. Parigi è protagonista silenziosa, una città complice e indifferente che assiste impassibile al dramma che si consuma tra i suoi vicoli e i suoi Boulevard. La vicenda in cui amore, morte, dubbio e violenza si annodano e divengono indistinguibili, in un crescendo di sventura che toglie il respiro per la sua ineluttabilità. L'amore ossessivo tra Florence e Julien si tinge di ombra e disperazione, la violenza del gesto omicida genera un'onda di dubbio e una serie di conseguenze incontrollabili che risucchiando anche due spensierati giovani coinvolti per puro caso in un furto d'auto, si manifestano come il vero motore tragico del film.

Un capolavoro del cinema transalpino non solo per la sua acuta analisi psicologica e per la sua estetica avanguardistica, ma anche e soprattutto impreziosito dalla colonna sonora originale di Miles Davis, scritta appositamente per questo film. La leggenda narra che Davis improvvisò l'intera partitura in una singola sessione notturna nel dicembre 1957, guardando le scene del film proiettate su uno schermo e lasciandosi ispirare dall'atmosfera. Il suo jazz cool, malinconico e rarefatto, con la tromba solitaria che piange note blu sulla Parigi notturna, non è un semplice accompagnamento musicale, ma un elemento narrativo essenziale, una voce non verbale che amplifica l'ansia, la solitudine e la disillusione dei personaggi, rendendo Ascenseur pour l'échafaud un'esperienza sinestetica indimenticabile, un vertice di fusione tra immagine e suono che continua a risuonare potentemente anche a decenni di distanza.

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