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Ritorno al Futuro

1985

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Ci colse tutti spiazzati nel 1985 questo film di Robert Zemeckis, mentre tentavamo di gestire i paradossi temporali che snocciolava e facevamo i conti su anni trascorsi e su salti nel passato ed eravamo pronti a vedere un film di fantascienza drammatico e serioso e ci accolse una commedia brillante quasi irresistibile nei toni. Fu un vero e proprio coup de théâtre cinematografico, un pugno nello stomaco per le convenzioni del genere, ma un abbraccio caldo per un pubblico affamato di ingegno e divertimento. In un decennio dominato da blockbuster spesso ridondanti o eccessivamente seri, Ritorno al Futuro irruppe con la freschezza di un'idea luminosa, intrisa di una nostalgia giocosa per gli anni '50 e di un'ironia tagliente sui costumi degli anni '80, fungendo da arguto commentario culturale sotto la patina luccicante di un'avventura per ragazzi.

Marty McFly viaggia indietro nel tempo fino agli anni sessanta con l’invenzione di un suo amico scienziato, che ha installato una macchina del tempo nientemeno che su una mitica De Lorean DMC 12, per sfuggire ad una banda di terroristi a cui lo scienziato aveva sottratto il materiale radioattivo che alimenta la macchina. La DeLorean, veicolo che nella realtà aveva rappresentato un fallimento commerciale, nel film ascende a icona pop universale, fusa indissolubilmente con l'idea stessa di viaggio nel tempo, un paradosso concettuale che solo il cinema può forgiare con tale efficacia. È un design che urla "futuro" anche quando è immerso nel passato, con le sue portiere ad ala di gabbiano e la carrozzeria in acciaio inossidabile che sembrano fatte apposta per riflettere le scintille del salto temporale. Il Dottor Emmett "Doc" Brown, interpretato da un ineguagliabile Christopher Lloyd, è il perfetto contrappunto a Marty: un genio stravagante al limite della follia, il cui laboratorio disordinato è un santuario per l'ingegno e l'assurdità, un moderno Archimede che ha barattato le leve con un condensatore di flusso. E i terroristi libici? Una nota quasi anacronistica, un MacGuffin narrativo che ancorava il film alle paure geopolitiche di metà anni '80, ma che oggi suona come una bizzarra e quasi innocua eco di un'epoca passata.

Ritroverà suo padre e sua madre come non li aveva mai conosciuti, ragazzi come lui con il loro carico di problemi adolescenziali. La disillusione nel constatare che i propri genitori non erano figure mitologiche e cristallizzate, ma adolescenti insicuri, timidi, goffi o esuberanti quanto lui, è un tema universale. Zemeckis e Gale non si limitano a giocare sul paradosso temporale, ma sondano le profondità psicologiche di un legame familiare ribaltato: Marty, quasi suo malgrado, assume il ruolo di cupido e mentore per i suoi futuri genitori. Non è solo il suo futuro ad essere in bilico, ma l'intera genesi della sua identità, un labirinto edipico intriso di umorismo e tensione che sfida le banali rappresentazioni del rapporto genitore-figlio. Il conflitto generazionale è esplorato con una finezza inaspettata, rivelando le radici di quelle insicurezze e aspirazioni che, una volta comprese, rendono il legame ancora più profondo e autentico.

Dovrà anche riparare ai danni causati dalla sua apparizione e ristabilire il giusto corso degli eventi per poter riavere un futuro. Il film, con sorprendente leggerezza, si destreggia tra le intricate maglie del "paradosso del nonno", rendendolo digeribile e avvincente anche per lo spettatore meno avvezzo ai meandri della fisica quantistica. Ogni minima variazione, dal celebre ritocco sulla foto di famiglia che si dissolve lentamente – un'immagine di suspense tanto semplice quanto efficace – fino al più banale scambio di battute, ha il potenziale di riscrivere non solo la storia personale di Marty, ma un'intera linea temporale. È una corsa contro il tempo che è, essa stessa, una meditazione arguta sull'ineluttabilità del destino e sulla potenza delle piccole scelte individuali. L'ansia costante che il Marty di Michael J. Fox comunica, con quella sua frenesia giovanile e il suo sguardo perennemente spaesato, diviene la nostra stessa ansia per la conservazione di un delicato equilibrio temporale. La scelta di Fox, subentrato a Eric Stoltz dopo diverse settimane di riprese, si rivelò una delle decisioni più azzeccate nella storia del cinema: la sua energia, il suo timing comico e la sua innata empatia sono il cuore pulsante del film, elevando il personaggio oltre la semplice macchietta.

E nel frattempo dovrà imprigionare l’energia di un fulmine per poter immagazzinare la potenza necessaria per spiccare il salto quantico attraverso il tempo. Una soluzione di ingegneria narrativa tanto fantasiosa quanto folgorante, che eleva il dispositivo del viaggio nel tempo da mero espediente scientifico a vero e proprio evento epico, quasi divino. Il fulmine non è solo energia, ma simbolo di un intervento provvidenziale, un lampo di genio che scuote l'universo e permette l'impossibile. È il tocco da maestro che trasforma la fantascienza in una fiaba ad alto voltaggio, in cui la credibilità scientifica è subordinata all'impatto visivo e al ritmo incalzante. L'intero climax alla torre dell'orologio è un balletto di ingegno e tempismo, un'apoteosi del suspense comico-avventuroso che pochi film hanno saputo eguagliare.

La leggerezza della narrazione fa da contrappunto ad una serie di postulati scientifici abbastanza tosti da introdurre in una commedia ma il film funziona alla perfezione. Il segreto di questo equilibrio risiede nella sceneggiatura di Bob Gale e Robert Zemeckis, una vera lezione di economia narrativa e di costruzione di personaggi, rifinita per anni sotto l'occhio vigile di Steven Spielberg, che ne fu produttore esecutivo. Ogni battuta, ogni gag, ogni elemento scenico trova una sua risonanza più avanti nella trama, creando un'esperienza visiva densa ma mai pesante. La colonna sonora di Alan Silvestri, con le sue melodie energiche e i suoi temi iconici, accompagna l'azione con un dinamismo che è quasi un personaggio a sé stante, amplificando l'epica sensazione di avventura e la malinconica dolcezza dei momenti più intimi.

Tra le scene più memorabili: il concerto al ballo studentesco dove Marty per ristabilire il giusto corso degli eventi deve far innamorare suo padre e sua madre che invece si è innamorata di lui. Durante la performance Marty si lancia in un assolo di chitarra elettrica con inevitabile riff metallaro e mentre tutti rimangono basiti ad osservarlo candidamente si scusa: “Forse non siete ancora pronti per questo”. Questa scena non è solo un brillante stratagemma narrativo, ma un meta-commentario sulla natura dell'innovazione culturale. Marty, il ragazzo del futuro, porta il rock 'n' roll puro, non ancora mediato dal pop degli anni '50, un anticipo di ciò che la musica sarebbe diventata. È un momento di geniale anacronismo che culmina con un omaggio implicito a Chuck Berry – il cugino di Marvin Berry, che, ispirato, telefona a Chuck per fargli sentire il "suono" – creando un circolo virtuoso che lega il passato al futuro attraverso la musica. È in questi momenti che Ritorno al Futuro trascende il semplice intrattenimento per divenire un'opera d'arte che riflette sulla storia, sull'identità e sul potere catartico della creatività.

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