Baraka
1992
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Regista
Un viaggio ancestrale attraverso volti e luoghi.
Baraka è un flusso ipnotico di immagini che scandagliano questo nostro piccolo pianeta restituendo un quadro d’insieme di abbacinante bellezza. Non è un documentario nel senso convenzionale del termine, ma piuttosto un'esperienza sensoriale pura, una sinfonia visiva che trascende le barriere linguistiche e culturali, parlando direttamente all'anima con la forza evocativa del cinema nella sua forma più elementare eppure più complessa. L'impiego del formato 70mm, una scelta tecnica audace per l'epoca e un atto di fede nell'opulenza visiva, non è un mero virtuosismo, ma una dichiarazione d'intenti: permette a Fricke di catturare dettagli infinitesimali e panorami smisurati con una chiarezza e una profondità che trascendono la semplice riproduzione, trasformando ogni inquadratura in un dipinto vivente. Questa maestria tecnica eleva il film a un livello quasi mistico, rendendo ogni frame una finestra spalancata sull'infinito.
Baraka è anche un trattato etnografico per icone, un documento sulla diversificazione della razza umana, sulle sue attitudini, sulle sue primordiali pulsioni spirituali. La sua forza risiede proprio in questa capacità di cogliere l'universale nel particolare, il divino nel profano, il sublime nella disarmonia. Non è un film didascalico né un pamphlet moraleggiante, bensì un caleidoscopio di esistenze che coesistono e si scontrano, rivelando le contraddizioni intrinseche alla nostra specie: la ricerca della trascendenza in un mondo sempre più immanente, la coesistenza di un'innata spiritualità con una dilagante materialità. Questo sguardo privo di giudizio, che accosta senza soluzione di continuità la grandezza e la miseria, la devozione e la desolazione, è ciò che conferisce al film la sua profonda risonanza filosofica.
Un’analisi sull’ambiente naturale che l’uomo modifica, stravolge, ingloba nelle sue frenetiche attività. Il contrasto tra l'ancestrale silenzio delle foreste pluviali e il frastuono assordante delle catene di montaggio, tra l'incanto di un tramonto nel deserto e le cicatrici inferte dal progresso industriale, diventa una silenziosa ma assordante riflessione sull'Antropocene, sull'impronta indelebile che lasciamo sul volto del pianeta. Le riprese in time-lapse delle metropoli pulsanti, con i loro fiumi di automobili e le loro formiche umane, non sono solo un'esibizione di tecnica cinematografica, ma una vertiginosa meditazione sulla velocità vertiginosa a cui la vita moderna ha accelerato, e sul costo spesso invisibile di questa accelerazione.
Baraka è una visione della natura ciclica della vita: dalla più abbacinante purezza di lande incontaminate alla feroce industrializzazione dell’uomo. Questa dicotomia, lungi dall'essere una semplice contrapposizione, si rivela come una danza perpetua tra creazione e distruzione, tra nascita e declino, che è intrinseca all'esistenza stessa. Se il pioniere Koyaanisqatsi (di cui Fricke fu direttore della fotografia) aveva già tracciato una via per il cinema non-narrativo, esplorando il disordine e l'equilibrio della vita sulla Terra con un senso di allarme quasi profetico, Baraka ne espande il lessico, portandolo su scala globale e infondendogli una dimensione quasi liturgica, un pellegrinaggio visivo attraverso le varie manifestazioni dello spirito umano e della sua relazione con il cosmo.
Grazie alla colonna sonora di Michael Stearns che raccoglie musiche etniche di varia estrazione restituendo atmosfere di levigata spiritualità, la visione di Ron Fricke si snoda attraverso riti e liturgie in cui balena la sacralità della Natura, l’ultimo momento di devoto raccoglimento prima della scissione tra carne e anima. La musica non è un semplice accompagnamento, ma un tessuto connettivo che lega le immagini disparate, fungendo da bussola emotiva e spirituale. Essa amplifica la potenza del rituale, che sia una danza sufi, una cerimonia aborigena o la preghiera mattutina di un monaco tibetano, rivelando la sete umana universale di connessione con il trascendente. La narrazione, se di narrazione si può parlare, è interamente affidata alla potenza delle immagini e del suono, che si fondono in un'esperienza sinestetica che travolge lo spettatore, invitandolo a una contemplazione profonda più che a una comprensione razionale.
Si alternano così sulla scena danze masai, riti aborigeni di pittura facciale, liturgie tibetane, alternate con immagini di povertà di favelas, baraccopoli, campi profughi. E poi le brulicanti metropoli con le loro formiche umane, con il loro flusso inesauribile di vita. E ancora vulcani in eruzione, cieli in perenne divenire, isole incontaminate. La giustapposizione di queste realtà eterogenee non è casuale né arbitraria; è una costruzione meditata che invita alla riflessione sulla condizione umana nella sua totalità, mostrando la resilienza e la fragilità, la bellezza e la brutalità, la devozione e la disperazione. È un'ode all'interconnessione, un'affermazione che, al di là delle differenze superficiali, esiste un filo invisibile che lega tutte le forme di vita e tutte le esperienze umane.
Baraka è un inesauribile trattato antropologico costruito per visioni scaturite dall’estasi icastica dell’osservazione del Mondo. Non si limita a mostrare, ma a far sentire, a vibrare con il respiro del pianeta. È un cinema che sfida la logica lineare, che si sottrae alle categorie di genere per proporsi come un'opera d'arte totale, capace di provocare e ispirare, di turbare e pacificare, di rivelare e nascondere. La sua universalità e il suo messaggio atemporale risiedono nella capacità di stimolare una consapevolezza più profonda del nostro posto nell'universo, spingendoci a contemplare la magnificenza e la vulnerabilità del nostro mondo e della nostra stessa esistenza.
Un ferino sguardo a chi, a dove, a quando siamo, un monito silente e una celebrazione sonora della straordinaria, talvolta terrificante, avventura che è l'essere umani su questa piccola e fragile sfera blu.
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