Being John Malkovich
1999
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Regista
Da un soggetto di Charlie Kaufman una storia surreale, parodistica, grottesca, che si dipana come un labirinto di specchi dell'inconscio. Kaufman, un demiurgo della sceneggiatura, orchestra qui una delle sue più audaci dissezioni dell'identità e della condizione umana, anticipando temi che avrebbe poi esplorato con ossessiva lucidità in opere successive come Adaptation. e Synecdoche, New York. Il suo cinema è un costante interrogarsi sulla finzione e sulla realtà, sulla maschera e sul volto autentico, un territorio dove il disagio esistenziale si fonde con una comicità dirompente e un'intelligenza sbalorditiva.
Una commedia del subconscio messa in scena con grande verve autoironica da uno stupefacente John Malkovich, attore dal grande talento che per la prima volta è il soggetto principale di un film, divenendone per così dire il fulcro narrativo e contemporaneamente l’interprete. La sua performance non è solo una dimostrazione di umiltà e spirito ludico nel parodiare la propria immagine pubblica, ma una vera e propria esplorazione metanarrativa del concetto di celebrità e della sua appropriazione da parte del pubblico. Malkovich si presta a essere un veicolo, una tela su cui vengono proiettate le fantasie e i desideri altrui, incarnando un’ambiguità e una vulnerabilità che rendono il suo personaggio profondamente, e comicamente, patetico.
Un regista intelligente e autenticamente geniale come Spike Jonze prende per mano una storia in bilico tra sogno e assurdo e ce la presenta con la naturalezza e la spontaneità di un melodramma verista condito con uno spruzzata di Kafka e una sfumatura dadaista. Jonze, con la sua estetica raffinata ma accessibile, mutuata in parte dalla sua pregressa esperienza nei videoclip, dove aveva già dimostrato una sorprendente capacità di evocare mondi interiori (si pensi ai lavori per Björk o i Beastie Boys), trasforma l'astrazione kafkiana della burocrazia alienante e del non-senso in un'esperienza viscerale. Il dadaismo non è solo un accento, ma la matrice stessa dell'operazione: una decostruzione ludica della logica, un invito a ridere di fronte all'assurdità, sovvertendo ogni aspettativa narrativa e visiva. Il celebre "piano sette e mezzo", con il suo soffitto claustrofobico, non è solo un dettaglio surreale, ma una potente metafora dell'esistenza moderna, schiacciata da vincoli invisibili e da una conformità opprimente.
Craig Schwartz (John Cusack) ottiene un posto da impiegato in un’azienda di archivistica situata al settimo piano e mezzo di un grattacielo di New York, quindi a metà strada tra un piano e l’altro con un soffitto molto basso (tanto che chi ci lavora deve camminare piegato).
L’uomo scopre, dietro un pesante archivio di metallo, un cunicolo che conduce alla mente di John Malkovich. Chiunque imbocchi il pertugio avrà a disposizione quindici minuti per entrare nella mente di Malkovich e vivere la sua vita in quel preciso lasso di tempo. Poi sarà eiettato finendo in un fosso autostradale nel New Jersey. Questa premessa, di per sé fulminante, apre un baratro di interrogativi sull’identità, sulla sua fluidità e sulla nostra insaziabile fame di appropriazione dell'altro. È l'apice del voyeurismo, la colonizzazione definitiva della coscienza altrui, un'esperienza che va ben oltre la semplice immedesimazione filmica, trasformando lo spettatore non solo in osservatore, ma in un parassita della celebrità. Il "fosso autostradale" è l'epilogo comico e brutale di questa intrusione, un ritorno alla banale e degradante realtà.
Craig ne parla alla moglie Lotte che vuole provare l’ebbrezza di essere John Malkovich. Ne rimarrà talmente disturbata che la sua sessualità cambierà irrimediabilmente. La trasformazione di Lotte non è solo un twist narrativo, ma una coraggiosa esplorazione della fluidità di genere e del desiderio, che emerge quando i confini dell'io si dissolvono. La mente di Malkovich diventa un laboratorio per l'auto-scoperta, per quanto distorta e surreale essa sia.
Nel frattempo anche la bellissima Maxine, collega di Craig e di cui l’uomo è segretamente innamorato, viene a conoscenza del cunicolo.
Da qui in avanti la storia si complicherà non poco, con le due donne che tramite il trait-d’union della mente di Malkovich provano reciprocamente un’irresistibile attrazione sessuale. Questa dinamica sovverte non solo le convenzioni narrative del triangolo amoroso, ma esplora con audacia la fluidità del desiderio e la natura performativa della sessualità. Il corpo di Malkovich diventa un ponte, un catalizzatore per un amore che trascende le barriere di genere e identità, ponendo domande provocatorie sulla vera natura dell'attrazione e sull'essenza dell'individuo al di là della sua corporeità.
Infine anche John Malkovich verrà a conoscenza del tunnel mentale e lo proverà con effetti esilaranti.
L’abile setup registico di Jonze consente all’elemento surreale di percorrere il territorio della normalità e di emergere con naturalezza e senza alcuna forzatura, come se fosse da sempre innervato all’esperienza quotidiana. Il film si inserisce così nel solco del postmodernismo, dove il gioco metanarrativo e la decostruzione della realtà non sono fini a sé stessi, ma strumenti per sondare le profondità dell'identità e del desiderio nell'era della riproducibilità tecnica.
Il fatto che questo Surreale interagisca con elementi convenzionali della narrazione crea una sensazione di straniamento nello spettatore, una sospensione del giudizio pragmatico, una perdita dei punti di riferimento. Siamo condotti in un labirinto dove la logica cartesiana è sospesa, eppure tutto sembra stranamente coerente all'interno delle proprie, bizzarre, regole.
Davvero memorabile la scena in cui John Malkovich entra nella sua stessa mente per mezzo del passaggio, creando una sorta di strappo nel tessuto logico della Realtà e finendo in un mondo dove tutti sono John Malkovich e dove ogni forma di linguaggio scritto ed orale è limitato alla parola “Malkovich”. Questo è il culmine metatestuale, un delirio autocosciente che riassume l'intero messaggio del film: l'artista, o in questo caso la celebrità, è condannato a essere riprodotto e consumato all'infinito, intrappolato in una parodia di sé stesso. È la definitiva implosione del concetto di "io", un'eco beffarda della caverna di Platone ma con un twist postmoderno, dove le ombre non sono che le infinite repliche del Malkovich-brand. Il suo impatto, sia intellettuale che comico, è devastante, lasciando lo spettatore in un misto di meraviglia e disorientamento. Geniale, e molto divertente, Being John Malkovich non è solo un film, ma un'esperienza unica di decostruzione del sé e del cinema stesso, un monito ironico sulla nostra perenne ricerca di identità in un mondo sempre più mediato e frammentato.
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