Nuovo Cinema Paradiso
1988
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Regista
Giuseppe Tornatore alle prese con le proprie memorie rende omaggio ad un umile proiezionista che lo iniziò ai misteri del cinema facendolo innamorare di quelle storie proiettate in lontananza, in una sala fumosa, tra colpi di tosse e baci appassionati. Questa prima, folgorante immagine dipinge un’epopea intima, una profonda riflessione sulla formazione dell’individuo attraverso l’arte. Il regista non si limita a rievocare il passato, ma intende cristallizzare un’epoca, un sentimento universale: quello della scoperta, dell’incanto primordiale scaturito dall’incontro con la Settima Arte. È il racconto di un’iniziazione non solo artistica ma anche esistenziale, filtrata attraverso il velo dolce-amaro della nostalgia, una “madeleine” proustiana che profuma di celluloide e ricordi d’infanzia.
E lo fa con un candore, una poetica e un linguaggio cristallino tali che è impossibile restare indifferenti dinanzi al risultato finale dei suoi sforzi. La maestria di Tornatore si manifesta in una direzione lirica, quasi sinfonica, dove ogni inquadratura è cesellata con la precisione di un cesello e la delicatezza di un pennello. A elevare ulteriormente questa partitura visiva concorre, in maniera indissolubile, la colonna sonora di Ennio Morricone. Le sue melodie, evocative e struggenti, non sono mero accompagnamento, ma una vera e propria voce narrante, capace di amplificare il pathos delle scene e di imprimere le immagini nella memoria dello spettatore con la forza di un inno alla bellezza perduta. È un’opera in cui l’emozione non è mai forzata, ma scaturisce naturalmente da una narrazione che procede per accumulo di piccoli, significativi dettagli.
Un’operazione metacinematografica verrebbe da dire: cinema che parla di cinema, come già aveva fatto Truffaut da un’altra angolazione. Certo, il parallelo con il Truffaut de La Nuit américaine (tradotto in italiano come Effetto Notte) è inevitabile e illuminante. Ma se il capolavoro del regista francese indagava le segrete meccaniche della creazione cinematografica, il dietro le quinte, con tutte le sue idiosincrasie e le sue fugaci magie, Tornatore sposta l’obiettivo. Egli non si addentra nei set polverosi o nelle sfide di una troupe, ma piuttosto nella sacra oscurità della sala, nel rituale collettivo della visione.
Se quella del regista francese infatti era il punto di vista del cinema nel suo farsi, Tornatore parla di cinema vissuto dal pubblico. Nuovo Cinema Paradiso è un’ode all’esperienza catartica e democratica della fruizione, alla capacità dello schermo di fungere da specchio e da finestra sul mondo per un pubblico affamato di sogni, specialmente nell’Italia del dopoguerra, dove il cinema era spesso l’unica evasione da una realtà ancora segnata dalle privazioni. È la storia di un luogo che era molto più di un semplice edificio: un tempio laico, un agorà emotiva dove risate e lacrime si mescolavano, dove l’amore nasceva furtivo e la vita si rifletteva, filtrata dalla luce di una bobina. La figura del proiezionista, Alfredo, diventa così non solo un tecnico, ma un vero e proprio custode di sogni, un demiurgo che con il suo tocco dà vita a universi fantastici, non senza dover fare i conti con la censura ecclesiastica, simboleggiata dal tagliente campanello del parroco che squarciava l’illusione, mutilando i baci e gli abbracci più audaci.
Si aggiunga la magistrale interpretazione di un attore di consumato mestiere come Philippe Noiret per avere un’idea della grandezza di questo film. Il volto segnato e la saggezza bonaria di Philippe Noiret infondono ad Alfredo una profondità rara e inimitabile. Noiret non si limita a recitare: egli incarna la figura paterna e mentore, un’àncora di stabilità e di affetto in un mondo in rapido mutamento. La sua chimica con Salvatore Cascio, il bambino che interpreta Totò picciriddu, è palpabile, intrisa di quella tenerezza burbera che rende il loro legame credibile e commovente, uno dei più riusciti binomi cinematografici di maestro e allievo. È attraverso gli occhi di Alfredo che impariamo a decifrare l’amore per il cinema, la sua malinconia per un mondo che cambia e la sua strenua, quasi stoica, fede nel futuro del suo giovane pupillo.
La storia è quella di un regista romano che fa ritorno nel natio borgo selvaggio in Sicilia per la morte di un anziano proiezionista che lo aveva iniziato ai misteri della Settima Arte. Il ritorno di Salvatore, ormai affermato regista, nella sua Sicilia ancestrale non è solo un atto dovuto, ma un viaggio introspettivo nel dedalo della memoria. La narrazione si sviluppa su più piani temporali, con flashback che si susseguono a cascata, rivelando l’infanzia vivace e curiosa di Totò, il rapporto quasi filiale con Alfredo, ma anche il primo, lacerante amore per Elena, una passione adolescenziale che modella l’anima del protagonista e ne determina, in parte, le successive scelte di vita.
Sarà l’occasione per rivisitare con la memoria luoghi, vite, emozioni passate che riaffiorano in lui con la potenza di un linguaggio nuovo e incontrovertibile. Ogni fotogramma trasuda di questa riemersione mnemonica: il tintinnio delle monete nella cabina di proiezione, il fumo denso che riempiva la sala, le risate e i commenti della platea, le sequenze tagliate dei baci che Alfredo accumulava clandestinamente, tutte tessere di un mosaico che si ricompone nel cuore del protagonista. È un percorso che, pur intriso di nostalgia, non si abbandona mai a un facile sentimentalismo, bensì si confronta con le inevitabili trasformazioni che il tempo impone. La distruzione del vecchio cinema, la sua implosione in un cumulo di macerie che cede il passo al progresso, è un simbolo potente della fine di un’era, ma anche della necessaria, seppur dolorosa, evoluzione di un’arte sotto nuove forme.
Rivivrà il rapporto con Alfredo, proiezionista dell’unico cinema della piccola cittadina siciliana, la sua saggezza, la sua ironia, i suoi lampi di umorismo che illuminano i ricordi di una calda luce malinconica. Un rapporto simbiotico, quasi platonico, quello tra il maestro e l’allievo, che trascende la mera didattica tecnica per abbracciare l’educazione sentimentale e morale. Alfredo è il Virgilio di Totò nel purgatorio delle passioni e nel paradiso delle immagini.
Quando bambino frequentava la cabina di proiezione di Alfredo svelandone gli oscuri misteri fino a che, da ragazzo, partì per cercare fortuna fuori dalla Sicilia. La partenza di Totò per Roma, spinto proprio dal mentore che lo esorta a non guardare indietro, segna il passaggio dall’innocenza alla maturità, dalla protezione alla solitudine del successo.
Il discorso di commiato d’Alfredo è una meravigliosa sintesi di affetto e saggezza: “Non tornare più, non ci pensare mai a noi, non ti voltare, non scrivere. Non ti fare fottere dalla nostalgia, dimenticaci tutti. Se non resisti e torni indietro, non venirmi a trovare, non ti faccio entrare a casa mia. O’ capisti? Qualunque cosa farai, amala, come amavi la cabina del paradiso quando eri picciriddu.”. Queste parole, incise a fuoco nella memoria di Totò (e in quella dello spettatore), non sono un mero addio, ma un viatico, un imperativo categorico per abbracciare il futuro senza rimpianti. Alfredo, pur consapevole del proprio ruolo di figura paterna, riconosce la necessità per Totò di volare via, di rompere le catene della tradizione e della geografia per realizzare il proprio destino. È una lezione di vita universale: il coraggio di lasciare il nido, di affrontare l’ignoto, ma sempre con la passione intatta per ciò che si intraprende. E proprio questa ultima raccomandazione – “Qualunque cosa farai, amala, come amavi la cabina del paradiso quando eri picciriddu” – si rivela il vero testamento spirituale, la chiave per comprendere il dono finale che Alfredo riserva al suo pupillo: quella bobina clandestina, collazione di tutti i baci censurati, che alla fine del film si srotola sullo schermo. Quel montaggio finale, struggente e catartico, non è solo un omaggio al cinema e alla sua capacità di conservare i momenti più intensi dell’emozione umana, ma è il culmine del viaggio di Totò, la riconciliazione con il proprio passato e la riscoperta di un amore puro e incondizionato, esattamente come quello per la "cabina del paradiso". È la celebrazione della memoria non come prigione, ma come fonte inesauribile di ispirazione e di vita, un lascito che ha valso al film un meritatissimo Oscar come Miglior Film Straniero e un posto d’onore nell’Olimpo del cinema mondiale.
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