Clerks - Commessi
1994
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Regista
Prodotto a bassissimo costo (budget totale: ventisettemila dollari, uno dei più bassi di sempre) è la cronaca di una giornata di lavoro di un commesso in un emporio in una cittadina del New Jersey. Una cifra irrisoria, persino per gli standard dell'indipendente più estremo, che non è stata un ostacolo, bensì una virtù: il bianco e nero granuloso, una scelta non solo economica ma estetica, conferisce alla pellicola una grana quasi documentaristica, un'immediatezza che trascende la mera rappresentazione per assurgere a ritratto generazionale. È un bianco e nero che evoca il neorealismo urbano, non per grandezza epica, ma per la sua cruda onestà nel catturare il tedio e le piccole rivolte del quotidiano.
Kevin Smith, regista all’epoca esordiente, scrive, produce, recita e filma quella che evidentemente è una vicenda che pertiene alla sua personale esperienza, tinteggiando con innegabile partecipazione emotiva le personalità dei due commessi protagonisti e delle loro bislacche vicende. Non si tratta solo di trasposizione biografica, ma di un atto quasi fondativo per quello che sarebbe diventato il suo "View Askewniverse", un universo narrativo coerente e irriverente che attinge direttamente alle idiosincrasie del suo mondo e della sua cultura pop di riferimento. Smith, con un coraggio quasi incosciente, ipotecò la sua collezione di fumetti e carte di credito per finanziare questo progetto, trasformando un atto di disperazione finanziaria in una pietra miliare del cinema indipendente americano, un manifesto dell'estetica "slackera" della Generazione X, che trova nel nichilismo esistenziale e nell'ironia il suo grido di battaglia contro la banalità del mondo del lavoro.
Dialoghi effervescenti, tono canzonatorio in ogni situazione, personaggi improbabili che animano la tetra routine del lavoro dietro ad un bancone. La vera forza di Clerks risiede nella sua verbosità tagliente e nell'abilità di elevare il triviale al rango di discussione filosofica. Ogni battuta è una pugnalata, un aforisma fulminante, una citazione pop distillata e rielaborata in un contesto di provincia. Le discussioni sull'etica dei "contractors" della Morte Nera in Guerre Stellari o sulle presunte virtù del sesso orale, lungi dall'essere mera volgarità, diventano espressioni di un disagio esistenziale profondo, di una ricerca di significato in un mondo che sembra non offrirne alcuno. I personaggi, sebbene ai margini della società produttiva, possiedono una logica interna, per quanto distorta, che li rende stranamente affascinanti e rappresentativi di una controcultura che rifiuta le convenzioni borghesi.
Questi ingredienti insieme al mestiere già consumato del regista fanno amare questo film allo spettatore che non tarda a immedesimarsi nei panni dei due protagonisti. La capacità di Smith di orchestrare il caos verbale e di conferire un ritmo incalzante a una trama apparentemente statica è la prova di un talento innato per la narrazione, anche in assenza di mezzi. Il suo è un cinema che celebra l'antieroe, il procrastinatore cronico, il sognatore senza ambizioni concrete, e lo fa con una sincerità disarmante che crea un legame empatico quasi immediato. Nonostante le loro imperfezioni e le loro reazioni spesso inaccettabili, Dante e Randal diventano archetipi universali della frustrazione giovanile e del desiderio di evasione da una quotidianità opprimente, in una maniera che ricorda l'angoscia esistenziale di certa letteratura beat, filtrata attraverso l'estetica della videocassetta e del fast food.
Decine le scene memorabili, il film in effetti è diviso in piccoli sketch titolati riprendendo una gloriosa tradizione comica degli esordi del genere. Questa scelta strutturale non è casuale; evoca la frammentarietà del teatro di varietà, del vaudeville o persino delle prime pellicole comiche muti, dove vignette autonome si susseguivano per costruire un mosaico di situazioni. Ogni titolo – "Dante and Randal and a Customer Who Wants Eggs", "The Debate on Whether the Empire Was Evil" – funge da didascalia brechtiana, quasi un intertitolo da film muto, che scandisce il flusso degli eventi e sottolinea l'assurdità intrinseca di ogni interazione, trasformando la giornata lavorativa in una commedia dell'assurdo a episodi.
Il cliente che cerca l’uovo perfetto, vittima di una fobia che lo porta a scartabellare, tastare e lisciare uova nei minimarket di mezzo Paese salvo poi scoprire che è un direttore didattico, figura lavorativa inutile che sfoga così la sua frustrazione. Questa scena è un microcosmo della critica sociale di Smith: il personaggio, apparentemente un eccentrico innocuo, si rivela essere un rappresentante della burocrazia inefficace, il cui disturbo ossessivo-compulsivo sulle uova è una metafora della sua alienazione e della sua incapacità di trovare un significato autentico nella vita, se non attraverso la micro-gestione del banale. La sua figura è un monito ironico all'inutilità di certe professioni e alla vacuita delle vite che esse creano.
La donna che cerca disperatamente di catturare l’attenzione del commesso su film da noleggiare, commesso che sarcasticamente la ignora deridendo la sua ansia cinefila. Questo è un altro tocco di genio meta-cinematografico. La sua foga nel voler condividere una passione, pur attraverso le lenti distorte della cinefilia più pedante, si scontra con l'apatia sprezzante di Randal, il quale, da vero impiegato del videonoleggio, ha sviluppato un'immunità alla meraviglia del cinema, riducendolo a mero prodotto da scaffale. È un ritratto amaro e esilarante della distanza tra la passione autentica e la sua mercificazione, un siparietto che smaschera l'illusione della "conoscenza" come forma di superiorità, e la reazione difensiva di chi, intrappolato nella routine, rifiuta ogni barlume di entusiasmo altrui come una minaccia alla propria indifferenza. Clerks è, in definitiva, un monumento all'ordinario, elevato a straordinario attraverso la lente acuta e irriverente di un cineasta che ha saputo trovare l'epos nel negozio di alimentari e la filosofia nella chiacchiera da bar.
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