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Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo

1977

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Un film pensato, scritto e girato da Spielberg, quando ancora si occupava di cinema in modo, per così dire, artigianale. Un periodo forse più puro della sua carriera, intriso di una meticolosità quasi ossessiva e di una libertà espressiva che anticipava ma non era ancora soffocata dalla titanica macchina produttiva dei blockbuster globali che avrebbero dominato il decennio successivo. Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo emerge da questa fase come una gemma rara, un distillato purissimo della sua nascente poetica.

E i risultati sono a dir poco sublimi, con l’edificazione di un’opera in cui mistero e speranza danzano avvinti, non come elementi contrapposti, ma come forze complementari che si nutrono a vicenda, dando vita ad una storia appassionante che è al contempo un’odissea interiore e un’epopea cosmica. Il mistero non è qui un mero espediente narrativo per generare suspense, bensì un veicolo per l'ineffabile, per ciò che trascende la comprensione ordinaria e che spinge l'individuo oltre i confini della sua percezione quotidiana. La speranza, d’altro canto, si manifesta come una fede quasi mistica nella benevolenza dell'ignoto, un antidoto alla paura atavica dell'alieno.

Dopo aver assistito all’apparizione di un ufo nel cielo, un operaio delle linee elettriche, Roy Neary, interpretato con una febbrile intensità da Richard Dreyfuss, comincia ad avere strane visioni. Non si tratta di allucinazioni casuali, ma di una peculiare percezione sonora: cinque distinte note che gli rimbalzano continuamente nella mente, un leitmotiv ossessivo che funge da chiave musicale per un enigma che lo sta consumando. L’uomo non sa darsi pace e, mosso da un impulso irrefrenabile che travalica la ragione e lo spinge verso una follia apparente, decide di andare ad investigare nel luogo suggeritogli dalle visioni, un’immagine montana che si incide prepotentemente nella sua psiche, quasi un’impronta divina.

Verso lo stesso luogo è diretta anche Jillian, una madre disperata che ha assistito impotente al proprio figlio risucchiato da una navicella spaziale, un trauma che la lega indissolubilmente a un destino comune e la trasforma in una figura archetipica della ricerca e del dolore materno. In questo luogo, che si rivela essere la Devil's Tower nel Wyoming, i due scopriranno un centro scientifico eretto da poco, celato sotto una facciata di finte minacce biologiche. All’interno del complesso, scienziati di molte nazionalità guidati dal francese Lacombe, con il volto enigmatico e serafico di François Truffaut – una scelta di casting che, oltre a donare una profondità intellettuale al personaggio, è un omaggio cinefilo al maestro della Nouvelle Vague – stanno studiando il fenomeno del contatto extraterrestre.

Sarà l’inizio di una straordinaria avventura in cui la parola fratellanza varcherà milioni di chilometri nello spazio per trovare negli “altri” un interlocutore disposto a comunicare pacificamente. È questa una delle più grandi intuizioni spielberghiane: ribaltare il paradigma dell'invasione aliena, tipico della fantascienza dell'epoca, in favore di un primo contatto basato sull'empatia, sulla curiosità e su un linguaggio universale. La sequenza finale, con il dialogo musicale tra umani ed extraterrestri attraverso le cinque note, orchestrate magistralmente dalla colonna sonora di John Williams, non è solo un trionfo di effetti speciali per l'epoca (grazie all'innovativo lavoro di Douglas Trumbull), ma un momento di pura trascendenza, un'epifania sonora e visiva che celebra la possibilità di un'armonia cosmica. Le luci e i suoni non sono un mero spettacolo, ma divengono il vocabolario di una lingua nuova, intesa oltre le barriere terrestri.

Spielberg si cimenta nella fantascienza più incontaminata, quella cioè pseudo-scientifica dell’ufologia, ma con una serietà e un rispetto per la materia che elevano il genere a vette quasi filosofiche. Il personaggio di Lacombe è modellato infatti sull’ufologo francese Jacques Vallée, scienziato dell’Università del Texas che, tra le altre cose, ha avuto il merito di stilare la prima mappatura cartografata del pianeta Marte nel 1962 per conto della NASA. Le sue teorie, in particolare quelle relative ai contatti ravvicinati e alla classificazione degli avvistamenti, furono fondamentali per l’impianto concettuale dell’opera, fornendo un substrato di credibilità a una narrazione altrimenti fantastica. Sebbene in seguito Vallée abbia mutato radicalmente la sua opinione sugli avvistamenti di UFO, negandone in sostanza la veridicità e sostenendo che un’eventuale razza aliena possa provenire soltanto da una dimensione parallela alla nostra (una svolta che aggiunge una nota di malinconica ironia alla genesi del film), la sua influenza iniziale fu cruciale.

Resta immutato il grande valore estetico e concettuale di questo film. Spielberg ha sicuramente avuto il merito di operare una sorta di collatio tra le varie teorie ufologiche del tempo, riuscendole a fondere in una storia narrativamente ineccepibile, che bilancia la meraviglia dell'incontro con le inquietudini della ricerca. Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo non è solo un film sulla possibilità di vita extraterrestre, ma un'esplorazione profonda della propensione umana verso l'ignoto, della nostra intrinseca sete di conoscenza e della speranza di trovare, oltre i confini del nostro piccolo mondo, non una minaccia, ma un riflesso di noi stessi, o forse una versione superiore, più evoluta, della nostra stessa coscienza. È un’opera in cui l’uomo compie un passo decisivo verso la luce della conoscenza che in un battito di ciglia si estende verso dimensioni remotissime, un ponte gettato sull'abisso cosmico, un inno all'avventura dello spirito umano nel vasto, misterioso e promettente universo.

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