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Crip Camp: Disabilità Rivoluzionarie

2020

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Crip Camp: A Disability Revolution (2020) di Nicole Newnham e James LeBrecht, non è semplicemente un documentario. È un atto di recupero storiografico, un manifesto politico di una potenza rara e, soprattutto, un racconto sovversivo e gioioso che smantella decenni di rappresentazioni pietistiche sulla disabilità. Il film, prodotto dalla Higher Ground dei coniugi Obama, non chiede compassione, ma esige attenzione. Non mostra vittime, ma rivela rivoluzionari. È un'opera tagliente che usa l'archivio per riscrivere il presente, dimostrando come la lotta per i diritti civili più basilari nasca spesso da un'utopia inattesa.

Il film si apre in un luogo che sembra uscito da un sogno libertario: Camp Jened, un campo estivo per adolescenti disabili gestito da hippie nei primi anni '70. Questo non è un istituto medico, ma un laboratorio di umanità. In questo spazio franco, la disabilità è la norma, non l'eccezione. Per la prima volta, ragazzi con poliomielite, paralisi cerebrale o spina bifida smettono di essere l'oggetto delle cure o della commiserazione altrui per diventare semplicemente... adolescenti. Discutono di sesso, fumano erba, suonano, litigano e si innamorano con una libertà che il mondo esterno, l'America delle barriere architettoniche e mentali, nega loro ferocemente.

L'implicazione intellettuale di questa prima parte è sismica. Camp Jened opera una trasformazione fondamentale della coscienza: sposta il "problema" dall'individuo alla società. I campeggiatori smettono di chiedersi "Cosa c'è di sbagliato in me?" e iniziano a domandarsi "Cosa c'è di sbagliato in un mondo che non mi prevede?". Questo cambio di paradigma è il seme della rivoluzione. Il campo diventa una fucina politica dove si forgia un'identità collettiva, una "coscienza crip" che comprende che l'isolamento è una strategia di controllo e che l'unica risposta possibile è l'azione comune. La seconda metà del film segue i protagonisti di quell'estate idilliaca nel mondo reale, dove l'utopia si scontra con il muro di gomma della burocrazia e del pregiudizio. Il rapporto con il mondo esterno è di conflitto puro. La narrazione si concentra sulla figura carismatica di Judy Heumann e sulla lotta per l'applicazione della Sezione 504 del Rehabilitation Act del 1973, una legge fondamentale che vietava la discriminazione basata sulla disabilità nei programmi federali.

Quando l'amministrazione Carter ne ritarda l'attuazione, i veterani di Jened organizzano un'azione di protesta storica: il "504 Sit-in" del 1977 a San Francisco, la più lunga occupazione di un edificio federale nella storia degli Stati Uniti. Qui, il film diventa un thriller politico mozzafiato. Vediamo la comunità disabile, con tutta la sua fragilità fisica e la sua incrollabile forza politica, organizzare una resistenza di 28 giorni. In un'arguta e potente testimonianza di solidarietà tra oppressi, ricevono un sostegno cruciale da altri gruppi per i diritti civili, come le Pantere Nere, che portano loro cibo caldo ogni giorno, riconoscendo la loro lotta come parte della stessa battaglia per la dignità. La disabilità cessa di essere una questione medica e diventa inequivocabilmente una questione di diritti civili.

Il cinema, per sua natura visiva, tende a osservare la disabilità dall'esterno, oggettificandola. La letteratura, al contrario, ha spesso avuto gli strumenti per abitare la disabilità dall'interno. Se il Capitano Achab di Herman Melville in Moby Dick può essere letto come il prototipo del villain la cui disabilità alimenta una monomania distruttiva ("Tutti i miei mezzi sono sani, il mio movente e il mio oggetto folli"), il monologo interiore di Benjy Compson ne L'urlo e il furore di William Faulkner è un tentativo rivoluzionario di rappresentare una coscienza non-neurotipica senza filtri, dall'interno della sua percezione frammentata. La letteratura può esplorare la soggettività, il cinema mainstream troppo spesso si ferma alla superficie. Crip Camp riesce a compiere un miracolo: pur essendo un film, raggiunge la profondità interiore della letteratura. Lo fa usando il linguaggio più onesto possibile: il filmato d'archivio girato dalla comunità stessa e la narrazione in prima persona di chi c'era. Rifiuta categoricamente il patetico per abbracciare il politico. Non ci mostra "come ci si sente ad essere disabili", ma "cosa hanno fatto i disabili per cambiare il mondo".

Crip Camp ci lascia con una verità tanto semplice quanto potente: i diritti non vengono mai concessi. Vengono conquistati.

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