Movie Canon

The Ultimate Movie Ranking

Dead Man

1995

Vota questo film

Media: 0.00 / 5

(0 voti)

Se vi fermaste un attimo, proprio nel mezzo della routine frenetica in cui tutti siamo trascinati e travolti, scoprireste suoni e panorami a cui non avevate mai fatto caso, e la loro bellezza vi struggerebbe, proprio perché lì, a portata di mano per tutto il tempo, ma mai saliti alla luce della coscienza. È un’epifania laica, quasi zen, un invito a decelerare e a percepire lo strato più profondo del reale, quello che sfugge alla logica del profitto e della velocità.

Dead Man è esattamente così: accende e fa divampare la bellezza dalle cose quotidiane che sono inquadrate in tralice, con una segmentazione visiva che non ha precedenti sprigionando un selvaggio lirismo. Un lirismo che non è solo visivo, ma sonoro, intessuto nella trama del film come una seconda pelle. La colonna sonora, improvvisata e scarna, di Neil Young è una vera e propria entità scenica, una chitarra elettrica acida e distorta che graffia l'anima del paesaggio, trasformando ogni inquadratura in una meditazione errante, un lamento ancestrale che segue i passi lenti e inevitabili del protagonista. Non è un semplice accompagnamento, ma una voce interiore, l'eco del deserto e del subconscio, un drone ipnotico che trascina lo spettatore in una dimensione altra, dove tempo e spazio si dilatano e si confondono.

La storia è quella di William Blake, un piccolo contabile di Cleveland che a fine Ottocento viaggia verso la città di Machine, all’estrema frontiera ovest, dove gli è stato promesso un posto di lavoro. Il nome del protagonista non è casuale, ma un esplicito e potentissimo riferimento al poeta, mistico e incisore britannico del XVIII secolo, William Blake, il visionario delle “Songs of Innocence and of Experience”. È un’allusione che eleva immediatamente il film da semplice western a parabola allegorica, un viaggio iniziatico nell’anima e nella morte. Il nostro Blake, così mite e inetto, è la tabula rasa perfetta per incarnare la transizione, la lenta e inesorabile purificazione attraverso il dolore e la perdita, fino a diventare una sorta di “uomo morto che cammina”, ma anche un’anima destinata all’illuminazione.

Arrivato in città dopo un lungo viaggio in treno scopre che l’azienda non ha più bisogno di lui venendo allontanato bruscamente dal padrone dell’azienda John Dickinson, una sorta di signorotto locale che regge le sorti della città. Machine è il simbolo di una civiltà occidentale brutale, guidata dalla pura avidità e dalla violenza, un contrappunto grottesco alla spiritualità che Blake scoprirà nel suo cammino. L'uomo sconsolato per aver speso tutti i suoi risparmi in quel viaggio si concede una bevuta al Saloon e conosce una prostituta. Charlie Dickinson, figlio di John, li sorprende insieme e, innamorato follemente della donna, spara a William che a sua volta lo uccide. Questo innesco, apparentemente convenzionale per un western, è solo il pretesto per una discesa nel surreale.

Will ferito a morte scappa nella foresta a cavallo e viene soccorso da Nessuno, un indiano allontanato dalla sua tribù per aver subito la deportazione in Europa. Nessuno, il cui nome è un ossimoro potente, non è solo un personaggio, ma un archetipo: il Virgilio sciamanico che guida il Dante ferito attraverso un purgatorio onirico. La sua storia di deportazione e "civilizzazione" forzata è una cruda e necessaria denuncia del genocidio culturale subito dai nativi americani, un tema ricorrente e doloroso nella storia del West, qui trattato con una dignità e una melanconia rare. Nessuno decide di soccorrere quello strano uomo che ha lo stesso nome del suo poeta preferito aiutandolo a scappare dai cacciatori di taglie, figure spietate e spesso caricaturali che popolano questo paesaggio infernale, metafore di una società che divora se stessa. Il loro viaggio è una lenta, inesorabile processione verso la fine, ma anche verso una trascendenza inaspettata. Jarmusch smonta e rimonta il genere western, trasformandolo in un’elegia nichilista eppure profondamente spirituale, un "anti-western" che sovverte ogni cliché eroico per esplorare la brutalità del mito della frontiera e la possibilità di redenzione attraverso la comunione con la natura e con la morte stessa.

L’uso di un bianco e nero spettrale immerge l’azione in un lanuginoso catino colmo di nebbia e ovatta, inquadrature nervose sempre a tagliare fuori il cielo, personaggi prigionieri del proprio ironico destino. Questo bianco e nero non è una scelta stilistica fine a se stessa, ma una vera e propria dichiarazione di intenti. Evoca la fotografia d'epoca, ma al contempo eleva la narrazione a un livello atemporale, quasi mitologico. Togliendo il colore, Robby Müller e Jarmusch ci costringono a focalizzarci sulle texture, sui volti, sulle espressioni, sul gioco di luci e ombre che danza tra gli alberi, rivelando un mondo primordiale e puro, spogliato da ogni sovrastruttura. Le inquadrature claustrofobiche, che spesso escludono l'orizzonte, rafforzano il senso di un viaggio interiore, un percorso obbligato e senza vie di fuga, dove ogni passo avvicina il protagonista non tanto a una meta geografica, quanto a una rivelazione di sé. I personaggi, in questo quadro, sembrano mossi da forze più grandi di loro, marionette di un fato che Jarmusch dipinge con pennellate di umorismo nero e di rassegnazione filosofica.

Incantevole la fotografia di Robby Müller, già collaboratore di Wim Wenders in una perla del bianco e nero come Nel Corso del Tempo, e architetto di mondi visivi unici anche per registi come Jim Jarmusch stesso (Down by Law, Mystery Train) e Lars von Trier. Un lavoro, quello di Müller, che infonde un’aura di spiritualità ai panorami selvaggi, quasi una fusione tra il candido misticismo di Nessuno e la sobria severità di quei boschi. La sua capacità di trasformare il paesaggio in un personaggio, in un riflesso dell'anima tormentata e purificata di William Blake, è magistrale. La nebbia, il fumo, i giochi di luce attraverso il fogliame non sono semplici effetti atmosferici, ma elementi narrativi che avvolgono e trascendono la vicenda, rendendo il viaggio di Blake non solo una fuga dai cacciatori di taglie, ma un'immersione progressiva nel regno dei morti e nel sacro. Dead Man è un piccolo capolavoro di allucinata poesia che fa bene agli occhi e allo spirito, una meditazione ipnotica sulla morte come compagna ineludibile e sulla natura come tempio ultimo.

Galleria

Immagine della galleria 1
Immagine della galleria 2
Immagine della galleria 3
Immagine della galleria 4
Immagine della galleria 5
Immagine della galleria 6
Immagine della galleria 7
Immagine della galleria 8
Immagine della galleria 9
Immagine della galleria 10
Immagine della galleria 11

Commenti

Loading comments...