Eva contro Eva
1950
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Regista
Joseph L. Mankiewicz, regista sensibile alle tortuosità delle passioni umane e abile artigiano della cinepresa, ricavò questo film da un racconto di Mary Orr e ne fece un’opera dove vita e recitazione si compenetrano dando luogo ad un intreccio appassionante sul degrado delle relazioni umane. La sua maestria non risiede solo nella sapiente direzione degli attori, ma nella capacità quasi chirurgica di dissezionare l'animo umano attraverso dialoghi affilati come lame e una costruzione narrativa che si srotola con la precisione di un orologio. Mankiewicz, forte del suo background di sceneggiatore (fu vincitore di Oscar consecutivi per la sceneggiatura di Lettera a tre mogli e Eva contro Eva), intesse una trama densa, dove ogni battuta, ogni sguardo, rivela strati sempre più profondi di ambizione, invidia e disillusione, trasformando il palcoscenico di Broadway in una metafora universale delle dinamiche di potere e autoinganno.
Anche in questo caso, come già in Sunset Boulevard di Wilder ad esempio, il cinema guarda e parla di se stesso in prima persona generando quello che molti semiologi hanno identificato come metacinema (l’opera più clamorosa in questo campo semantico sarà Effetto Notte di Truffaut). Ma Eva contro Eva va oltre la semplice autoriflessione, elevandosi a una profonda indagine sul mito della celebrità e sulla performatività dell'identità stessa. Non è solo il mondo dello spettacolo a essere messo sotto la lente d'ingrandimento, ma l'illusione che tutti noi creiamo attorno a noi stessi, le maschere che indossiamo e le narrazioni che costruiamo per ascendere, o anche solo per sopravvivere, nella giungla sociale. Il teatro, con le sue luci impietose e i suoi sipari rivelatori, diviene il perfetto microcosmo per esplorare la fragilità della fama e il prezzo esorbitante che spesso si paga per raggiungerla e mantenerla.
La storia è incentrata sulla stella di Broadway Margo Channing. Figura iconica di diva sul viale del tramonto, Margo incarna la vulnerabilità dell'artista di fronte all'avanzare dell'età e alla spietata logica del ricambio generazionale. Il suo monologo "Fasten your seatbelts, it's going to be a bumpy night" è diventato un inno alla resilienza, ma anche alla consapevolezza amara della caducità di ogni gloria. La donna prende sotto la sua protezione una ingenua aspirante attrice, Eve Harrington, la cui apparente innocenza è solo una vernice sottile che nasconde una volontà di ferro e una spietata sete di successo.
Sarà l’inizio di una lenta metamorfosi che trasformerà una spaesata ragazza in una mostruosa arrampicatrice sociale capace di passare sul cadavere della sua protettrice pur di arrivare al successo. La trasformazione di Eve non è solo un cambio di status, ma una mutazione radicale dell'essere, un processo attraverso il quale l'ambizione divora l'anima, lasciando dietro di sé un guscio freddo e calcolatore. Il film dipinge magistralmente come la manipolazione e l'inganno diventino strumenti primari in questa scalata, tessendo una rete di menzogne che soffoca ogni legame autentico.
In questa danza mortale di ambizioni, un ruolo cardinale è giocato da Addison DeWitt, il critico teatrale interpretato con glaciale, sferzante intelligenza da George Sanders (che gli valse un Oscar come Miglior Attore non Protagonista). DeWitt è l'occhio onnisciente e cinico del sistema, il burattinaio che conosce ogni filo e ogni segreto, il narratore della storia che è egli stesso un protagonista attivo, godendo nel manipolare le vite altrui come fossero personaggi della sua recensione. La sua figura incarna il potere della parola e del giudizio, capace di elevare o distruggere carriere, e sottolinea come il circo mediatico sia parte integrante del successo e del fallimento nel mondo dello spettacolo. La sua prosa tagliente e la sua incrollabile autostima lo rendono la controparte perfetta di Eve, un predatore intellettuale che riconosce e sfrutta la stessa fame di potere che anima la giovane arrivista.
Un film affascinante, splendidamente interpretato da Bette Davis e Anne Baxter, che segnò il debutto di un’attrice di belle speranze che di lì a poco avrebbe conosciuto un successo clamoroso: Marilyn Monroe. La performance di Bette Davis, in particolare, è un capolavoro di intensità e vulnerabilità, un ritorno trionfale che le valse una delle sue ultime, memorabili nomination all'Oscar. Il suo ritratto di Margo Channing, diva sferzata dalla vita e dai sospetti, è entrato nell'immaginario collettivo, dimostrando la profondità e la complessità che un'attrice poteva infondere in un personaggio apparentemente sgradevole. Anne Baxter, d'altro canto, bilancia con astuzia l'ingenuità iniziale di Eve con la sua crescente, gelida determinazione, rendendo la sua metamorfosi inquietante e credibile. Il cameo di Marilyn Monroe, come la bionda e ingenua Claudia Casswell, è un presagio ironico del suo futuro da icona, aggiungendo un'ulteriore dimensione metacinematografica a un film già così attento al proprio linguaggio e al proprio mondo.
L'opera è un saggio al nero sulla corruzione delle passioni umane e delle più elementari aspirazioni. Ma è anche un'analisi implacabile della solitudine che accompagna la cima del successo, un monito sulla fugacità della gloria e sulla natura ciclica dell'ambizione. Il finale, con l'immagine di Phoebe, un'altra giovane fan che si rivela essere una potenziale Eve del futuro, chiude il cerchio in modo agghiacciante, suggerendo che la spirale di inganno e di ascesa spietata è un destino ineludibile, un dramma che si ripete all'infinito nel perpetuo desiderio di occupare il centro della scena. Eva contro Eva rimane, a distanza di decenni, non solo un classico intramontabile del cinema, ma un'analisi acuta e disincantata dell'anima umana, con tutte le sue grandezze e le sue infinite, tragiche bassezze.
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