Fahrenheit 451
1966
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Regista
Un film controverso, osteggiato da una parte della critica che non perdonò a Truffaut di aver tradito il suo estro spiccatamente europeo per dedicarsi ad un progetto troppo americanizzato (a cominciare dal romanzo di Ray Bradbury da cui è tratto, un libro di fantascienza per giunta). Un'accusa, quella di aver strizzato l'occhio a un genere e a un mercato solitamente lontani dalle idiosincrasie d'autore della Nouvelle Vague, che appare oggi, a distanza di decenni, non solo miope ma profondamente ingiusta. Truffaut, l'alfiere di una cinematografia votata all'introspezione e alla libertà espressiva, non stava tradendo nulla; stava, semmai, espandendo i confini del proprio linguaggio, dimostrando come anche un archetipo della fantascienza potesse essere imbevuto di una sensibilità squisitamente autoriale, trasformando il genere in veicolo di riflessione filosofica e umanistica.
In realtà un film di grande levatura, dove l’amore per la parola scritta del regista francese, esalta registro narrativo e dimensione registica creando una storia che avvince e commuove. La scelta di girare in inglese, pur tra mille difficoltà linguistiche e produttive, come quelle con un irrequieto Oskar Werner o una quasi assente Julie Christie (che interpreta un doppio ruolo, Clarisse e Linda, la moglie di Montag, un espediente per sottolineare la contrapposizione tra desiderio di conoscenza e conformismo ottuso), testimonia la sua determinazione nel voler raggiungere un pubblico più vasto con un messaggio universale. Il suo amore per i libri, tangibile nella sua vita di cinefilo e critico dei "Cahiers du Cinéma", trova qui una trasposizione visiva di rara potenza. Ogni inquadratura dei volumi proibiti, siano essi capolavori letterari o semplici riviste, è permeata di una venerazione quasi sacrale, trasformando il testo stampato in un feticcio di libertà e memoria. Non è un caso che Truffaut, da sempre attento alla dimensione poetica della narrazione, infonda al film una sorta di lirismo visivo, contrapponendo la sterilità del mondo distopico alla ricchezza intrinseca delle idee imprigionate tra le pagine.
La narrazione prende forma in un imprecisato futuro, dove un dipartimento statale, i cosiddetti pompieri, è deputato a bruciare i libri. Il regime totalitario, la cui genesi è lasciata ambiguamente in sospeso, si fonda su una coercizione intellettuale sottile e pervasiva, non tanto sulla forza bruta quanto sulla graduale atrofizzazione del pensiero critico, sulla distrazione di massa fornita da uno schermo televisivo onnipresente e anestetizzante, una premonizione inquietante della società dell'informazione attuale. In questo contesto desolante, uno dei pompieri, Montag, incarnato da un Oskar Werner perfettamente in bilico tra ottusità e nascente consapevolezza, incontrerà Clarissa, interpretata con eterea grazia da Julie Christie, una donna che gli infonde l’amore per la lettura. Non è un amore passionale, bensì una scintilla intellettuale, un risveglio della curiosità sopita, un invito a guardare oltre la superficie patinata della società. Clarisse è la figura archetipica del "dissidente involontario", la voce che rompe il silenzio della conformità, e il suo approccio gentile ma risoluto spinge Montag a intraprendere un percorso interiore di rottura.
Comincerà la sua graduale evoluzione verso la consapevolezza che la parola scritta è quanto di più sacro e puro l’uomo possa custodire. Non solo pura informazione, ma veicolo di empatia, memoria storica, diversità di pensiero e, in ultima analisi, identità umana. È un cammino tortuoso e pericoloso, scandito da furtive letture notturne che rivelano un universo sconosciuto di idee, emozioni e contraddizioni.
Una scena su tutte: la scoperta della biblioteca segreta dove il Capitano Beatty, dopo aver chiamato Montag ad assistere, lancia la sua filippica contro i libri. Truffaut gioca con i due uomini in mezzo a tutti quei libri alternando primi piani delle copertine e delle coste a primi piani delle espressioni diaboliche del Capitano mentre lancia i suoi strali contro la parola scritta. Questo confronto non è solo un duello verbale, ma una vera e propria battaglia per l'anima di Montag. Il Capitano Beatty, interpretato magistralmente da Cyril Cusack, non è un semplice scagnozzo brutale; è un intellettuale fallito, un uomo che ha letto i libri e ne ha compreso il potere eversivo, scegliendo di servire la causa della loro distruzione. La sua oratoria è un sofisma perverso, un atto di accusa contro la complessità, l'ambiguità, la sofferenza che la conoscenza porta con sé, preferendo la facile felicità dell'ignoranza. I primi piani delle copertine – testi classici, romanzi, enciclopedie – non sono solo oggetti, ma simboli di mondi interi che stanno per essere annientati, mentre il volto del Capitano si contorce in un misto di fanatismo e disillusione, rivelando la tragedia di un'anima che ha scelto la distruzione del pensiero. È una sequenza che, per la sua intensità drammatica e la sua intelligenza visiva, si iscrive tra le vette del cinema distopico, dialogando idealmente con le sequenze più angoscianti di un "1984" o un "Brave New World" filmati con eguale acume psicologico.
Ottimo l’uso della cinepresa, sempre impegnata a documentare con naturalezza il susseguirsi degli eventi senza eccedere in frivoli manierismi. La fotografia di Nestor Almendros, fedele collaboratore di Truffaut, contribuisce in maniera decisiva a creare un'atmosfera sospesa, quasi onirica, pur mantenendo un rigore documentaristico. I colori caldi, quasi bruciati, delle scene degli incendi, contrastano con la palette più fredda e neutra degli interni, sottolineando visivamente il conflitto tra distruzione e ricerca della verità. Non c'è ostentazione stilistica, bensì un'eleganza sobria e funzionale alla narrazione, che permette allo spettatore di immergersi senza filtri nell'angoscia di un mondo dove la conoscenza è un crimine e la memoria un peso. Il climax finale, con i "book people" che custodiscono la letteratura in sé stessi, è un testamento commovente all'incrollabile fede di Truffaut nel potere della cultura e nell'indomita resilienza dello spirito umano, un'ode silenziosa ma potente alla capacità dell'uomo di resistere all'oblio e di rifondare, anche dalle ceneri, il proprio patrimonio di idee e storie. "Fahrenheit 451" rimane un monito acuto e disarmante, la cui attualità si rinnova, amaramente, a ogni scivolata della società verso la superficialità e la negazione della complessità.
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