Fargo
1996
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Registi
Ancora un’altra prova di rara maestria stilistica da parte dei fratelli Coen, un saggio di quel genio narrativo che, lungi dal conformarsi alle mode, ha sempre scolpito nicchie estetiche uniche nel panorama cinematografico contemporaneo.
Fargo arriva dopo due film perfetti come Crocevia della Morte e Barton Fink ed è una sorta di punto di arrivo nell’estetica coeniana, cristallizzando quel peculiare intreccio di assurdo e tragico, di commedia nera e violenza implacabile che è la loro firma inconfondibile. Se in Crocevia il noir era elevato a sinfonia stilizzata di vendetta e lealtà, e in Barton Fink il dramma esistenziale si fondeva con la satira hollywoodiana in un incubo kafkiano, Fargo approda a un realismo straniante, un'immersione quasi antropologica in un microcosmo provinciale dove la banalità del male si manifesta in modo grottesco e spiazzante. È qui che i Coen affinano il loro acume nel dissezionare le pieghe più recondite dell'animo umano, rivelando quanto la disperazione possa condurre a un delirio tragicomico.
Un noir atipico, ambientato nelle fredde regioni del Minnesota, dove l’azione rimbalza tra Fargo e Brainerd, due piccoli paesi di provincia teatro di una vicenda dai toni grotteschi, che si fregia della celebre, e sornionamente ingannevole, dicitura "basato su una storia vera", ponendo sin dal principio un patto con lo spettatore che gioca sulla percezione della realtà e sull'interstizialità tra finzione e cronaca. L'ambientazione stessa, con i suoi immensi distese innevate che riflettono una luce accecante e quasi aliena, diventa un personaggio, un tela bianca su cui si macchieranno di rosso le tinte fosche di un'umanità corrotta dalla stupidità e dall'avidità. Questo non è il noir claustrofobico delle metropoli oscure, ma un "Midwestern Gothic" che sfrutta l'apertura e la presunta innocenza del paesaggio per esaltare la violenza che vi germoglia.
I personaggi sono il vero punto forte di questo film, bastano poche inquadrature, attori di grande mestiere e uno script superbo per stilizzarne il carattere e scolpirli per sempre nella memoria dello spettatore. La loro caratterizzazione non è solo vivida ma anche archetipica, incarnando le pulsioni e le debolezze che i Coen amano esplorare: il debole e infingardo Jerry Lundegaard, venditore di auto succube del suocero che è anche suo principale, un antieroe patetico la cui goffaggine e la cui cecità morale sono il vero motore della tragedia. Jerry non è malvagio per intento, ma per debolezza e una miopia quasi proverbiale, convinto di poter orchestrare un crimine senza macchiarsi le mani, vittima della sua stessa dabbenaggine. Al suo opposto si staglia la figura luminosa di Marge Gunderson, sceriffo incinta, dai movimenti felpati, ma assai agile di pensiero, interpretata da una Frances McDormand da Oscar in una performance che eleva il personaggio a vero e proprio faro morale del film. La sua ostinata, quasi rassicurante, normalità e il suo incrollabile buon senso contrastano in modo stridente con la follia che la circonda, rendendola un'eroina unica nel panorama del cinema contemporaneo, una sorta di angelo custode della ragione in un mondo impazzito. E poi ci sono Carl e Gaear, due balordi da operetta, rapitori imbranati, sociopatici e paranoici, archetipi del criminale coeniano: violenti, incompetenti e destinati al fallimento, la cui brutalità gratuita è bilanciata solo dalla loro ridicola inefficienza. A completare il quadro, Wade Gustafson, l’uomo d’affari inflessibile e avido, la cui hybris capitalistico non lo rende meno cieco di Jerry di fronte alle conseguenze delle proprie azioni.
Jerry è impiegato nella concessionaria di auto del suocero, Wade. È soffocato dai debiti ma ha fiutato un affare e lo propone al suocero, che in tutta risposta si prende tutta la torta lasciando a Jerry le briciole. La sua frustrazione, palpabile e quasi comica, funge da miccia per un'escalation di eventi fuori controllo. Sconvolto e amareggiato, Jerry concepisce un folle piano: inscenare con l’aiuto di due balordi il rapimento della moglie per costringere il suocero a pagare. La sua ingenuità è tale da non prevedere le tragiche derive di un piano così maldestro. I due rapitori che gli sono stati presentati da un meccanico dell’azienda sono un po’ nevrotici e alquanto imbranati, un duo classico da black comedy coeniana. Uno dei due è loquace e nervoso (Carl Showalter, con la sua inconfondibile parlata e le sue ossessioni meschine), l’altro silenzioso e letale (Gaear Grimsrud, una figura quasi primordiale nella sua indifferenza alla violenza).
Ovviamente con due personaggi del genere nulla andrà per il verso giusto, e il film si dipana in una spirale di eventi sempre più tragici e assurdi, un balletto macabro che è il marchio di fabbrica dei Coen. Wade si presenterà alla consegna dei soldi per cercare di trattare la liberazione della figlia ma finirà male, vittima della stessa avidità e del medesimo disprezzo per la vita che il suo genero aveva inconsapevolmente innescato. Marge Gunderson, sceriffo di Brainerd, nel frattempo, partendo dai cadaveri lasciati indietro dai due, risalirà con arguzia al nascondiglio dei due, seguendo una scia di sangue e stupidità che la condurrà al cuore dell'orrore. La sua indagine, metodica e pacata, è un contrappunto sublime alla furia incontrollabile degli eventi, evidenziando come la perseveranza della giustizia, anche se lenta e apparentemente goffa, possa alla fine prevalere sulla caoticità del male.
Tante le scene da citare, veri e propri colpi di genio cinematografico che si sono incisi nell'immaginario collettivo: su tutte il finale surrealmente truculento con un piede munito di calzino che fa capolino da una macchina per triturare l’erba, un'immagine iconica che racchiude in sé l'essenza del film – il sublime e il grottesco, l'orrore e l'assurdo, il dettaglio più banale (il calzino) che si scontra con la violenza più estrema, tutto sotto un cielo indifferente del Minnesota. La fotografia di Roger Deakins, con le sue tonalità fredde e la luce cristallina che esalta il bianco accecante della neve, amplifica il senso di isolamento e la cruda bellezza di questa terra, mentre la colonna sonora di Carter Burwell, con le sue melodie malinconiche e i richiami alla musica folk scandinava, conferisce un'aura quasi elegiaca alla tragedia.
Un’opera buffa e intelligente, con una splendida struttura narrativa e una vigile intelligenza di fondo che la rende appassionante, spiritosa e unica nel panorama noir. Fargo non è solo un film sui criminali e le loro vittime, ma una profonda meditazione sulla natura umana, sulla debolezza e la dignità, sulla capacità di perpetrare il male e sulla forza della bontà più semplice. Un capolavoro che continua a risuonare, un'immersione indimenticabile nell'America più profonda e nelle sue insospettabili venature di assurdità.
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