Hana-Bi
1997
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Regista
Kitano, artista dai mille risvolti (showman e comico TV, pittore, attore, regista, romanziere, sceneggiatore sono solo alcune delle sue attitudini) infonde questa sua peculiare poliedricità in Hana-Bi ricavandone un oggetto prismatico e ammaliante come pochi sanno esserlo. La sua carriera, in bilico tra l’irriverenza della commedia e la gravitas del dramma yakuza, si condensa in quest'opera in un distillato purissimo di sensibilità estetica e brutalità esistenziale. La capacità di Kitano di plasmare l'orrore e la tenerezza con la stessa mano non è solo un tratto distintivo, ma la chiave di volta di una poetica che, in "Hana-Bi", raggiunge il suo apogeo. Egli non si limita a narrare una storia, ma dipinge un affresco emotivo, spesso ricorrendo al colore squillante e alla composizione minimalista che caratterizzano le sue opere pittoriche, qui integrate come espressione diretta dell'animo tormentato del protagonista.
Dapprima infatti il film è un poliziesco con risvolti thriller, poi assume la connotazione del noir, per finire al dramma psicologico esistenzialista. Ma questa mutazione di genere non è mai forzata, bensì un’organica espansione del dolore e dell’ineluttabilità che permeano la vita di Nishi. Kitano destruttura e ricompone i cliché del crime movie nipponico, tipico del V-Cinema in cui aveva mosso i primi passi, trasformandoli in veicoli per un'indagine profonda sulla colpa, la redenzione e l'amore sacrificale. Non è un semplice esercizio di stile, ma un'esplorazione del collasso interiore di un uomo che, di fronte alla perdita totale, trova una nuova, disperata forma di devozione. In questa fusione di generi si percepisce l'eco di maestri come Jean-Pierre Melville, nel rigore stilistico e nella solitudine dei suoi personaggi, ma con una nota malinconica e una propensione al lirismo che sono intrinsecamente giapponesi, un richiamo al mono no aware, la sensibilità per la transitorietà delle cose.
Il registro estetico riesce a passare dalla violenza al languore poetico con perfetta transizione narrativa: un’omogeneità che è davvero il punto di forza di questo film, e il tutto avviene con una coerenza stilistica invidiabile. Kitano impiega il concetto di "ma", lo spazio negativo o la pausa, tipico dell'arte e della musica tradizionale giapponese, per costruire la tensione e amplificare il silenzio emotivo. Le scene di violenza esplodono improvvise, quasi surreali nella loro freddezza e brevità, lasciando il posto a momenti di contemplazione prolungata, a volte muti, dove il non detto pesa più di mille dialoghi. Questa alternanza brusca, quasi zen, tra la quiete e il caos, tra l'orrore del sangue e la bellezza di un paesaggio, è la firma inconfondibile di Kitano, un linguaggio cinematografico che comunica direttamente con l'anima dello spettatore, aggirando la razionalità. Le inquadrature fisse e la fotografia saturata, in particolare i blu profondi e i rossi vividi, contribuiscono a creare un'atmosfera sospesa, quasi onirica, dove la realtà si fonde con l'interiorità angosciata dei personaggi.
Nishi è un ex-poliziotto tormentato dai rimorsi per aver perso un collega e causato il ferimento di un secondo, rimasto paralizzato. È un personaggio di poche parole, la cui sofferenza è incisa più nei gesti che nei dialoghi, un archetipo del samurai moderno che porta il peso del proprio fallimento con dignità stoica.
Staccatosi dall’ambiente lavorativo si dedica alla moglie, malata terminale di leucemia. La sua devozione non è romantica nel senso convenzionale, ma una forma quasi brutale di amore incondizionato, l'ultimo baluardo contro il nulla che lo circonda.
Per poterle concedere un ultima sontuosa vacanza architetta una rapina. Questa non è una semplice frode, ma un atto di ribellione disperata contro il destino, un tentativo di riprendere il controllo di una vita che gli sta scivolando via, un gesto estremo per conferire dignità all'ultimo capitolo della loro esistenza. Il denaro non è solo un mezzo per la vacanza, ma un simbolo della possibilità di un'ultima, fugace felicità, un lampo effimero come i fuochi d'artificio che danno il titolo al film ("Hana-Bi" significa appunto "fuochi d'artificio", letteralmente "fiori di fuoco").
Morbido come seta e ruvido come carta vetrata contiene alcune scene memorabili, come quelle splendide e geniali della rapina, orchestrate con una precisione glaciale che sfiora l'astrazione, o quelle finali dense di inarrivabile lirismo in cui il protagonista culla la moglie morente davanti ad una spiaggia ruggente di onde e di sole. Questa sequenza sulla spiaggia è il culmine emotivo e filosofico del film, un momento di quiete prima della tempesta finale, dove la forza primordiale della natura si fonde con l'accettazione della morte. Nishi e la moglie, due figure minuscole contro l'immensità del mare, non cercano più di combattere il loro destino, ma lo abbracciano in una fusione di amore e rassegnazione. Le onde che si infrangono sulla riva, in una sorta di battito cardiaco universale, suggeriscono un ritorno ciclico alla natura, un dissolvimento pacifico dell'esistenza. E l'immagine dei quadri di Nishi, quei dipinti naif e coloratissimi che rappresentano un rifugio dalla violenza e dalla disperazione, in cui si manifesta la vena artistica dello stesso Kitano dopo un incidente che quasi lo privò dell'uso di un braccio, aggiunge un ulteriore strato di significato, un'oasi di innocenza in un deserto di brutalità. Essi sono la manifestazione visiva della sua ricerca di bellezza e significato in un mondo caotico, un modo per elaborare il trauma e la sofferenza.
Un punto d’arrivo della poetica della cinematografia nipponica e, dilatandone il messaggio, dell’intera storia del genere “Crime Story” tout court. "Hana-Bi" trascende la sua cornice narrativa per elevarsi a meditazione universale sulla vita, la morte e il potere del legame umano. È un testamento alla capacità di Kitano di trasformare la violenza in poesia, il dolore in accettazione e la disperazione in una forma sublime di amore. Il film non solo definisce il suo stile, ma lo innalza a un livello di risonanza emotiva e filosofica che lo rende un classico atemporale, un'opera che, come i fuochi d'artificio, brilla intensamente per un breve istante, ma lascia un'impronta indelebile nell'anima di chi ha la fortuna di assistervi.
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