Movie Canon

The Ultimate Movie Ranking

Fratello, dove sei?

2000

Vota questo film

Media: 5.00 / 5

(1 voti)

Un film deliziosamente leggero, ilare come l’acqua argentina di un ruscello.

I fratelli Coen non smentiscono il loro modo di fare cinema, anzi ne vivificano la semantica attraverso un’arguta metafora dell’Odissea di Omero. Ma non è una semplice riproposizione; è una decostruzione postmoderna del mito, dove l’epos omerico viene filtrato attraverso la lente distorta e profondamente ironica del loro immaginario. Si assiste a una geniale parodia dell'eroismo classico, proiettata nella polverosa e surreale America della Grande Depressione, dimostrando ancora una volta l'incredibile capacità dei Coen di elevare il grottesco e il triviale a riflessioni universali sull'esistenza, sul destino e sull'ingenuo desiderio umano di riscatto.

Tutto in questo film è funzionale al concetto di levità: la caratterizzazione dei tre protagonisti con le loro bislacche schermaglie dialettiche, la colonna sonora frivolmente country, le ambientazioni in un’America incontaminata. Ma questa "frivolezza" è solo la superficie di un'operazione stilistica e narrativa di raffinata complessità. Le chiacchiere incessanti di Everett, il suo snobismo linguistico e la sua ossessione per la brillantina Dapper Dan, si contrappongono all'ingenuità quasi evangelica di Delmar e alla perenne irascibilità di Pete, creando un triangolo di comicità involontaria che è puro teatro dell'assurdo. La colonna sonora, curata con maestria da T-Bone Burnett, è ben più che "frivolmente country": è il vero cuore pulsante del film, un arazzo sonoro che attinge al bluegrass, al gospel, al blues e al folk dell'epoca, divenendo quasi un personaggio a sé stante. Il suo successo multi-platino ha non solo rivitalizzato generi musicali dimenticati, ma ha anche dimostrato come la musica possa essere un veicolo narrativo potente quanto le immagini e la sceneggiatura, infondendo al film un'autenticità storica e un'anima malinconica e gioiosa al tempo stesso.

La narrazione è incentrata sul viaggio di tre galeotti evasi di prigione alla ricerca di un favoloso bottino nascosto. Un viaggio che è, nella sua essenza, una ricerca di identità e di "casa" in un'America in crisi. Il presunto tesoro, che funge da mcguffin hitchcockiano, è un pretesto per esplorare un microcosmo di umanità bizzarra e disperata.

Durante il viaggio incontreranno una selva grottesca di personaggi vagamente ispirata alle prove che dovette sostenere Ulisse. Queste figure archetipiche, pur essendo chiaramente debitori del pantheon omerico, sono ritratti con il tipico cinismo coeniano e una spassosa caricatura sociale che li rende indimenticabili. L'incontro con le Sirene, ad esempio, non è un mero calco, ma una sequenza onirica e sensuale che culmina con un battesimo collettivo nelle acque del fiume, sottolineando la costante tensione tra peccato e redenzione, tra l'umano e il divino che permea l'opera. Il "Ciclope" Big Dan Teague, un venditore di bibbie imbroglione cieco da un occhio – metaforicamente e letteralmente – non è solo un mostro fisico, ma anche un simbolo della corruzione morale che si annida sotto la facciata della religiosità, un tema ricorrente nel cinema dei Coen. Il leghista Menelaus "Pappy" O'Daniel e il suo avversario corrotto Homer Stokes incarnano la politica populista del Sud, un circo di promesse vuote e manipolazione delle masse, evocando le figure di Agamennone e gli altri leader avidi dell'epos.

Tra questi spiccano: un cantante che ha venduto l’anima al diavolo per suonare bene la chitarra (il giovane Tommy Johnson, eco di Robert Johnson), un politico disonesto, un criminale incallito con cui faranno, loro malgrado, una rapina. Il personaggio del chitarrista blues non è solo un omaggio al folklore del Delta, ma introduce anche l'elemento faustiano del patto con il diavolo, un tema di dannazione e salvezza che si intreccia con la ricerca spirituale dei protagonisti. La violenza scanzonata e l'assurdità degli eventi, come la partecipazione al concerto dei Soggy Bottom Boys o l'incontro con George "Babyface" Nelson, un gangster nevrotico che sembra uscito da un fumetto, mantengono il tono leggero pur celando una sottile critica sociale all'America di quegli anni, divisa tra povertà, segregazione razziale e un'ondata di fanatismo religioso e politico.

A livello visivo, il film è una prodezza: Roger Deakins, direttore della fotografia di fiducia dei Coen, ha utilizzato per la prima volta un processo digitale per desaturare e colorare l'intera pellicola, ottenendo una palette cromatica unica, dominata da toni seppia e dorati che evocano le vecchie fotografie e le cartoline d'epoca. Questa scelta non è meramente estetica; conferisce al film un'aura di leggenda, di racconto tramandato, quasi a suggerire che stiamo assistendo non a una storia documentata, ma a un mito moderno, un'elegia nostalgica per un'America perduta e ritrovata attraverso il prisma dell'immaginazione.

Insomma un’opera densa di rimandi classici ma sfolgorante nel suo moderno senso del ritmo. È la dimostrazione che il genio dei Coen risiede nella loro abilità di trasformare materiali eterogenei – dalla mitologia greca al folklore americano, dalla commedia slapstick al dramma sociale – in un amalgama coeso e irresistibile. Un film che celebra la resilienza dello spirito umano di fronte all'avversità, la bellezza della musica come forma di salvezza e l'eterna ricerca di un posto nel mondo, anche se quel posto è un'illusione.

Un film splendido che ristora come un sorso d’acqua ghiacciata in un giorno di afa, lasciando un retrogusto di malinconia agrodolce, ma soprattutto una sensazione di brillante, disordinata e liberatoria gioia.

Galleria

Immagine della galleria 1
Immagine della galleria 2
Immagine della galleria 3
Immagine della galleria 4
Immagine della galleria 5
Immagine della galleria 6
Immagine della galleria 7
Immagine della galleria 8
Immagine della galleria 9

Commenti

Loading comments...