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Grandi Speranze

1946

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Regista

Straordinaria trasposizione cinematografica del romanzo di Dickens, questo film di Lean si fa apprezzare per la levigatezza della fotografia, la meticolosa ricostruzione storica e la presenza di spirito nel cogliere la lezione dickensiana. Non è un caso che la pellicola sia ancora oggi considerata un caposaldo del cinema britannico, un esempio folgorante di come la letteratura possa fiorire, anziché appassire, nel passaggio al grande schermo. La “levigatezza” non è solo una questione estetica: la fotografia in bianco e nero di Guy Green, intrisa di un lirismo quasi pittorico, eleva la nebbia delle paludi del Kent e il fumo delle vie londinesi a elementi narrativi e psicologici. Ogni ombra, ogni chiaroscuro, specialmente nelle sequenze ambientate nella decrepita Satis House o lungo i moli fluviali dove si agitano figure ambigue, sembra scaturire direttamente dalle descrizioni gotiche e vivide di Dickens, creando un’atmosfera densa, quasi palpabile, che cattura il respiro del lettore tanto quanto quello dello spettatore. Questa maestria visiva, pur senza indulgere in eccessi espressionisti, sfiora la poetica di un Orson Welles o di un Carol Reed, dimostrando come Lean sapesse piegare la luce e la composizione al servizio della narrazione e del subconscio dei personaggi.

Lean si dimostra sensibile verso la tradizione letteraria del suo paese e offre una visione d’insieme sapida e convincente della storia dell’ascesa di Pip. La sua fedeltà al testo non è pedissequa, ma si traduce in una profonda comprensione dello spirito dell’opera, una rara empatia che gli permette di distillare l’essenza dickensiana senza forzature. L’ascesa di Pip, non una semplice parabola di “crescita”, ma un tortuoso cammino di formazione e disillusione, viene scandita con un ritmo impeccabile, quasi la progressione di un Bildungsroman filmato. Dalle umili origini, la povertà e l’orfanotrofio, Pip percorre la parabola umana della rinascita sociale attraverso l’aiuto di un misterioso benefattore. È un percorso che interroga le fondamenta stesse della meritocrazia e della mobilità sociale nell’Inghilterra vittoriana, rivelando quanto fragili possano essere le aspettative basate su promesse e non sulla realtà. Il destino di Pip, inizialmente ignaro e ingenuo, è emblematico di come le speranze, quando sono “grandi” e non ancorate a valori solidi, possano rivelarsi illusioni pericolose.

Dalle scuole uscirà un gentiluomo di nobile fattura che sarà capace di inclite imprese: arricchirsi rapidamente, frequentare i salotti dell’élite nobiliare, fare colpo sulle ragazze di buona famiglia. Ma è proprio in questa apparente ascesa che si annida la vera tragedia e la lezione morale più acuta. L’ingresso di Pip nel vortice della società londinese, magnificamente resa nelle scene che mostrano l’ipocrisia dei suoi nuovi “pari” e l’amoralità sofisticata di figure come l’avvocato Jaggers, evidenzia la superficialità e la vacuità delle ambizioni puramente materiali. La “gentilezza” acquisita da Pip è una vernice sottile che nasconde l’abbandono delle sue vere radici e l’umiliazione di chi, come Joe Gargery, lo aveva amato e sostenuto senza riserve. E poi c’è Estella, figura enigmatica e tragica, plasmata dalla vendetta gelida di Miss Havisham. Quest’ultima, un’icona del grottesco dickensiano, è dipinta da Lean con un’efficacia visiva che va oltre la semplice macchietta: è il simbolo vivente di un passato congelato nel dolore e nella follia, che contamina il presente e distrugge il futuro altrui. L’amore di Pip per Estella, un amore irraggiungibile e doloroso, diventa la metafora perfetta della sua aspirazione a qualcosa di intrinsecamente corrotto e irredimibile, un’illusione tanto splendente quanto mortifera. La freddezza di Estella non è malvagità, ma il risultato di un’educazione alla crudeltà, che la rende incapace di vero affetto, una bambola bellissima ma senza cuore.

Quando s’innamorerà della figlia del suo benefattore scoprirà che questi non è altro che un assassino in prigione. Questo è il fulcro della rivelazione, il momento in cui le “grandi speranze” di Pip si sgretolano, portando alla luce la verità scomoda e la radice oscura della sua fortuna. La figura di Abel Magwitch, il galeotto che diventa suo benefattore, è gestita da Lean con una sensibilità che ne esalta la complessità: non è semplicemente un criminale, ma un uomo capace di una profonda lealtà e affetto, la cui generosità, pur venendo da un luogo di oscurità, è infinitamente più pura delle ipocrisie del mondo che Pip aveva tanto agognato. La scoperta dell’identità di Magwitch è un colpo di scena che non solo ribalta le sorti del protagonista, ma lo costringe a una profonda riflessione morale, a riconsiderare il suo posto nel mondo e il vero significato della nobiltà d’animo. Questo passaggio, magistralmente orchestrato, segna la vera crescita di Pip, una crescita interiore, fatta di umiltà e accettazione, ben più significativa della sua ascesa sociale.

Lean non interpreta Dickens, semplicemente lo imprime su pellicola e ce lo offre con una pulizia stilistica che affascina. Questa affermazione, apparentemente semplice, nasconde l’essenza del genio di Lean come adattatore. Non c’è forzatura autoriale, nessun tentativo di modernizzare o reinterpretare in chiave personale il classico. Piuttosto, c’è una dedizione quasi maniacale alla trasposizione fedele dello spirito, del tono e dell’atmosfera dickensiana attraverso un linguaggio cinematografico di rara precisione. Ogni inquadratura, ogni transizione, ogni scelta di montaggio (Lean era anche un montatore di talento) è finalizzata a servire la narrazione e i personaggi con la massima chiarezza e impatto emotivo. La sua "pulizia stilistica" non è minimalismo, ma una padronanza così assoluta dei mezzi tecnici da renderli invisibili, permettendo alla storia di dispiegarsi con una fluidità e una potenza irresistibili. Questo approccio ha segnato un punto di riferimento per le successive trasposizioni letterarie, dimostrando che la grandezza di un’opera risiede non tanto nell’interpretazione innovativa, quanto nella capacità di farla risuonare nella sua forma più autentica e sentita.

Un film che non mancherà di emozionare, ma che soprattutto invita alla riflessione profonda sui temi universali dell’ambizione, dell’amore non corrisposto, della redenzione e del vero valore dell’identità. È un classico intramontabile che, a distanza di decenni, continua a dialogare con il presente, offrendo una lezione di cinema e di vita che rimane incisa nella memoria.

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