Holy Motors
2012
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Regista
Cercare di descrivere la "trama" di Holy Motors è un esercizio futile, come voler descrivere un sogno usando il linguaggio di un manuale di istruzioni. Il film non ha una trama, ha un itinerario. Seguiamo un uomo, Monsieur Oscar, per ventiquattro ore a Parigi. Ma Oscar non è un uomo, è un attore, o forse l'attore per antonomasia, l'avatar del cinema stesso. Il suo lavoro consiste in una serie di "appuntamenti". Ogni mattina, sale su una limousine bianca, che funziona da camerino mobile e portale interdimensionale, riceve un dossier e si trasforma completamente per interpretare un ruolo. E noi con lui, in un viaggio picaresco e vertiginoso attraverso i generi cinematografici. In un'ora e cinquantacinque, Carax ci scaraventa dentro un dramma familiare, un noir, un film di fantascienza, un musical, una fiaba grottesca e una storia d'amore, il tutto tenuto insieme dalla performance fisica e spirituale più sbalorditiva del XXI secolo.
Il cuore pulsante di questa macchina folle è Denis Lavant. La sua non è una recitazione, è una serie di possessioni. È un'atleta del corpo e dell'anima, un erede diretto dei grandi performer del cinema muto come Charlie Chaplin o Buster Keaton, che dovevano comunicare un intero universo senza l'ausilio della parola. Lavant si trasforma completamente, non solo nel trucco e nel costume, ma nella postura, nella voce, nel respiro. In un attimo è un'anziana mendicante rom, un attimo dopo un padre borghese che accompagna la figlia a una festa, poi un sicario che esegue un omicidio con una precisione quasi coreografica, poi un vecchio morente in una stanza d'albergo. La sua incarnazione più iconica e indimenticabile è quella di Monsieur Merde, una creatura del sottosuolo, un satiro che si nutre di fiori e capelli, che rapisce una modella (Eva Mendes) da un servizio fotografico in un cimitero per portarla nella sua tana. È una sequenza che è al contempo disgustosa, esilarante e stranamente poetica, un concentrato purissimo del cinema di Carax. La performance di Lavant è un monumento alla duttilità dell'attore, un promemoria di cosa sia veramente la recitazione: non imitazione, ma incarnazione.
Sotto questa superficie bizzarra e pirotecnica, Holy Motors è un'opera di una malinconia struggente. È un film sul cinema, e forse sulla sua morte. Carax, tornato a girare un lungometraggio dopo tredici anni di silenzio, sembra interrogarsi sul senso del suo stesso mestiere nell'era digitale. La sequenza iniziale, con il regista stesso che si sveglia e attraversa un passaggio segreto per ritrovarsi in una sala cinematografica, è una dichiarazione d'intenti. L'intero film è pervaso da un'ansia: l'ansia che le immagini abbiano perso il loro potere, che il "bel gesto" dell'attore non abbia più un pubblico che lo guardi.
Questa malinconia è palpabile in ogni scena. La sessione di motion capture, dove Oscar/Lavant si muove in una tuta nera coperta di sensori mentre compie atti sessuali con un'altra performer, è una riflessione quasi dolorosa sulla smaterializzazione del corpo dell'attore, ridotto a un insieme di dati digitali. L'intermezzo musicale, un "entr'acte" in cui Oscar guida una parata di fisarmonicisti in una chiesa, è un omaggio nostalgico a un tipo di cinema epico che non esiste più. E la scena finale, una delle più geniali e commoventi degli ultimi decenni, in cui le limousine, tornate nel loro garage, iniziano a parlare tra loro, lamentandosi della stanchezza e del loro destino, è il definitivo canto funebre. Le macchine stesse, i veicoli della finzione, sono esauste.
Se dovessimo azzardare un'analogia, Holy Motors potrebbe essere visto come un funerale jazz in stile New Orleans. È una processione funebre per qualcosa che stiamo perdendo—il cinema analogico, la fisicità dell'attore, la sacralità della sala—ma è al contempo una celebrazione sfrenata, gioiosa e caotica della sua vita. È un'elegia che si rifiuta di essere solo triste.
Il surrealismo grondante e pulsante di questo film non può che richiamare alla mente Luis Buñuel. Il regista spagnoloè un padre fondatore, un surrealista della prima ora che ha assorbito il movimento direttamente alla fonte, collaborando con Salvador Dalì. Per lui, il surrealismo non è uno stile, è un'arma. È un martello con cui colpire con violenza le tre grandi prigioni dell'uomo: la borghesia, la Chiesa e la logica razionale. Il suo è un surrealismo aggressivo, politico e freudiano. Leos Carax, al contrario, è un post-surrealista, un figlio malinconico di un'era in cui le grandi ideologie contro cui Buñuel lottava sono già crollate. Non ha più bisogno di usare il surrealismo per attaccare la borghesia o la Chiesa; queste istituzioni hanno perso gran parte del loro potere monolitico. Il surrealismo di Carax, specialmente in Holy Motors, è introspettivo, lirico e meta-cinematografico. Se il martello di Buñuel era puntato verso l'esterno, verso la società, lo specchio di Carax è puntato verso l'interno, verso l'arte stessa e l'artista. Il suo non è un attacco, ma un'elegia. Holy Motors usa la logica del sogno non per smascherare l'ipocrisia sociale, ma per interrogarsi sulla natura dell'identità, della performance e sulla possibile morte del cinema nell'era digitale. Le trasformazioni di Monsieur Oscar non sono critiche a classi sociali specifiche (anche se a volte lo sono, di riflesso), ma sono una celebrazione e al contempo un lamento funebre per la bellezza del gesto artistico.
Ma sotto la sua corazza surrealista, è un film profondamente emotivo. La scena in cui Oscar, nel ruolo di un padre, riporta a casa la figlia adolescente dopo una festa, o il suo incontro con un'amante del passato (interpretata da Kylie Minogue, che canta una canzone struggente), sono momenti di una bellezza e di una tristezza lancinanti. Sono i momenti in cui la maschera cade e intravediamo l'uomo, stanco e solo, sotto l'attore. Holy Motors è una lettera d'amore al cinema, ma una lettera disperata, scritta con inchiostro invisibile e consegnata da un messaggero folle. È un film che chiede se ci sia ancora bellezza nel gesto, anche se le telecamere diventano sempre più piccole e il pubblico svanisce. La sua risposta, urlata attraverso la fantasia di Carax e la performance titanica di Lavant, è un sì assoluto, incondizionato e gloriosamente folle.
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