I Diabolici
1955
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Regista
Un magnifico horror giocato sull’assenza-presenza che scatena una ridda furiosa di angoscianti dubbi al punto di condurre ad una deriva di lenta follia i protagonisti. Non si tratta di un orrore fatto di spettri o mostri tangibili, bensì di un terrore psicologico raffinatissimo, che si insinua nella mente dello spettatore tanto quanto in quella dei personaggi. Clouzot ordisce un crescendo di paranoia e smarrimento, trasformando il vuoto lasciato da un corpo scomparso in una presenza asfissiante, quasi un fantasma tangibile che respira sullo stomaco dei protagonisti, logorandone la sanità mentale fibra dopo fibra, in un'estenuante tortura che non concede tregua. L'angoscia emerge dalla faglia tra ciò che è reale e ciò che è percepito, un abisso in cui ogni ombra, ogni suono lontano, diventa un premonitore sinistro.
Clouzot si dimostra ancora una volta abile burattinaio delle emozioni confezionando un vero e proprio archetipo del filone noir-horror che tanto influenzerà cineasti a venire (basti pensare a opere come “Il Sesto Senso” o “The Ring”). La sua maestria non risiede solo nella costruzione di una trama intricata e sorprendente, ma nella precisione chirurgica con cui disseziona la psiche umana sotto pressione estrema. La regia di Clouzot è implacabile, priva di empatia, costringendo lo spettatore a una vicinanza claustrofobica con l'agonia morale dei personaggi. Questo film, tratto dal romanzo "Celle qui n'était plus" degli stessi Boileau-Narcejac che ispirarono Hitchcock per "Vertigo", precede di alcuni anni il celebre "Psycho" e si erge a pietra miliare per la sua audacia narrativa e la sua capacità di shock. Si narra che lo stesso Hitchcock fosse furente per non aver ottenuto i diritti, e il film è ampiamente riconosciuto come un'influenza cardinale per il maestro del brivido. La sua lezione più duratura, forse, non è solo l'espediente del "colpo di scena" finale, ma la stessa richiesta esplicita agli spettatori di non svelare la trama, una prassi che ha plasmato l'esperienza cinematografica per decenni a venire, elevando il segreto a sacramento narrativo.
La storia è incentrata sull’amicizia saffica tra la moglie di un direttore scolastico, la fragile e tormentata Christina (interpretata con sublime vulnerabilità da Véra Clouzot), e un’insegnante del collegio, la fredda e risoluta Nicole (una magnetica Simone Signoret). Un legame simbiotico, forgiato nella condivisione di un'esistenza di sopruso sotto la tirannia del dispotico e misantropo Michel Delassalle (un Paul Meurisse che incarna la quintessenza della meschinità).
Le due donne, spinte da un odio comune e da una disperazione palpabile, coalizzano la propria forza per ordire e portare a termine il più estremo degli atti: ne pianificano l’omicidio. Lo annegheranno nella vasca da bagno, un luogo intimo e domestico che diventa scena di un orrore primordiale, facendo poi sparire il suo corpo in fondo alla piscina scolastica, uno specchio d'acqua torbida che riflette la loro anima ormai macchiata.
Ma quando la piscina verrà prosciugata per la pulizia, il corpo risulterà misteriosamente scomparso, quasi inghiottito dall'acqua stessa, ed una serie di eventi incredibili, inspiegabili, quasi sovrannaturali, metterà a dura prova la coppia assassina. Non è tanto il crimine in sé a catalizzare la tensione, quanto le sue inimmaginabili e perverse conseguenze. È qui che Clouzot eccelle: nel trasformare la colpa in una forma di pazzia contagiosa, una febbre che consuma ogni brandello di razionalità.
La lenta dissoluzione di un’opera malvagia porta con sé i germi di una malvagità ancora più mostruosa, un’empietà latente che si insinua nelle atmosfere del film e di riflesso nello spettatore che non può fare a meno di seguire gli eventi in una sorta di estasi pietrificata. Il collegio stesso, un edificio decrepito e fatiscente, non è solo uno sfondo, ma un personaggio a sé stante, le cui mura echeggiano i segreti inconfessabili e la follia crescente. L'orrore non è fuori, ma dentro; è l'autocombustione della coscienza, la distorsione del reale operata da una colpa insopportabile. Il film si trasforma in una discesa negli abissi della psiche, dove il sospetto annulla la fiducia, e la realtà si disintegra in un mosaico di allucinazioni e paranoia, lasciando chi guarda in uno stato di costante incertezza, quasi che anche la sua stessa percezione fosse stata compromessa.
Film tetro e affascinante, come una luna eclissata, "I Diabolici" rimane un capolavoro insuperato del thriller psicologico, un'opera che continua a stregare e a inquietare, dimostrando come il vero terrore risieda non tanto in ciò che si vede, ma in ciò che si teme, in ciò che si immagina, e soprattutto, in ciò che si è costretti a interrogare della propria stessa realtà. La sua eco risuona ancora oggi, un monito inquietante sulla fragilità della ragione di fronte all'abisso della colpa.
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