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I Figli del Deserto

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I Figli del Deserto non è solo senza alcun dubbio il più celebrato e osannato lungometraggio della collaudata coppia Laurel & Hardy; è un autentico capolavoro che cristallizza, in un'ora e dieci di pura gioia cinematografica, l'apice della loro arte comica. In un'epoca di transizione tumultuosa per Hollywood, segnata dall'avvento del sonoro che aveva mietuto non poche vittime tra le stelle del muto, Stanlio e Ollio dimostrarono una versatilità e una risonanza che travalicavano la mera fisicità. Il regista William A. Seiter, con una saggezza che non è comune a tutti i mestieranti, comprese di dover affidarsi quasi ciecamente alla straordinaria vis comica dei due, vere e proprie architetture ambulanti della risata. La loro collaborazione andava ben oltre la semplice recitazione: Stan Laurel, in particolare, era un perfezionista implacabile, un vero e proprio "gag-man" che infondeva nello storyboard una propria innata creatività, fatta di trovate irresistibili e di quella precisione quasi coreografica che trasformava ogni movimento, ogni espressione, in una nota musicale in una sinfonia del caos controllato. Oliver Hardy, con la sua maestria nelle reazioni – dal lento "slow burn" al fulmineo "double take" – completava il quadro, rendendo ogni interazione una lezione di tempo comico. Il film, con la sua trama solo apparentemente semplice ma di un'efficacia disarmante, le sue situazioni paradossali che si accumulano come slavine, e i suoi personaggi memorabili scolpiti nell'immaginario collettivo, è un concentrato di comicità pura. È una comicità scaturita da un perfetto meccanismo narrativo e registico che non solo entra in sinergia con la forza creativa dei due mattatori, ma ne esalta ogni sfumatura, trasformando il banale in epico, il patetico in sublime.

La storia, pur nella sua apparente linearità, si rivela un geniale affresco delle dinamiche coniugali e delle aspirazioni maschili in un'epoca di profonde trasformazioni sociali. Siamo di fronte ai due archetipici mariti vessati, interpretati da Laurel e Hardy con una miscela irresistibile di patetismo e astuzia, condannati a vivere sotto il giogo di due tiranniche mogli, una delle quali interpretata da Mae Busch, che incarna con sublime furia la perfetta virago comica. I due, con la segreta complicità della loro affiliazione alla loggia massonica “Sons of the Desert”, un santuario di (presunta) virilità e cameratismo maschile, bramano la fuga dalla routine domestica e dalla routine coniugale. Il loro obiettivo: raggiungere Honolulu, sede dell’annuale convention della loro loggia, un Eden di libertà lontano dalle pantofole e dalle liti coniugali. Per raggiungere la bramata meta, escogitano un piano diabolico nella sua semplicità: fingere che Ollio sia afflitto da una malattia esotica, bisognoso di una crociera transoceanica per curarsi. Questo stratagemma, tanto goffo quanto disperato, innesca una reazione a catena di menzogne e malintesi che è il cuore pulsante della farsa. La bellezza risiede proprio nella progressione inesorabile dell'inganno: ogni bugia ne genera un'altra, ogni tentativo di rimediare porta a un disastro maggiore, in un crescendo di situazioni assurde e imbarazzanti. È un meccanismo che ricorda le più raffinate commedie degli equivoci, ma con l'impronta unica della loro comicità, che rende l'inevitabile scoperta del loro sotterfugio non un dramma, bensì l'apoteosi del ridicolo. Il conseguente ritorno a casa, bagnati fradici e costretti a un'umiliazione esemplare, non è solo una punizione, ma il coronamento di un ciclo di ribellione e sottomissione che si ripete all'infinito nel loro universo comico.

I Figli del Deserto è, dunque, molto più di un semplice film comico; è un'opera che ha letteralmente fatto la storia della commedia, un archetipo che continua a divertire e a far ridere il pubblico di ogni età e latitudine, trascendendo barriere linguistiche e culturali. La comicità di Stanlio e Ollio, lungi dall'essere meramente superficiale, è basata sul contrasto millimetrico e geniale tra le loro personalità: Ollio, il borioso e perennemente sconfitto “dignified buffoon”, convinto di essere il cervello del duo, e Stanlio, l'ingenuo ma talvolta inspiegabilmente astuto “wise fool”, la cui logica contorta porta sempre al disastro. È proprio nella loro capacità di creare situazioni paradossali, e di reagire ad esse con una disperazione buffa e mai volgare, che risiede l'universalità e l'atemporalità della loro arte. Il film, con la sua leggerezza apparente e la sua ironia tagliente, è una sorta di morale favola moderna che ci ricorda l'importanza catartica di saper ridere di noi stessi e delle nostre debolezze più umane, delle nostre meschine ribellioni e delle nostre inevitabili sconfitte.

Questo classico intramontabile non ha solo influenzato generazioni di comici, da Jerry Lewis, con il suo mix di goffaggine infantile e pathos, a Jim Carrey, con la sua mimica esasperata e quasi fumettistica, ma continua a essere un punto di riferimento per la commedia slapstick. Tuttavia, definire la loro comicità come puro slapstick sarebbe riduttivo: è uno slapstick raffinato, basato non sulla violenza gratuita, ma sulla psicologia dei personaggi, sulle reazioni a catena delle loro azioni e sulla lenta ma inesorabile costruzione della gag, spesso culminante in una distruzione reciproca di oggetti (emblematica la sequenza dei cappelli) che diventa metafora della distruzione del loro equilibrio precario. Il film si distingue anche per la sua capacità di creare un universo comico autonomo, un micro-cosmo popolato da personaggi memorabili e situazioni surreali, con regole proprie e un suo linguaggio riconoscibile, fatto di sguardi in macchina, sospiri esasperati e piagnucolii.

In questo universo, la loggia massonica "Figli del Deserto", con i suoi riti bizzarri e le sue convenzioni rigidamente osservate (e immancabilmente infrante da Stanlio e Ollio), diventa il perfetto microcosmo in cui i due si muovono con la loro solita goffaggine, amplificando il loro disagio esistenziale in un contesto di pretesa solennità, creando situazioni di comicità esilarante. Questa ambientazione non è casuale: il film offre uno sguardo ironico e perspicace sulla società americana degli anni '30, un periodo segnato dalla Grande Depressione e da un forte bisogno di evasione e leggerezza. Le sue convenzioni sociali e le sue ipocrisie vengono messe alla berlina con sagace umorismo. Le mogli autoritarie di Stanlio e Ollio, pur essendo personaggi comici, rappresentano una satira acuta della figura femminile dominante e castrante, tipica di un certo immaginario maschile dell'epoca, ma anche una reazione alla crescente emancipazione femminile. La loro furia casalinga è il prezzo da pagare per la vana ricerca di libertà dei due mariti, trasformando la loro fuga non in una liberazione, ma in un ciclo perpetuo di ribellione e rassegnazione. In questo senso, I Figli del Deserto non è solo un gioiello della comicità, ma anche un sottile commentario sociale sulla natura delle relazioni umane, sulle illusioni della libertà e sull'eterno conflitto tra il desiderio di evasione e la realtà ineludibile delle responsabilità.

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