Il Club dei 39
1935
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Regista
Ancora in pieno periodo british Sir Alfred non si smentisce in quanto a classe, e pur non disponendo dei faraonici mezzi hollywoodiani che in futuro gli saranno messi a disposizione, confeziona un piccolo gioiello screziato di buon vecchio british humour, una vaga spruzzata di noir, e un sapiente tocco thrilling, marchio di fabbrica di uno dei più grandi registi di sempre. Il club dei 39 (The 39 Steps) è un meccanismo narrativo avvincente che mescola sapientemente spionaggio, suspense e umorismo. Questo film, tratto dal romanzo di John Buchan, rappresenta uno dei primi grandi successi del maestro del brivido e anticipa molti dei temi e delle tecniche che caratterizzeranno la sua filmografia successiva, quasi una pietra di Rosetta per decifrare l'intero suo lessico cinematografico.
Girato in bianco e nero con un budget limitato, Il Club dei 39 dimostra la capacità di Hitchcock di creare tensione e coinvolgimento con mezzi semplici ma efficaci, sfruttando al meglio la potenza del montaggio, la suggestione delle inquadrature e l'ambiguità dei personaggi. È in questi anni, forgiati nell'atmosfera tesa dell'Inghilterra tra le due guerre e influenzati dal cinema espressionista tedesco e dal Kammerspielfilm, che Hitchcock affina la sua estetica, imparando a trasmutare l'ordinario in minaccioso e a trasformare l'attesa in un'arte visiva. Robert Donat e Madeleine Carroll, con il loro legame alchemico, la loro chimica palpabile e la loro bravura, contribuiscono a rendere questo film un classico intramontabile, definendo un prototipo di coppia in fuga che il regista avrebbe poi replicato con innumerevoli sfumature. Già in questa fase della sua carriera, Hitchcock dimostra una straordinaria padronanza del linguaggio cinematografico, utilizzando con maestria topoi come il MacGuffin – qui incarnato dalla misteriosa organizzazione che dà il titolo al film e dal segreto militare in pericolo, non un mero espediente narrativo ma una miccia che innesca la reazione a catena e getta l'eroe innocente nell'ignoto, una lezione affinata in opere successive come Intrigo internazionale o Psycho, dove l'oggetto del desiderio è spesso un pretesto per esplorare le vertigini psicologiche dei personaggi. L'altro topos è l'innocente accusato ingiustamente, figura archetipica che incarna l'alienazione e la paranoia dell'uomo comune travolto da eventi più grandi di lui, un tema che il regista avrebbe esplorato in quasi tutte le sue opere maggiori, da Saboteur a Psycho stesso, fino a Frenzy. E, naturalmente, la donna bionda e algida, qui rappresentata dalla Pamela di Madeleine Carroll, che si sottrae all'archetipo della fragile damigella in pericolo per emergere come un'alleata intelligente e spiritosa, capace di tenere testa all'arguzia del protagonista.
Richard Hannay (Robert Donat), un canadese in visita a Londra, si ritrova suo malgrado coinvolto in una pericolosa rete di spionaggio quando una spia, Annabella Smith (Lucie Mannheim), viene uccisa nel suo appartamento. Prima di morire, la donna gli rivela l'esistenza di un'organizzazione segreta, "Il club dei 39", che sta tramando per rubare importanti segreti militari britannici. Hannay, accusato ingiustamente dell'omicidio, è costretto a fuggire, intraprendendo un viaggio rocambolesco attraverso la Scozia per cercare di smascherare i veri colpevoli e salvare il suo paese. Questa fuga non è solo una progressione geografica, ma una vera e propria odissea identitaria, in cui Hannay è costretto a cambiare volto e ruolo, ad assumere maschere diverse per sopravvivere e scagionarsi, un preludio ai camaleontici eroi hitchcockiani. Durante la sua fuga, Hannay incontra Pamela (Madeleine Carroll), una donna inizialmente diffidente e sarcastica che poi si rivelerà un'alleata preziosa, in un rapporto che evolve da ostilità a complicità quasi romantica, emblematicamente sigillato dalla celebre scena delle manette. Insieme, affronteranno inseguimenti mozzafiato, trappole ingegnose e colpi di scena fulminanti, in un crescendo di suspense che culmina in un finale mozzafiato in un teatro di varietà. Lungo il cammino, Hannay si trova a dover utilizzare tutto il suo ingegno e la sua astuzia per sfuggire alla polizia e agli agenti del "Club dei 39", incontrando una serie di personaggi eccentrici e ambigui, veri e propri cammei che popolano il surreale mondo di Hitchcock. Tra questi, spicca la figura del Professor Jordan (Godfrey Tearle), il capo dell'organizzazione segreta, un uomo carismatico e spietato, dotato di un dettaglio fisico incongruo – una parte del dito mancante – che si rivela essere il vero antagonista della storia, celato dietro una facciata di rispettabilità borghese, in un classico rovesciamento hitchcockiano del concetto di "mostro" che non si annida nell'oscurità ma nella luce del giorno.
È affascinante notare come Hitchcock sappia infondere in ogni sua storia un proprio peculiare taglio emozionale scaturito dalla sua personale visione del mondo, spesso venata da un'ironia sottile e da un senso dell'assurdo. In quest’opera così sapidamente intrisa di ironia e placido sarcasmo ritroviamo gli elementi che caratterizzeranno i futuri capolavori: mistero, ironia, classe, garbata dialettica tra i personaggi, sontuoso intreccio narrativo e personaggi principali campiti magistralmente, spesso con un'economia di dialoghi che privilegia l'azione e l'espressione visiva. La fotografia in bianco e nero, suggestiva e drammatica, con i suoi contrasti netti e le sue ombre allungate (particolarmente evidenti nelle scene di fuga attraverso la brughiera scozzese o nelle sequenze urbane notturne), contribuisce a creare un'atmosfera di mistero e di pericolo palpabile, quasi a rendere lo scenario stesso un personaggio della trama. Il montaggio rapido e dinamico, tipico dello stile di Hitchcock, che si manifesta in sequenze come l'apertura con il colpo di pistola che sfuma nel fischio di un treno o i passaggi fulminei tra gli inseguitori e l'inseguito, accentua la tensione e il ritmo della narrazione, spingendo lo spettatore in un vortice inarrestabile. L'ironia sottile e il sarcasmo di Hannay, uniti alle situazioni paradossali e ai dialoghi brillanti in cui si viene a trovare, creano un perfetto equilibrio tra tensione e leggerezza, tipico del cinema inglese dell'epoca, ma elevato qui a forma d'arte.
Da un punto di vista storico, Il club dei 39 è interessante anche perché riflette le tensioni politiche dell'epoca, con la minaccia del nazismo che incombeva sull'Europa e la crescente paranoia per lo spionaggio internazionale. Il film può essere letto non solo come un mero thriller, ma come un velato monito sui pericoli del totalitarismo e sull'importanza di difendere la libertà e la democrazia, incarnando le paure latenti di un'epoca sull'orlo del baratro. Il culmine narrativo, ambientato in un teatro di varietà, con il "Professor Memory" (interpretato da Wylie Watson) che recita a memoria i segreti militari britannici, è una metafora brillante: la minaccia non viene da un esercito invasore, ma da un "performer" che manipola informazioni, suggerendo che i segreti e la conoscenza sono le vere armi del conflitto nascente. Questo finale spettacolare sottolinea anche il tema dell'apparenza contro la realtà, un leitmotiv hitchcockiano in cui ciò che si vede non è mai del tutto ciò che è. La critica ha accolto "l'opera con grande entusiasmo, riconoscendo in esso un capolavoro del genere thriller e un'affermazione del talento inconfondibile di Hitchcock. E indubbiamente questo film fu il degno punto di partenza di una delle più luminose carriere registiche della storia del cinema, una rampa di lancio verso le vette del genere e oltre.
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