Il Fiume Rosso
1948
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Regista
Un capolavoro di dimensioni bibliche questo di Hawks (assistito alla regia da un veterano dei western quale Arthur Rosson, al suo ultimo film): vuoi per l’impegnativo set che ha visto la messa in campo di una mandria di ottomila capi seguendo lo sforzo dei protagonisti nel trasportarla in lungo e in largo attraverso una america inesplorata e ostile, vuoi per le dimensioni epiche di una storia con risvolti psicologici inusuali per la Hollywood del dopoguerra preoccupata di una divisone netta e manichea tra buoni e cattivi. Hawks non gira un semplice western, ma un Esodo profano, con Tom Dunson nel ruolo di un Mosè tirannico e inflessibile che guida il suo popolo di mandriani e il suo bestiame verso la terra promessa del mercato del Missouri. Le immagini che ne derivano, con la loro vastità e il loro respiro, non sono semplice documentazione, ma hanno la potenza visiva delle grandi tele della Hudson River School, capaci di catturare tanto la maestosità sublime del paesaggio americano quanto la sua intrinseca, mortale pericolosità. In questo senso, il film è una profonda riflessione sull'ethos americano del dopoguerra, un'epopea che celebra il "manifest destiny" e la volontà di ferro dei pionieri, ma che, per la prima volta con tale complessità, ne mette in discussione il costo morale e umano.
Il film basa il suo intreccio narrativo sul viaggio che due allevatori, Tom Dunson e il suo figlioccio ventenne, Matt Garth, intraprendono per condurre una mandria in Missouri. Questo non è solo un viaggio geografico, ma un vero e proprio dramma edipico in sella a un cavallo, una tragedia di sapore greco giocata sotto il sole cocente del Texas. Il viaggio sarà costellato di insidie, tra le quali la più feroce sarà quella rappresentata dalle imboscate dei Comanches. Ma il vero nemico, l'antagonista più temibile, è la rocciosa, inflessibile psiche di Dunson stesso. È un uomo forgiato dalla frontiera, un patriarca che ha costruito un impero dal nulla e che ora si considera legge egli stesso. Dunson è spietato con chi abbandona l’impresa e la sua insensata ferocia, che culmina nel tentativo di linciare due dei suoi uomini, convince suo figlio ad ammutinarsi, abbandonandolo e prendendo il comando della mandria. Questa ribellione non è solo un atto di sfida, ma un rito di successione necessario e doloroso. Lo scontro tra i due uomini, che cova per tutto il film fino al regolamento di conti finale, sarà lo scontro tra due attitudini a vivere la frontiera, tra due concezioni di Far West che inevitabilmente si trovano a collidere: quella di Dunson, il pioniere della conquista, che ha dovuto usare la violenza per civilizzare il caos, e quella di Matt, l'uomo della generazione successiva, che deve usare la comunità e il pragmatismo per costruire sulle fondamenta gettate dal padre.
Splendida l’interpretazione di Wayne, che qui trova uno dei suoi ruoli più complessi e iconici, costretto a infondere al personaggio, oltre la scorza di ostinata durezza, una sottilissima venatura lirica, un amore sotterraneo e malcelato che traspare in tralice come straordinaria chiave di lettura dell’intero film. Ma la vera alchimia scaturisce dalla contrapposizione con il suo co-protagonista, un giovanissimo e magnetico Montgomery Clift. Il loro duello sullo schermo fu l'eco di un reale scontro di titani fuori dal set: da un lato la mascolinità monolitica e classica di Wayne, la vecchia Hollywood; dall'altro la sensibilità nervosa e introspettiva di Clift, pioniere di quel "Method Acting" che di lì a poco avrebbe rivoluzionato il cinema. È da questa frizione che il film trae la sua energia elettrica. La vulnerabilità silenziosa di Clift costringe lo spettatore a mettere in discussione l'autorità di Wayne, a vederne le crepe nella corazza. Persino il controverso finale, spesso criticato per la sua apparente sbrigatività, può essere letto in chiave squisitamente "hawksiana": l'intervento di Tess Millay (Joanne Dru), la classica donna forte e pragmatica del cinema di Hawks, che ferma la rissa mortale tra i due uomini a colpi di pistola, non è un deus ex machina, ma la constatazione che le ossessioni distruttive e infantili del maschio possono essere risolte solo da un'intelligenza femminile che li costringe a riconoscere la vera natura del loro legame. Il Fiume Rosso è, in definitiva, più di un western: è un mito fondativo americano, un'indagine sulla paternità, la leadership e la natura della civiltà, la cui eco risuona in tutto il cinema venuto dopo.
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