Movie Canon

The Ultimate Movie Ranking

Il Labirinto del Fauno

2006

Vota questo film

Media: 5.00 / 5

(1 voti)

Guillermo Del Toro è un regista che ama dedicarsi a piccole produzioni dove cura opere intrinse di surrealismo e senso del fantastico compatibilmente con i suoi impegni istituzionali ad Hollywood dove è un regista di talento molto richiesto in produzioni ben più ricche. Questa dualità, lungi dall'essere una contraddizione, definisce la sua inconfondibile impronta autoriale: un artigiano del fantastico che, pur muovendosi tra i giganti dell'industria, non rinuncia mai a esplorare le proprie ossessioni tematiche più profonde. La sua filmografia è un labirinto di orologi malfunzionanti, insetti curiosi, creature tanto mostruose quanto intrinsecamente umane, e soprattutto, una riflessione acuta e dolente sulla natura del Male e della redenzione, spesso ambientata sullo sfondo di eventi storici che hanno segnato a fuoco l'anima del suo paese.

In questo caso si concentra su un’opera realizzata in Spagna con mezzi quasi da cinema indipendente ideando una storia ambientata nel periodo franchista che Guillermo rilegge in chiave fantasy con la sua solita verve visionaria. L'ambientazione non è un mero fondale: la Spagna del 1944, con le sue ferite ancora aperte dalla Guerra Civile, il suo regime totalitario che soffocava ogni spiraglio di libertà e speranza, diventa la quintessenza dell'orrore reale. Del Toro non si limita a dipingere un affresco storico, ma lo permea di quella sensibilità gotica e favolistica che caratterizza il suo cinema, creando un dialogo serrato e spesso brutale tra la realtà più cruda e la fantasia più sfrenata. Il film, infatti, si inserisce idealmente in una trilogia informale insieme a "La spina del diavolo" e al più recente "La forma dell'acqua", un percorso attraverso l'orrore della guerra e la ricerca di bellezza e umanità nel mostruoso, con il filo rosso della Spagna e del Messico come palcoscenico di fiabe nere per adulti.

Meravigliose le creature che il reparto effetti speciali mette in scena, giova ricordare anche il nostro Lorenzo Tamburini che ha contribuito alla creazione delle parti prostetiche del Fauno, una creatura incantevole e inquietante al tempo stesso, che sembra partorita dalla matita barocca di Enrique Breccia. La maestria artigianale di Tamburini e del team, che ha lavorato con una predilezione quasi feticistica per gli effetti pratici, conferisce a queste figure una tangibilità e una presenza scenica che il puro digitale difficilmente potrebbe eguagliare. Il Fauno, interpretato magistralmente da Doug Jones, è l'archetipo del guardiano ambiguo, una figura ancestrale che evoca tanto i satiri delle mitologie classiche quanto le creature dei racconti popolari più oscuri, un ponte tra il mondo di Ofelia e il regno sotterraneo che essa è chiamata a esplorare. Accanto a lui, il terrificante Uomo Pallido, con i suoi occhi nelle mani, incarna la fame cieca e la malvagità più primordiale, un'allegoria viscerale della tirannia e della sua voracità insaziabile. È un mostro che, a differenza del Fauno, non presenta alcuna ambiguità: è puro, famelico Male, una manifestazione visiva della fame e della violenza che permeano il mondo esterno di Ofelia, una sorta di incubo vivente che si nutre dell'innocenza.

La narrazione è appunto incentrata sull’innesto di piano onirico nel piano reale, una commistione che crea un tessuto narrativo omogeneo senza alcun tipo di forzatura. L’avvicendamento di Reale e Favoloso avviene anzi con una naturalezza disarmante conferendo alla storia un suggestivo tocco felliniano. Non si tratta di semplice escapismo, bensì di una lucida strategia narrativa: il fantastico diviene un linguaggio, una lente attraverso cui interpretare e forse sopravvivere all'orrore indicibile della Storia. Come in certi drammi neorealisti che pure non rinunciavano a elementi di surreale o grottesco, Del Toro eleva la fantasia a strumento di resistenza, un rifugio non per dimenticare, ma per affrontare, per metabolizzare l'insostenibile peso di una realtà distorta. La permeabilità tra i due mondi è talmente organica da suggerire che l'uno non possa esistere senza l'altro, che la brutalità della guerra non possa essere compresa senza la follia salvifica dell'immaginazione. Ofelia non fugge la realtà, ma la rimodella, la filtra attraverso il prisma della fiaba, armandosi di coraggio e disobbedienza.

La vicenda è ambientata nella Spagna franchista del ’44. Una donna ha sposato un capitano dell’esercito governativo e lo raggiunge in un avamposto militare con la figlia Ofelia avuta in una precedente unione. La bambina si mostrerà insofferente alla prepotenza del patrigno e si rifugerà in un mondo popolato da fauni e creature grottesche. Il Capitano Vidal, interpretato con gelida ferocia da Sergi López, non è semplicemente un antagonista, ma l'incarnazione più autentica del male umano. La sua ossessione per l'ordine, la pulizia, la disciplina militaresca e il controllo, è una maschera per una crudeltà efferata e un vuoto emotivo agghiacciante. È un uomo che distrugge il tempo, riparando orologi, ma che è incapace di comprendere la vita. Il contrasto tra la sua tirannia domestica e la violenza della guerra civile è magistrale, sottolineando come la bestialità possa assumere sia le forme grottesche della fantasia che quelle, ben più spaventose, della normalità.

La tragedia che la sfiora sarà così soltanto un mero accidente sul lato sbagliato dell’esistenza. La sua scelta di non obbedire, di non piegarsi alla logica brutale del mondo adulto e della guerra, è un atto di pura volontà, di ribellione spirituale. Ofelia, in questo senso, non è una vittima passiva, ma un'eroina attiva che compie una serie di scelte moralmente complesse, guidata non tanto dal Fauno quanto dalla propria intrinseca purezza e dal desiderio di un mondo diverso. Il suo percorso non è una fuga, ma un'ascesa, un viaggio iniziatico che la porta a confrontarsi con le proprie paure e a definire la propria identità al di là delle imposizioni esterne. La figura di Mercedes, la governante, aggiunge un ulteriore livello di ribellione femminile e silenziosa, un atto di resistenza quotidiana che si contrappone alla passività della madre di Ofelia, un'ulteriore conferma che la vera forza risiede nella capacità di opporsi all'oppressione, sia essa esplicita o subdola.

Un film dove il potere della fantasia piega ogni squallore della vita vissuta e dove la guerra cede il passo ad una sarabanda di sogni. Commovente e visionario, tiene lo spettatore in sospensione tra un labirinto fatato e una dimensione dove la Storia estrinseca tutto il suo orrore. "Il Labirinto del Fauno" non è solo una fiaba dark, è un'elegia alla resistenza dell'immaginazione, un'ode alla forza del dissenso in un'epoca di conformismo forzato. È un'opera che interroga il significato di mostruosità, suggerendo che i veri mostri non sono quelli che popolano le nostre paure infantili, ma quelli che indossano uniformi e impugnano il potere. Con la sua estetica mozzafiato, la sua narrazione avvincente e il suo messaggio profondamente umano, il film si erge come un capolavoro senza tempo, capace di incantare e terrorizzare, di commuovere e far riflettere sulla crudeltà del reale e sulla sublime, talvolta tragica, bellezza del fantastico.

Galleria

Immagine della galleria 1
Immagine della galleria 2
Immagine della galleria 3
Immagine della galleria 4
Immagine della galleria 5
Immagine della galleria 6
Immagine della galleria 7
Immagine della galleria 8
Immagine della galleria 9
Immagine della galleria 10
Immagine della galleria 11

Commenti

Loading comments...