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Il Padrino - Parte Seconda

1974

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Il film riprende con naturalezza e forza iconografica l’azione e la storia del primo film chiudendo in qualche modo un cerchio perfetto. Non è un semplice sequel, ma una monumentale estensione sinfonica, un secondo atto che non solo approfondisce le radici e le ramificazioni della saga familiare, ma ne eleva la portata a tragedia greca di proporzioni epiche. Il "cerchio perfetto" non è solo narrativo, bensì tematico: è il ciclo inesorabile dell'ascesa e della caduta, della contaminazione del potere e del prezzo ineffabile della sua conservazione, un anello di Moebius dove inizio e fine si confondono nella fatale trasmissione di un retaggio.

Continua la saga della famiglia Corleone tratta dal romanzo di Mario Puzo, ma lo fa con una stratificazione e una profondità psicologica che trascendono la pur pregevole fonte letteraria. Il film si erge come un diptico solenne, un affresco bifronte che riflette l’anima americana attraverso il prisma della sua ombra più oscura.

Michael ha preso il posto di suo padre Vito e sta curando gli affari della famiglia, ma con una fredda, distaccata implacabilità che presagisce la sua definitiva disumanizzazione. Parallelamente, tramite flashbacks veniamo a conoscenza dell’infanzia e della giovinezza di Vito Corleone interpretato nel suo periodo giovane da Robert De Niro. La scelta di questa struttura non è mai didascalica; è, al contrario, un virtuosismo narrativo che permette a Coppola di giustapporre, con impietosa ironia, l'idealismo pragmatico e sanguinoso di Vito, il fondatore, con la sterile e paranoica brutalità di Michael, il successore.

Il film procede diviso in due parti: da una parte la storia del Patriarca e di come abbia raggiunto la vetta, un'Odissea di miseria e riscatto nell'America del primo Novecento, dove la violenza nasce come difesa di una comunità abbandonata e si trasforma in strumento di giustizia parallela; e dall’altra l’ascesa di Michael alla guida della famiglia a New York, un percorso che si dipana nella disillusione e nel tradimento, che distrugge metodicamente ogni legame affettivo e familiare in nome di un'astratta conservazione del potere. Se Vito costruisce un impero per proteggere i suoi cari, Michael lo smantella, pezzo per pezzo, nell'illusione di blindarlo. La sequenza del bacio di tradimento a Fredo, bagnata da una luce crepuscolare e carica di una tragedia shakespeariana, rimane una delle vette emotive e morali del cinema.

Notevole la prova di De Niro nella caratterizzazione del giovane Vito: un tour de force attoriale che va ben oltre la semplice imitazione di Brando. De Niro non si limita a mimarne la gestualità o la voce roca, ma ne incarna la genesi, la scintilla primigenia di quella pacatezza sorniona che cela un'incrollabile determinazione. Vito è un uomo calmo e amorevole, perfino pacato nei suoi affetti, ma pronto ad esplodere in una violenza fredda e spietata per difendere i suoi affari, la sua famiglia, la sua neonata comunità. La sua è una violenza quasi paternalistica, mirata, chirurgica, mai gratuita, che lo rende un "uomo d'onore" nel senso distorto ma codificato del termine.

Paradigmatico in tal senso è l’uccisione di Fanucci (interpretato da un ottimo Gastone Moschin) che dopo essere stato blandito con un’offerta per ritardare il pagamento di un pizzo viene ucciso sulla soglia di casa da Vito appostato nell’ombra, con uno straccio avvolto intorno alla sua pistola. Questa scena non è solo un omicidio, ma un rito di iniziazione, una consacrazione oscura che sancisce la nascita di un nuovo potere. Vito non uccide per vendetta cieca, ma per affermazione, per dimostrare la sua supremazia e la sua capacità di proteggere i "suoi". Il dettaglio dello straccio intorno alla pistola è un tocco geniale, che sottolinea la fredda pragmaticità del gesto, la sua essenza silenziosa e fatale.

Meraviglioso il fraseggio di luce e ombra con una lampadina che si accende e si spegne rivelando a tratti un mefistofelico De Niro annidato nell’ombra e pronto a colpire. È un momento di cinema puro, un'esplorazione visiva della dualità dell'animo umano e della genesi del male, che evoca le atmosfere più cupe del film noir e le suggestioni espressioniste del cinema tedesco. La fotografia di Gordon Willis, il "Principe Oscuro della Cinematografia", raggiunge qui vette ineguagliabili, plasmando l'oscurità non come assenza di luce, ma come presenza minacciosa, densa di significato e presagio. La sua tavolozza di bruni e seppia conferisce alla pellicola un'aura atemporale, quasi da sogno sbiadito, ma allo stesso tempo di solida, ineluttabile realtà storica.

Un’opera fondamentale che non può essere tralasciata, grazie soprattutto alla sapiente regia di Coppola che non concede mai respiro nel dipanarsi della trama. La sua è una direzione orchestrale, che bilancia magistralmente due linee temporali complesse, intrecciandole con precisione chirurgica e un senso del dramma che affonda le radici nella grande tradizione operistica italiana. La sceneggiatura, scritta dallo stesso Coppola con Mario Puzo, è un capolavoro di struttura e dialogo, cesellata con la stessa cura con cui un artigiano forgia l'acciaio più resistente.

Ogni inquadratura, ogni scenografia, ogni gioco di luce denotano un mestiere immenso, una cura maniacale per il dettaglio che contribuisce a costruire un universo credibile e totalizzante. Dalle vibranti scene di Little Italy alle desolate ville sul Lago Tahoe, dall'opulenza delle Las Vegas degli anni '50 alla sobrietà della Sicilia rurale, l'ambientazione non è mai mero sfondo, ma personaggio essa stessa, specchio dell'anima dei Corleone. La musica di Nino Rota e Carmine Coppola, malinconica e pervasiva, intesse una trama sonora che amplifica il senso di fatalità e nostalgia, elevando ogni scena a requiem annunciato per la famiglia e per il "sogno americano" corrotto.

Un film evocativo e ieratico nella sua forza narrativa, una pietra miliare del cinema mondiale che continua a risuonare, con la sua cupa magnificenza, come un'eco delle eterne domande sul potere, la famiglia, la lealtà e la solitudine che accompagna chiunque osi sfidare il destino.

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