Into the Wild – Nelle Terre Selvagge
2007
Vota questo film
Media: 0.00 / 5
(0 voti)
Regista
“L’essenza dello spirito dell’uomo sta nelle nuove esperienze” urla Chris a Ron dalla cima di una cresta, è una frase di commiato e Chris sta esortando l’anziano amico ad uscire da una casa piena di solitudine per perdersi nel mondo, mettere in atto un cambiamento radicale nella sua vita. Non è solo un addio, ma un manifesto, l’eco di un credo esistenziale che risuona attraverso i panorami mozzafiato dell'America più selvaggia. In queste parole di Chris c’è la chiave di lettura di questo film: il suo candore, il suo travolgente entusiasmo, la sua ingenua gioia nello scoprire il mondo è il fulcro narrativo intorno a cui Sean Penn costruisce una storia di libertà da ogni vincolo sociale, adattando con maestria e sensibilità il suo racconto all’omonimo romanzo di John Krakauer.
Penn, regista di rara intelligenza emotiva, non si limita a trasporre fedelmente l'indagine giornalistica di Krakauer, ma la eleva a epica visiva, intrisa di una malinconia lirica e di un'intensa ricerca spirituale. Il suo approccio è quello di un pittore che dipinge con la luce e il suono, affidandosi alla fotografia sublime di Eric Gautier per catturare la vastità implacabile e seducente della natura, e alla colonna sonora evocative di Eddie Vedder, che diviene quasi la voce interiore di McCandless, un inno rock all'anelito di purezza e all'inquietudine giovanile.
Chris McCandless potrebbe essere uno dei tanti milioni di giovani americani che dopo una brillante carriera al college è atteso da una vita agiata e in perenne discesa, un percorso preordinato che incarna la quintessenza del Sogno Americano nella sua declinazione più materialistica. E invece il giovane, in un gesto di radicale disillusione che riecheggia la disaffezione delle controculture degli anni Sessanta pur collocandosi in un contesto contemporaneo, devolve tutti i suoi avere in beneficenza, distrugge le carte di credito, affitta un’auto e si mette in viaggio per il vasto continente americano, abbandonando il proprio nome e la propria identità per rinascere come "Alexander Supertramp".
Un percorso iniziatico che gli farà assaporare l’essenza stessa del concetto di libertà, il nettare dell’emancipazione da ogni fardello con cui la società intendeva imbrigliarlo: il fardello delle aspettative familiari, del conformismo, del consumismo che atrofizza lo spirito. È un cammino che lo porta a contatto con una galleria di personaggi indimenticabili, veri e propri archetipi dell'America più marginale ma autentica. Incontrerà uomini e donne con cui condividerà un pezzo del suo cammino, passando come una folgore nelle loro vite e lasciando un senso di purezza, di clandestino amore per il suo spensierato nomadismo, quasi un catalizzatore che li spinge a riflettere sulle proprie esistenze. Dalla coppia di hippie Jan e Rainey, che ritrovano in lui una sorta di figlio spirituale, al rude ma dal cuore d'oro Wayne Westerberg, fino all'anziano e solitario Ron Franz, ogni incontro è un tassello che compone il mosaico dell'umanità e della solitudine, e che mostra la capacità di Chris di ispirare, pur nella sua fuga, un senso di connessione profonda. La sua presenza fugace li illumina, li sfida, li costringe a guardare oltre l’orizzonte del quotidiano.
L’essenza del film è catturata dai versi di Lord Byron usati come epigrafe a inizio film: “C’è una gioia nei boschi inesplorati, C’è un’estasi sulla spiaggia solitaria, C’è vita dove nessuno arriva vicino al mare profondo, e c’è musica nel suo boato. Io non amo l’uomo di meno, ma la Natura di più.” Questo passaggio non è una semplice citazione, ma una chiave ermeneutica che svela il cuore pulsante della narrazione: la ricerca di un'autenticità primordiale, quasi trascendentale, in comunione con l'elemento selvaggio. Il film, in tal senso, si pone in dialogo con una lunga tradizione letteraria e filosofica americana, da Emerson a Thoreau, da Whitman ai beatnik di Kerouac, tutti animati da un'insofferenza per la civiltà e da un'attrazione irresistibile per la strada e per la natura come unica vera maestra. L'Alaska, la meta finale del suo pellegrinaggio, non è solo una destinazione geografica, ma l'incarnazione di quel "limite estremo" in cui la vita e la morte si confrontano senza filtri, dove l'uomo si spoglia di ogni sovrastruttura per rivelare la sua vera essenza.
Emile Hirsch, nell'interpretare McCandless, offre una performance di straordinaria dedizione fisica e psicologica, incarnando con uguale forza la sua innocenza visionaria e la sua ostinazione talvolta cieca. Il suo corpo, che si trasforma progressivamente sullo schermo, diventa metafora del sacrificio e dell'estrema vulnerabilità di fronte a un ambiente che non perdona. Un film che ci scuote nel profondo, facendoci intravedere cosa sarebbe potuto diventare ognuno di noi se avesse deciso di consegnarsi all’elemento selvaggio, di ascoltare quel richiamo ancestrale che promette libertà assoluta ma che, inevitabilmente, esige un prezzo. La narrazione, arricchita dalle brevi ma potentissime incursioni della voce fuori campo della sorella Carine McCandless (Jena Malone), aggiunge una dimensione di tenerezza e sofferenza, ricordandoci il dolore lasciato dalla sua radicale scelta. Una libertà tristemente fatale per il corpo di Chris, consumato dalla fame e dalla natura implacabile, non certo per la sua anima, che trova pace proprio nell'estremo abbraccio con quel selvaggio che tanto aveva cercato e amato. La sua storia non è solo un monito sui pericoli dell'eccesso, ma un'ode al coraggio di vivere con passione autentica, un inno alla ricerca di un significato che trascende le convenzioni e che continua a ispirare, anche a costo della vita.
Attori Principali
Paese
Galleria












Commenti
Loading comments...