Movie Canon

The Ultimate Movie Ranking

Io e Annie

1977

Vota questo film

Media: 0.00 / 5

(0 voti)

Un film nevrotico, ironico e irrazionale questo Annie Hall di Woody Allen, dove il regista dà sfogo a tutta la propria creatività dando vita ad un personaggio che scarnifica la propria mente, le proprie ossessioni, le proprie emozioni per riverberarle sullo spettatore che lo segue sempre con un mezzo sorriso pronto a mutarsi in risata sguaiata. Alvy Singer, alter ego di un Allen all'apice della sua vena creativa, non è semplicemente un personaggio, ma un vero e proprio archetipo: l'intellettuale ebreo-newyorkese, perennemente in analisi, assillato dalla morte, dal sesso, dalla politica e, soprattutto, dalle donne. La sua nevrosi non è un difetto, ma il motore stesso della sua comicità e della sua ineludibile umanità, rendendolo un uomo con cui è impossibile non empatizzare, anche quando la sua autoironia sconfina nella più pura auto-flagellazione.

Il risultato è un’opera godibile, dove ognuno di noi si cala nei panni di Alvy Singer e ne condivide ogni più capillare nevrosi ridendo al fuoco di fila delle sue battute (alcune tra le migliori: “Ehi, non denigrare la masturbazione: è sesso con qualcuno che amo”, “Mia nonna non mi ha mai fatto regali, era troppo impegnata a farsi stuprare dai cosacchi”, “I politici hanno una loro etica. Tutta loro. Ed è una tacca più sotto di quella di un maniaco sessuale”). Queste citazioni non sono semplici boutade, ma lampi di genio che illuminano la visione cinica e disincantata di Alvy sul mondo, una visione che, pur nella sua eccentricità, riflette le ansie e le assurdità della modernità. Il genio di Allen risiede nella capacità di trasformare la miseria umana in sublime commedia, un'alchimia rara che eleva il genere a vette di introspezione psicologica e sociale.

La storia è un gigantesco flashback dove il protagonista rivive la sua vita, le sue fobie e soprattutto il suo amore per Annie, un’aspirante cantante che tenta la via del successo. Ma la narrazione di Io e Annie è tutt'altro che lineare o convenzionale. Allen demolisce la quarta parete con disinvoltura da maestro, rivolgendosi direttamente allo spettatore, inserendo sottotitoli che rivelano i pensieri inespressi dei personaggi, animazioni in stile Disney e addirittura frammenti di un'infanzia rievocata con sguardo beffardo. Questa frammentazione e questo incessante dialogo meta-cinematografico non sono semplici espedienti stilistici, ma la cifra stessa dell'inquietudine di Alvy, del suo bisogno di analizzare, decostruire e comprendere un'esistenza che gli sfugge. L'influenza della Nouvelle Vague francese, in particolare di Godard con il suo approccio anti-narrativo e la sua rottura con le convenzioni, è palpabile e viene rielaborata in chiave squisitamente alleniana, trasformando l'innovazione formale in un veicolo per l'esplorazione psicologica.

Ne seguiremo rotture e riconciliazioni, scenate e dichiarazioni d’amore bislacche e autoironiche, fino ad arrivare là dove nessun amante è mai giunto prima. La relazione tra Alvy e Annie (magistralmente interpretata da Diane Keaton, il cui stile sartoriale nel film – blazer maschili, gilet, cravatte – generò una vera e propria rivoluzione della moda, il celebre "Annie Hall look") è il cuore pulsante del film, un'autopsia impietosa ma affettuosa di come l'amore possa sbocciare tra due personalità così dissimili e, inevitabilmente, sfiorire. Annie, con la sua spontaneità disarmante, la sua fragilità e la sua ricerca di un'identità artistica, è l'antitesi di Alvy: mentre lui è prigioniero delle sue nevrosi intellettuali newyorkesi, lei aspira alla liberazione e al successo, anche se ciò significa abbracciare la superficialità della West Coast. Il conflitto tra l'intellettualismo nevrotico di New York e la spensieratezza (o vacuità, a seconda dei punti di vista) di Los Angeles diventa qui una metafora della lotta interna di Alvy tra la sua mente e il suo cuore, tra ciò che pensa e ciò che desidera. È un film che disseziona il fallimento relazionale non come tragedia, ma come inevitabile conseguenza di due traiettorie di vita che, pur essendosi incrociate con passione, erano destinate a divergere.

Alcune scene sono davvero esilaranti, come l’uccisione del ragno nel bagno di Annie alle tre di notte tra mille domande, esitazioni e perché, una piccola tragedia domestica elevata a parodia dell'ansia maschile. O anche la scena della coda al cinema con il pedante critico alle spalle che gli sciorina il suo dubbio ermeneutico sull’ultimo lavoro di Fellini (per la cronaca dovrebbe essere il Casanova) mentre Alvy lo vorrebbe ricoprire di sterco di cavallo. È in momenti come questi che il film svela il suo genio satirico. Poi all’ennesima filippica del molesto tizio contro Marshall McLuhan Alvy sbotta e si rivolge alla telecamera passando dalla realtà al “se fosse”: e così estrae letteralmente da un cartellone pubblicitario Marshall McLuhan in persona che distrugge il tizio con sommo gaudio di Alvy. Questa scena, in particolare, è un capolavoro di meta-narrazione e satira intellettuale, un'esemplificazione brillante della capacità di Allen di giocare con le convenzioni narrative e di deridere la pretenziosità del mondo accademico, trasformando una frustrazione quotidiana in un'esplosione di surreale appagamento. È il trionfo della fantasia sull'ottusità, della vivacità intellettuale sulla sterile pedanteria.

Io e Annie non è solo una commedia romantica, ma un profondo scavo nell'identità contemporanea, nelle ansie esistenziali e nella natura effimera dei legami umani. La sua genesi fu tutt'altro che lineare: inizialmente concepito come un thriller oscuro intitolato "Anhedonia", si trasformò gradualmente sotto la penna di Allen e del co-sceneggiatore Marshall Brickman in quella che il critico Vincent Canby definì una "commedia di idee", una rara gemma che unisce la leggerezza della risata alla profondità della riflessione filosofica. Ha ridefinito il genere della "romantic comedy", spogliandola del sentimentalismo eccessivo per infonderle una dose massiccia di realismo, autoironia e un'acuta osservazione psicologica, aprendo la strada a innumerevoli imitazioni.

Un film succulento, pieno di scanzonato sarcasmo e di autentica ispirazione, la stessa ispirazione che Allen ritroverà di lì a poco in un altro suo capolavoro, Manhattan, con cui Io e Annie forma una diade imprescindibile nel pantheon cinematografico del regista. Un film che non solo ha vinto l'Oscar come Miglior Film, Regia, Attrice Protagonista e Sceneggiatura Originale, ma che continua a risuonare, quarant'anni dopo, con una freschezza e una pertinenza sorprendenti, dimostrando che l'arte più vera è quella che, pur partendo dal particolare, riesce a cogliere l'universale.

Galleria

Immagine della galleria 1
Immagine della galleria 2
Immagine della galleria 3
Immagine della galleria 4
Immagine della galleria 5
Immagine della galleria 6

Commenti

Loading comments...