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Jackie Brown

1997

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L’influenza della cultura Blaxploitation è alla base della genesi di questo film di Tarantino.

La Blaxploitation, crasi dei termini “black” e “exploitation”, nasce nei primi anni settanta con un florilegio di b-movies che avevano come pubblico di riferimento gli afroamericani. Queste pellicole, spesso realizzate con budget esigui, non erano semplici prodotti di intrattenimento; rappresentavano, pur nella loro natura sensazionalistica, un grido di riscatto e un tentativo di costruire un’iconografia positiva, o quantomeno potente, per una comunità a lungo marginalizzata dal cinema mainstream. Eroi e, soprattutto, eroine nere come Coffy o Foxy Brown, interpretate dalla stessa Pam Grier, sfidavano lo status quo, affrontando criminalità e corruzione con una violenza stilizzata e un’indomita resilienza, riempiendo le sale dei quartieri neri e forgiando un’identità cinematografica che rivendicava spazio e rappresentazione.

Le opere erano interpretate scritte e dirette da attori e registi afroamericani: alcuni film come Super Fly (1972) di Gordon Parks Jr sono considerati veri e propri precursori del genere, elevandosi al di sopra della media per una cura stilistica e una colonna sonora, firmata da Curtis Mayfield, che ne facevano un vero e proprio manifesto culturale.

Tarantino, avido topo di videoteca, attinse a piene mani da questo periodo elaborando un’estetica del tutto personale e credendo fermamente nel rilancio di questa cultura vent’anni dopo la sua apparizione. Non si trattava di una semplice operazione nostalgica, bensì di un’autentica rilettura, un’integrazione profonda di quelle radici nel suo universo autoriale. Tarantino non si limita a citare; egli assorbe il DNA della Blaxploitation – la sua grinta, il suo sottotesto di lotta sociale, la sua innata coolness – e lo trasforma, lo eleva a un livello di sofisticazione narrativa e psicologica che i film originali, per limiti produttivi e ambizioni di genere, raramente potevano raggiungere.

Per compiere questa operazione chiamò ad interpretare il suo film Pam Grier, una delle protagoniste di questo movimento culturale, un’icona vivente la cui presenza infonde immediatamente autenticità e un retaggio di forza al personaggio. La scelta della Grier è un colpo di genio che trascende il mero omaggio: è un riconoscimento del suo status di "regina" del genere, permettendole di portare al personaggio di Jackie Brown un vissuto e una gravitas che solo lei poteva infondere.

La sua Jackie Brown è un misto di opportunismo, cinismo e sensualità. Ma è anche molto di più: è l’incarnazione della sopravvivenza, un personaggio di mezza età che si muove in un mondo dominato da uomini più giovani e violenti, armata solo della sua intelligenza acuta e di una disillusa pragmatica.

Jackie è una hostess un po’ avanti con l’età che si arrabatta per vivere e accetta di fare da corriere per un trafficante di armi di nome Ordell. A differenza di molti protagonisti tarantiniani, Jackie non è spinta da grandi ambizioni o da un desiderio di vendetta smodato; la sua motivazione è squisitamente terrena: guadagnarsi da vivere e uscire dai guai. Questa sua dimensione più realistica, meno epica, rende il film una delle opere più empatiche e contenute di Tarantino, distaccandosi in parte dalle sue precedenti acrobazie narrative e virando verso un tono più malinconico e crepuscolare.

Jackie ha infatti il compito di trasportare il denaro dal Messico agli Stati Uniti dopo che questo è stato ripulito. Una volta incastrata dalla polizia cede alla richiesta di collaborare per incastrare Ordell. In realtà si prepara a fare il triplo gioco accordandosi con Max Cherry, garante di cauzioni innamorato di lei. Questo intricato balletto di inganni e doppiogiochi è la vera essenza del film, un meccanismo a orologeria in cui ogni mossa è ponderata e rischiosa, un omaggio non solo alla Blaxploitation, ma anche al genere noir e, soprattutto, alla prosa di Elmore Leonard, di cui Jackie Brown è l'unico adattamento cinematografico fedele firmato da Tarantino. L'influenza di Leonard è palpabile nella gestione dei dialoghi apparentemente casuali ma carichi di tensione, nella psicologia sottile dei suoi antieroi e nel modo in cui la suspense non deriva tanto dall'azione quanto dall'attesa e dalle interazioni umane.

Un doppio segno rosso alla prova di De Niro, qui nel ruolo di Louis Gara, un autentico balordo al soldo di Ordell per i suoi loschi traffici. De Niro, solitamente associato a ruoli di grande intensità e carisma, si cala qui in un personaggio quasi patetico, un relitto umano la cui violenza è tanto improvvisa quanto priva di ogni dignità o grandezza. È una delle performance più sorprendenti e inusuali della sua carriera, un atto di umiltà artistica che rivela la sua capacità di dare profondità anche al più insignificante dei criminali.

Memorabile la scena in cui Louis, innervosito dai commenti acidi di Melanie, la ragazza di Ordell, la uccide improvvisamente per non sentirla più blaterare. È un momento di brutalità inaudita, tanto più scioccante perché privo di qualsiasi stilizzazione o coreografia tarantiniana.

Magistrale la gestione della tensione nella scena: dall’interno del centro commerciale dove Louis e Melanie devono recuperare una busta con i soldi di Ordell, fino al parcheggio dove Melanie prende in giro Louis perché non riesce a trovare l’auto parcheggiata. L'escalation di nervosismo è palpabile, un crescendo di piccole frustrazioni quotidiane che sfociano in un atto di violenza cieca e gratuita.

De Niro è una caffettiera in ebollizione, dai primi timidi segnali all’eruzione gorgogliante del finale, la sua rabbia è una scansione ascensionale, una curva impazzita che esplode verso l’alto. Non è la furia calcolatrice di un gangster, ma la rabbia impotente e infantile di un uomo incapace di gestire le proprie emozioni, ridotto a un puro istinto primordiale. Louis è l'emblema della mediocrità criminale, un personaggio minore che con la sua tragica insignificanza si ritaglia un posto indelebile nella galleria dei "bad guys" tarantiniani.

Un’opera, come al solito, densa di omaggi a musica, cinema, serie tv e letteratura. La colonna sonora, con i suoi brani soul e R&B (dai Delphonics a Bobby Womack), non è un semplice sottofondo, ma un personaggio a sé stante, un ponte emotivo che connette il pubblico all'anima del film e ai suoi personaggi, evocando un'epoca e un sentimento. Tarantino usa la musica come contrappunto, come commento ironico o come pura espressione emotiva, integrandola così organicamente che è impossibile pensarla separata dalle immagini. Anche la struttura narrativa, con le sue ripetizioni di eventi da diverse prospettive – un marchio di fabbrica tarantiniano – contribuisce a tessere una trama complessa ma mai confusa, mantenendo lo spettatore costantemente sul filo del rasoio.

Un Tarantino devastante dietro la macchina da presa nel rendere dialoghi allucinati di improbabili personaggi dell’underground metropolitano, ma anche nell'offrire un ritratto intimo e autentico di una donna che lotta per la propria libertà, un film che pur celebrando il passato, guarda al futuro del cinema d'autore con una maturità stilistica e tematica che lo rende un unicum nella sua filmografia.

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