Jules e Jim
1962
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Regista
François Truffaut ancora una volta come un coltello nel burro affonda il suo sguardo nei sentimenti umani offrendoli scarnificati al pubblico ludibrio. Truffaut, l'enfant terrible della Nouvelle Vague, non si limita a osservare, ma disseziona con chirurgica precisione le fibre più intime dell'animo, spogliandole di ogni artificio borghese per rivelarne la cruda, spesso scomoda, verità. Questo approccio, ereditato dalla sua militanza critica sui Cahiers du Cinéma, dove teorizzava l'autore come unico vero creatore, trova in "Jules e Jim" una delle sue massime espressioni, un manifesto di libertà stilistica e tematica che infrange le convenzioni narrative e morali dell'epoca.
In questa storia tratta dal romanzo omonimo di Henri-Pierre Roché due uomini si innamorano della stessa donna, ma è banale destino che questa donna scelga uno dei due. La presunta banalità di questo triangolo amoroso – una trama apparentemente semplice, desunta dal misconosciuto ma folgorante romanzo autobiografico di Henri-Pierre Roché, riscoperto da Truffaut in una libreria d'occasione – viene immediatamente smentita dalla profondità con cui Truffaut scava nella psiche dei suoi protagonisti. Non si tratta infatti di una mera scelta, ma di una forza centrifuga e centripeta che attrae e respinge, incarna e distrugge. Catherine, splendidamente incarnata da una Jeanne Moreau all'apice della sua magnetica bellezza e inquietudine, non è solo l'oggetto del desiderio; è la catalizzatrice, l'elemento imprevedibile, una sorta di dea pagana della libertà e dell'istinto, la cui irruenza vitale, talvolta gioiosa e talvolta nichilista, plasma il destino dei due amici, Jules e Jim.
È cruciale precisare che il cataclisma che spezza l'idillio spensierato e bohémien di Jules, Jim e Catherine non è l'occupazione nazista, bensì l'orrore della Prima Guerra Mondiale, il conflitto che, come una cesura irrevocabile, squarcia l'innocenza della Belle Époque e proietta l'Europa in un'epoca di profonde disillusioni. La guerra li separa e li trasforma: Jules, il più riflessivo e introverso, e Jim, il più ardente e cerebrale, si ritrovano non solo segnati dalle trincee, ma con una consapevolezza acuta della precarietà dell'esistenza e, di conseguenza, della fugacità di ogni armonia sentimentale. Questo ritrovamento, lungi dal restaurare l'equilibrio perduto, lo sconvolge definitivamente, rivelando un nuovo, precario assetto dove l'amore si veste di sfumature ambigue, oscillando tra possessività e desiderio di libertà assoluta. La loro amicizia, pur profonda, è messa alla prova dalla forza vulcanica di Catherine, che non si adatta a ruoli predefiniti e incarna l'ineluttabilità del cambiamento.
Un grande film che ancora oggi emoziona e coinvolge con una sceneggiatura moderna e incalzante e un profilo degli amanti analitico e spietato. La modernità di "Jules e Jim" non risiede solo nella sua audacia tematica – l'esplorazione di un ménage à trois in un'epoca ancora perbenista – ma è intrinsecamente legata alla sua formidabile sperimentazione stilistica. Truffaut orchestra una sinfonia visiva che è un vero e proprio compendio delle innovazioni della Nouvelle Vague: carrelli frenetici, panoramiche che seguono i corpi danzanti, jump cuts che frantumano la linearità temporale, freeze frames che isolano un'emozione, transizioni rapide, l'uso onnipresente e poetico della voce fuori campo narrante – elementi tutti che contribuiscono a creare un ritmo febbrile e un'atmosfera di perenne urgenza. Il montaggio, quasi jazzistico, è una danza di immagini e sensazioni che riflette il turbine interiore dei personaggi. Questo dinamismo formale non è un mero virtuosismo, ma una scelta consapevole per rendere la fugacità del tempo e la complessità dei sentimenti. Il "profilo analitico e spietato" degli amanti è tale perché Truffaut non giudica, ma mostra, con empatia ma senza moralismi, la loro ricerca ostinata e spesso dolorosa di una felicità irraggiungibile, una libertà che finisce per consumarsi.
Ciò che inquieta e intriga non è tanto il disincanto con il quale il regista guarda la vicenda ma la fuggevole passione che pulsa febbricitante sovrintendendo il caos degli avvenimenti: un sottile filo che cuce gli eventi e che Truffaut sagacemente mette in mano allo spettatore determinandone il ruolo effimero di Demiurgo. Ed è proprio qui che il genio di Truffaut si rivela in tutta la sua potenza evocativa. L'opera non è una fredda autopsia delle relazioni umane, ma piuttosto l'osservazione di una febbre, un furor amoris che trascende la logica e la convenzione. La "fuggevole passione" è il vero motore narrativo, un'energia primordiale che alimenta tanto le effimere gioie quanto le ineluttabili tragedie. Truffaut non teme il caos, anzi, lo abbraccia, riconoscendovi la vera essenza di un'esistenza che si nega a ogni schema prefissato. La narrazione, pur guidata dalla voce onnisciente, lascia allo spettatore il compito di ricomporre un mosaico frammentato di emozioni e decisioni impulsive. Siamo chiamati a essere non semplici osservatori, ma co-creatori, "Demiurghi" di un universo sentimentale dove ogni certezza è provvisoria e ogni legame è sottoposto alla prova del tempo e del desiderio irrefrenabile. Questo approccio riflette anche lo spirito dei tempi in cui il film fu realizzato, gli albori degli anni '60, un decennio di rottura e di nuove libertà individuali, anticipando il fermento culturale e le sfide alle convenzioni che avrebbero caratterizzato il decennio. La canzone iconica "Le Tourbillon de la Vie," cantata da Jeanne Moreau, diventa non solo un leitmotiv, ma una vera e propria chiave di lettura del film, metafora perfetta della vita che gira, travolge, e mai si ferma, proprio come la passione che lega indissolubilmente i tre protagonisti in una spirale di attrazione e repulsione, di illusione e disincanto. Il film non è solo una storia d'amore, ma una meditazione sul tempo, sulla memoria e sulla ricerca di una forma di libertà che spesso sconfina nella distruttività, interrogando il pubblico su quanto sia sostenibile una felicità che non si cura delle convenzioni.
Un geniale ribaltamento che solo Truffaut poteva attuare, un'impresa artistica audace, un capolavoro senza tempo che non smette di interrogarci sulla natura stessa dell'amore e dell'amicizia, sulla bellezza della libertà e sui suoi costi. Solo Truffaut, con la sua sensibilità unica e la sua visione incondizionatamente umana, poteva trasformare un romanzo di nicchia in un'opera cinematografica universale, capace di catturare l'essenza stessa della vita nel suo eterno, vorticoso divenire. "Jules e Jim" rimane una pietra miliare, non solo della Nouvelle Vague, ma dell'intera storia del cinema, un inno alla vita nel suo perpetuo e spesso doloroso turbine.
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