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Kill Bill Vol. 1 e 2

2003

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Menzione unica per i due capitoli della saga di Beatrix Kiddo, usciti a distanza di un anno l’uno dall’altro, ma in effetti contemplabili come opera unica data l’omogeneità stilistica e narrativa. Lungi dall'essere una semplice spartizione commerciale, questa scelta si rivela una geniale mossa narrativa, consentendo a Tarantino di distillare la tensione, di approfondire i personaggi e di esplorare le intricate dinamiche della vendetta con una profondità che un singolo lungometraggio non avrebbe potuto contenere. È una saga che respira, che si prende il suo tempo per costruire il mito e poi per smantellarlo, offrendo una catarsi posticipata che amplifica l'impatto emotivo e visivo, trasformando il racconto in un'epopea moderna.

Tarantino è ormai un brand, un marchio di fabbrica con uno stile immediatamente riconoscibile. E anche questa mini-saga di Kill Bill non fa eccezione. Tutto è esageratamente smodato in Tarantino, ma con una rappresentazione estetizzante talmente raffinata che l’enfasi e l’amplificazione divengono veri e propri punti di forza della sua Arte. Il suo cinema è un caleidoscopio postmoderno, dove la citazione non è mera riproduzione ma rielaborazione, un dialogo continuo con la storia del cinema stesso. Egli non si limita a omaggiare; assorbe, decostruisce e rifonde generi e archetipi, creando qualcosa di intrinsecamente nuovo, eppure così familiarmente radicato nell'immaginario collettivo cinefilo.

Una montagna di citazioni, di omaggi a generi e registi, di cameo, di oggetti preziosi, di piccole e grandi sorprese, di citazioni cinefile, un’autentica catena montuosa di dati è disseminata per tutta l’opera. Ogni inquadratura, ogni nota della colonna sonora, ogni dialogo è intriso di un amore viscerale per la Settima Arte. Questo approccio non è un capriccio, ma la spina dorsale di una narrazione che si nutre del passato per proiettarsi nel futuro, elevando la cultura pop a una forma d'arte erudita.

Facciamo alcuni esempi. I cameo in Kill Bill: Samuel L. Jackson, attore feticcio di Tarantino per antonomasia, interpreta Rufus, il pianista del matrimonio di Beatrix, Tim il testimone dello sposo è Stevo Polyi, ex collega di Tarantino ai Video Archives, Trixie una delle spogliarelliste è Victoria Lucai, assistente personale di Tarantino, il barista stralunato che accoglie Beatrix appena risorta dalla tomba è William Paul Clark, aiuto regista, lo sposo Tommy Plympton è nientemeno che Christopher Allen Nelson, grande artista del make-up. E la lista potrebbe continuare all’infinito. Questa predilezione per l’inserimento di figure a lui vicine, che siano collaboratori storici o amici, non è solo un vezzo, ma una dichiarazione d'intenti: il cinema di Tarantino è un'opera collettiva, un laboratorio in cui i confini tra finzione e realtà produttiva si fondono, creando un universo auto-referenziale e vivace.

Tarantino infarcisce Kill Bill di citazioni partendo dal suo amore per le arti marziali, per la cultura giapponese, per i manga, per i b-movies, per gli spaghetti western e per il genere poliziesco italiano degli anni settanta. Questo eclettismo non è casuale. Il tributo al cinema giapponese si manifesta non solo attraverso le sequenze animate che narrano la sanguinosa storia di O-Ren Ishii, chiaramente ispirate agli anime e ai manga, ma anche nell'estetica dei film di kung fu della Shaw Brothers, con le loro coreografie stilizzate e i suoni distintivi degli impatti. L'influenza del film "Lady Snowblood" (1973) di Toshiya Fujita, un capolavoro del cinema di vendetta femminile, è innegabile e costituisce quasi una matrice per l'intero arco narrativo della Sposa. Allo stesso modo, l'anima degli spaghetti western, con la loro aridità morale e i duelli all'ultimo sangue, filtra attraverso le inquadrature ampie del deserto texano e gli sguardi torbidi, memori di Sergio Leone. Non meno influente è il poliziottesco italiano, genere robusto e spesso brutale, che Tarantino assorbe e filtra attraverso la sua lente iper-stilizzata, conferendo un'energia grezza e inequivocabile alla violenza coreografata.

Mescolando tutti questi generi e tenendoli incollati narrativamente per mezzo di una storia avvincente e del buon gusto cinematografico avremo la cifra estetica di questo film. Beatrix è una sposa tradita e trucidata sulla soglia dell’altare, proprio dall’uomo che amava. La donna faceva infatti parte di un asset di killer professionisti capitanati da Bill, filosofo mercenario, fascinoso assassino che scova e uccide Beatrix che aveva lasciato il gruppo per ritirarsi a vita privata in Texas. Bill e i suoi killer uccidono tutti i presenti alle prove della cerimonia in una sperduta chiesa nei dintorni di El Paso. Ma Beatrix non muore, rimane in coma per anni, mentre la bambina che portava in grembo le viene tolta durante il suo sonno forzato.

Quando la donna si sveglierà darà inizio al suo piano di vendetta andando a cercare ogni singolo componente del gruppo di fuoco per ucciderlo. Questa è la premessa di una vendetta che trascende la mera rappresaglia fisica, trasformandosi in un'odissea catartica. La sua sete di sangue non è solo dettata dal dolore, ma dalla riscoperta di sé stessa, del suo passato di assassina e della sua identità di madre. La performance di Uma Thurman è un monumento alla resilienza femminile, un'icona di forza e vulnerabilità che attraversa inferni personali e duelli all'ultimo sangue, da Tokyo a El Paso, portando su di sé il peso di un amore perduto e di una figlia strappata.

La vicenda, divisa in due opere, percorre le tappe di questa leggendaria vendetta, passando per ogni killer dell’organizzazione che cade sotto i colpi della Sposa Insanguinata. Bill, il capo, sarà l’ultimo tassello di questo piano sanguinario, e il loro confronto finale non è un semplice scontro fisico, ma un duello verbale e filosofico che svela le complesse sfumature del loro rapporto, un connubio di amore, tradimento e rispetto. La violenza, in Tarantino, non è mai fine a sé stessa, ma un linguaggio, uno strumento per esplorare le profondità dell'animo umano, le dinamiche di potere e la ciclicità inarrestabile della vendetta, fino all'ultima, insanguinata, ma inaspettatamente liberatoria, parola.

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