La Cagna
1931
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Regista
Primo film sonoro di Renoir. Il grande Maestro francese dimostra di padroneggiare perfettamente il nuovo strumento realizzando un affresco sensazionale in cui ogni personaggio viene campito in una dimensione ritagliata su misura. Questa sua precoce maestria nell'uso del sonoro, spesso in netto contrasto con l'approccio ancora rigidamente teatrale di molti suoi contemporanei, non si limita alla mera riproduzione del dialogo, ma si spinge a comprendere il suono come elemento atmosferico e psicologico intrinseco alla narrazione. L’indagine psicologica è funzionale alla narrazione e non collide con il risultato estetico, anzi lo corroborano. Il film, tratto dall'omonimo romanzo di Georges de La Fouchardière, è un affresco crudo e realistico della società francese del tempo, popolato da personaggi emarginati, vittime delle proprie passioni e delle ipocrisie di un mondo borghese che si rivela non solo ipocrita, ma profondamente in decomposizione. Questa non è una statica rappresentazione, ma un vivido e pulsante ritratto della Francia tra le due guerre, una nazione ancora profondamente segnata dalle cicatrici del conflitto, alle prese con un paesaggio morale in mutamento e l'erosione delle certezze tradizionali. Renoir, con il suo sguardo acuto e compassionevole, ma mai sentimentale, ci conduce nelle pieghe dell'animo umano, mostrandoci con disarmante lucidità le contraddizioni e le fragilità dei suoi personaggi, quasi in una dissezione chirurgica delle anime.
La trama si concentra su Maurice Legrand, un timido cassiere di banca, soffocato da un matrimonio infelice con una moglie autoritaria e meschina. Egli è l'incarnazione di una borghesia mediocre e repressa, un uomo che, pur non essendo un eroe tragico in senso classico, diviene la vittima sacrificale di un destino ineluttabile e di una società che non offre scampo alla sua disperazione silenziosa. La sua vita grigia e monotona viene sconvolta dall'incontro con Lulu, una giovane prostituta, di cui si innamora perdutamente. Per lei, Legrand è disposto a tutto: la mantiene, le regala gioielli, arriva persino a rubare per soddisfare i suoi capricci. Ma Lulu, cinica e opportunista, lo tradisce con un giovane e violento pugile, Dédé. In questo contesto, Lulu emerge come una figura archetipica della femme fatale, ma spogliata di ogni glamour romantico; è una predatrice pragmatica, prodotto anch'essa di un ambiente spietato, dove l'amore è una merce e la sopravvivenza l'unica legge. Il triangolo amoroso con Dédé, il pugile primitivo e brutale, intensifica il dramma, svelando le fragilità patetiche di Legrand e la sua incapacità di confrontarsi con una realtà così cruda. La gelosia e la disperazione spingono Legrand a commettere un omicidio, dopo il quale si rifugia in una vita di vagabondaggio e di degrado. La sua trasformazione da impiegato ligio a uxoricida per passione e poi a barbone non è un mero susseguirsi di eventi, ma una radicale metamorfosi interiore, una perdita di ogni residuo di dignità che Renoir cattura con una disarmante lucidità, quasi flaubertiana nella sua spietata osservazione del piccolo uomo. Renoir, con uno stile narrativo asciutto ed essenziale, ci mostra la progressiva discesa agli inferi di Legrand, la sua perdita di identità, la sua alienazione dalla società.
Legrand, nel suo percorso di degradazione, si allontana sempre di più dai valori morali della società. La sua discesa non è solo un atto criminale, ma una progressiva desensibilizzazione, un'immersione in un abisso esistenziale che lo rende, a posteriori, quasi un precursore di personaggi camusiani o sartriani, un antieroe che incarna l'assurdità della condizione umana di fronte all'indifferenza universale. Il suo crimine lo isola moralmente, rendendolo un reietto, un uomo senza più legami con il mondo. La sua solitudine diventa quindi anche una solitudine morale, una condizione di isolamento e di alienazione dai valori condivisi. La solitudine di Legrand è strettamente legata alla sua alienazione dalla società moderna. Il suo lavoro ripetitivo e meccanico, la sua vita familiare opprimente, la sua incapacità di trovare un posto nel mondo, contribuiscono a creare un senso di profondo disagio e di isolamento. Questa alienazione non è solo personale, ma riflette una crisi più ampia della modernità, dove l'individuo è schiacciato tra le costrizioni sociali e il vuoto interiore. La figura del vagabondo finale, quasi un relitto umano, si fa simbolo potente di questa rottura definitiva. La ricerca di Legrand di una via d'uscita dalla solitudine lo porta a rifugiarsi in un mondo di illusioni. L'amore per Lulu, la vita di bagordi, l'affrancamento dalla moglie, sono tutte illusioni che si rivelano effimere e che lo conducono a una solitudine ancora più profonda. Renoir riesce a campire questo titanico senso di solitudine con la sua maestosa tecnica artistica. Le inquadrature spesso lo isolano nello spazio, sottolineando il suo distacco dagli altri personaggi o lo relegano in angoli soffocati dall'arredamento borghese o dalla desolazione urbana. L'uso del sonoro, ben oltre la mera riproduzione del parlato, diventa un elemento narrativo essenziale: i rumori assordanti della città che amplificano l'isolamento di Legrand, i silenzi eloquenti che sottolineano il vuoto delle sue illusioni, la cacofonia occasionale che riflette il suo disorientamento mentale. Questa maestria tecnica, che anticipa il realismo poetico e poi il Neorealismo italiano (di cui La Cagna è stata una fonte d'ispirazione non secondaria per la sua attenzione alla quotidianità grigia, alla marginalità e all'uso di attori non professionisti in alcune scene, seppur con un impianto narrativo ancora saldamente classico), si manifesta anche nella rappresentazione quasi documentaristica di certi ambienti parigini. Il film fu, all'epoca, oggetto di scandalo e censure per la sua moralità ambigua e la rappresentazione esplicita della prostituzione e del crimine senza retorica moraleggiante, un coraggio che lo distingue da molta produzione contemporanea. Un capolavoro del cinema moderno che segna un confine netto nel percorso estetico speculativo di Renoir e che apre nuovi orizzonti per il Cinema di introspezione e di denuncia sociale. Un punto di riferimento per il Neorealismo. È un'opera che, pur essendo un fulgido esempio del cinema degli anni '30, dialoga prepotentemente con il nostro presente, interrogandoci sulla natura della passione, della libertà e della vendetta, e lasciandoci con l'inquietante consapevolezza che la caduta di Legrand potrebbe essere la caduta di chiunque di noi, intrappolato tra desiderio e disillusione. La sua eredità risuona nel cinema di Buñuel (si pensi a un certo disincanto borghese) e, per certi versi, persino nelle atmosfere malinconiche di Carné. Un’opera che parla attraverso la complessa psiche del suo protagonista e, dopo averla spietatamente messa a nudo, ci trascina nel suo vortice mentale di perdizione. E in un attimo siamo perduti con lui.
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