La Cosa
1982
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Regista
Quando nel 1951 Howard Hawks mise le mani sul racconto di John W. Campbell intitolato "Who Goes There?" adattandolo in sede di sceneggiatura, ne uscì uno dei classici del cinema di fantascienza degli anni '50. Il film uscì nel 1951 con il titolo "The Thing from Another World" a firma del semisconosciuto regista Christian Nyby, anche se di fatto Howard Hawks lo coadiuvò in regia, seppur non accreditato. John Carpenter partì da questo film per una sua personale rivisitazione del testo di Campbell scostandosi dal lavoro di Hawks e rielaborandone una propria versione in chiave Thriller/Horror. Carpenter compie un capillare lavoro di destrutturazione del lavoro di Hawks scostandosi da una visione pragmatica e tutto sommato convenzionale, per immergere la sua storia in un atmosfera paranoica, angosciante, asfittica.
La rilettura di Carpenter non è una semplice variazione sul tema, ma una vera e propria inversione filosofica che riflette il disincanto degli anni '80. Laddove Hawks, con il suo ottimismo post-bellico, dipingeva una minaccia esterna contenibile dall'ingegno collettivo e dalla ragione – quasi un'allegoria della Guerra Fredda dove l'ordine prevale sul caos alieno – Carpenter si tuffa a capofitto in un abisso di paranoia interna, una disintegrazione ontologica che divora l'identità stessa. Il suo alieno non è solo un invasore, ma un contaminante biologico e psicologico, un'entità che non si limita a minacciare la vita, ma corrompe la fiducia, il legame sociale, l'essenza dell'essere umano. Questa differenza è abissale: il film di Hawks è un inno, seppur glaciale, alla resilienza umana; quello di Carpenter un'agghiacciante autopsia della sua inevitabile, terrificante dissoluzione. La scelta di un cast interamente maschile, in un ambiente di totale isolamento, accentua la messa in crisi della virilità eroica e della tradizionale coesione di gruppo, spesso celebrata nel cinema d'avventura.
In una Base Antartica presidiata da un equipe americana di ricerca compare un elicottero norvegese di un'altra base dislocata più a nord. Il velivolo sta inseguendo un cane Husky quando precipita ed esplode. L'unico sopravvissuto allo schianto cerca disperatamente di abbattere il cane ma nella concitazione spara ad uno dei membri della base e viene ucciso. Il team comincia a indagare su ciò che è accaduto nella base norvegese andando a compiervi un sopralluogo. Dopo un esame delle prove rinvenute appare chiaro che il team scandinavo aveva riesumato dal ghiaccio una creatura non definita. Nel frattempo fenomeni inquietanti si susseguono nella base ed appare chiaro che l'entità risvegliata è ostile e ha la facoltà di duplicare qualsiasi organismo vivente simulandone le attività biologiche e sociali. Tra gli uomini della Base c'è qualcosa che si nasconde e qualcuno di loro non è che chi dice di essere. La paranoia diventa così il vero protagonista del film, un contagio mentale ancor più insidioso di quello fisico, e risuona con le ansie dell'epoca, dai timori nucleari della Guerra Fredda all'emergere di nuove, misteriose pandemie che minavano la percezione di sicurezza e controllo.
Avvalendosi della maestria del grande effettista Rob Bottin, Carpenter riesce a dare forma tangibile all'incubo, plasmando una sorta di orrore indefinibile che muta continuamente la propria struttura morfologica. Le creazioni di Bottin sono un trionfo di orrore corporeo, un catalogo di aberrazioni biomeccaniche che sfidano la categorizzazione, superando i confini tra organico e inorganico, tra vita e mostruosità. Memorabili le scene in cui la Cosa viene finalmente alla luce, tra inquadrature gore, luci incerte e sapienti cambi di campo Carpenter riesce a tenerci sempre con le mani nervosamente artigliate ai braccioli della poltrona. Ma la vera grandezza del suo film risiede nell'atmosfera di incertezza che permea ogni fotogramma. Carpenter fa piazza pulita della teoria hollywoodiana secondo cui un ingegno brillante ed una buona dose di coraggio possono portare l'uomo a prevalere sulla Cosa venuta dallo Spazio, discostandosi dal taglio istituzionale che Hawks diede alla storia (seppure con notevoli impennate estetiche).
Il genio di Carpenter si manifesta non solo nella regia implacabile e negli effetti viscerali, ma anche nella scelta di collaboratori d'eccezione. La fotografia di Dean Cundey, con i suoi toni freddi e la profondità di campo che amplifica il senso di claustrofobia, trasforma la base antartica in una prigione di ghiaccio, un labirinto di corridoi e luci tremolanti dove ogni ombra può nascondere una minaccia. E poi c'è la colonna sonora di Ennio Morricone. Controintuitivamente, Carpenter scelse il maestro italiano, chiedendogli di emulare lo stile minimalista e pulsante che Carpenter stesso spesso impiegava nei suoi film. Il risultato è un tappeto sonoro di desolante isolamento e crescente terrore, fatto di dissonanze, di bassi profondi e di silenzi assordanti, che amplifica la sensazione di un pericolo incombente e di un mondo che si sgretola.
Nel suo film l'Uomo non ha alcun punto di riferimento, è completamente in balia degli eventi, ogni rapporto sociale è corrotto da diffidenza, paura e ipocrisia. La Cosa è prima di tutto uno stato mentale, un Limbo Nichilistico dove ogni vincolo umano viene azzerato. La minaccia non è più esterna e visibile, ma risiede nella sospensione della conoscenza, nell'impossibilità di distinguere l'amico dal mostro, il vero dal simulacro. Questa ambiguità radicale sprofonda i personaggi e lo spettatore in un'agonia esistenziale che ricorda le opere di H.P. Lovecraft, dove l'orrore non è solo dato dalla mostruosità fisica, ma dall'insondabile, dall'alieno nella sua capacità di annichilire la razionalità umana. Aldilà di essa si estende infinita una sorta di Wasteland, una devastazione sconfinata dove gli uomini soccombono alle loro stesse paure. La conclusione del film, priva di catarsi o di facile ottimismo, sigilla questo patto con il nichilismo, lasciando gli ultimi sopravvissuti non a festeggiare una vittoria, ma a contemplare un'estinzione certa, circondati dal freddo eterno e da un sospetto che non potrà mai essere dissipato. Un film che all'epoca fu incompreso e stroncato dalla critica, ma che, con il passare degli anni, si è imposto come uno dei capolavori assoluti del genere, una discesa vertiginosa nell'abisso della condizione umana.
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