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La Febbre dell'Oro

1925

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Chaplin, dopo un’opera cardine come Il Monello, continuò nel suo percorso estetico teso a ricavare delicata poesia dalla figura di uno squattrinato vagabondo. Se ne Il Monello il clochard era più legato a un contesto urbano e a una dimensione più intima, ne La febbre dell'oro lo vediamo confrontarsi con una natura ostile e con sfide esistenziali più profonde. La solitudine, la fame, la ricerca dell'amore sono temi universali che Chaplin riesce a rendere palpabili attraverso la gestualità e l'espressività del suo personaggio. Ne uscì questo capolavoro in cui l’ambientazione cupa e oppressiva della città lascia il posto alla sconfinata asprezza delle pianure ghiacciate del Klondike ai tempi della corsa all’oro (sul finire dell’800). L'ambientazione della corsa all'oro è un elemento fondamentale del film. La natura selvaggia e inospitale del Klondike diventa un personaggio a sé stante, un ostacolo da superare e una forza incontrollabile. La lotta di Charlot contro gli elementi naturali, come il freddo, la neve e le tempeste, esalta la sua umanità e la sua capacità di adattamento, ponendolo in una dimensione epica che trascende la semplice commedia.

Charlot affronta le rigidezze dell'inverno canadese e le asperità della vita nei campi auriferi trovandosi a confrontare con una natura ostile e con personaggi altrettanto ruvidi. In mezzo a questa atmosfera di avidità e competizione, il piccolo vagabondo conserva la sua purezza d'animo, trovando momenti di poesia e di commozione anche nelle situazioni più difficili. La sua ricerca dell'oro si intreccia con un'improbabile amicizia con un cercatore d'oro più robusto e con un timido amore per una ballerina di saloon. La storia gli riserverà amarezze e umiliazioni fino al riscatto finale. Questo scenario di caccia al tesoro, intriso di sogni di ricchezza e spesso di cruda disillusione, rispecchia in realtà una critica sottile ma penetrante al capitalismo selvaggio e all'illusione del miraggio americano, un tema che Chaplin avrebbe poi approfondito in opere successive come Tempi Moderni. Il Klondike, in quest'ottica, non è solo uno sfondo esotico, ma una sorta di purgatorio geografico dove l'anima umana viene messa a nudo, costretta a scegliere tra la sopravvivenza brutale e la conservazione della propria dignità. Charlot, in questa giungla ghiacciata, incarna la resilienza dell'individuo, un Prometeo moderno che sottrae fiammelle di umanità alla gelida indifferenza del mondo.

Tantissime le scene da menzionare: la cena con la scarpa bollita, la baracca semovente in bilico sul precipizio, Charlot che fa danzare un panino animandolo con due posate. Chaplin riesce a coniugare l'umorismo più slapstick con momenti di grande poesia. Le gag sono costruite con maestria, ma al tempo stesso sono cariche di un'emotività profonda. La scena della cena con la scarpa bollita, ad esempio, è un momento di puro umorismo, ma al tempo stesso trasmette un senso di disperazione e di solitudine così palpabile da elevare l'atto comico a metafora esistenziale. La fame non è solo quella fisica, ma anche la brama inappagata di affetto, di riconoscimento, di un posto nel mondo. Allo stesso modo, la sequenza del "balletto dei panini" è un virtuosismo di pantomima, un'allegoria della capacità umana di trasformare la privazione in arte, di creare bellezza e gioia dalla miseria più nera. Chaplin, che all'epoca aveva raggiunto un controllo artistico quasi assoluto sulla sua produzione – dalla sceneggiatura alla regia, dalla recitazione alla composizione musicale per la celebre riedizione del 1942 – dimostra una precisione chirurgica nella coreografia del corpo e del gesto, elevando lo slapstick a una forma di balletto tragico-comico. Questa fusione è il modus operandi tipico di Chaplin, che riesce a fondere due piani emozionali dando vita a qualcosa di completamente nuovo, suscitando emozioni contrastanti che avvincono inesorabilmente la sua platea. La produzione stessa fu un'impresa monumentale, con riprese sulle fredde vette della Sierra Nevada e l'impiego di centinaia di comparse, a testimonianza della sua ambizione e della sua ricerca di autenticità visiva.

Il film fu forse il primo vero grande successo popolare (e di critica, in seguito) della storia della Settima Arte. Un'opera che ha collocato una pietra miliare nella storia del cinema. Chaplin dimostra come il cinema possa essere al tempo stesso comico e profondo, popolare e artistico. Il suo personaggio di Charlot è ormai diventato un'icona universale, capace di attraversare le barriere culturali e linguistiche, un archetipo del "piccolo uomo" che lotta contro le avversità, risuonando con la picaresca letteraria e con il dramma della condizione umana. Una grande e inarrivabile intuizione quella di mettere in scena lo stesso personaggio (o se volete la proiezione di Chaplin stesso) che conferisce ai suoi film una storia, un sostrato culturale e un percorso narrativo capaci di conferire una granitica coerenza stilistica e poetica in cui lo spettatore immediatamente si ritrova. Questa continuità di Charlot, da Il Monello a Luci della Città fino a Tempi Moderni, crea una vera e propria saga muta, una commedia umana che, pur cambiando contesti e sfide, mantiene intatto il cuore pulsante del suo protagonista: un'ostinata e inarrestabile fiducia nell'umanità, anche quando il mondo intorno sembra averla persa.

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