La Furia Umana
1949
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Regista
Walsh firma un gangster movie atipico per molti versi: anzitutto la connotazione psicologica del protagonista: complessa e compulsiva, con florilegio di fobie che delizierebbero il palato di qualsiasi famelico psichiatra. Non si tratta semplicemente di nevrosi passeggera, bensì di un vero e proprio abisso patologico, alimentato da emicranie lancinanti che lo attanagliano con la violenza di un tormento infernale e da una claustrofobia che lo rende un animale in gabbia, incapace di tollerare ogni limitazione spaziale o emotiva. Questa intrusione così profonda nella psiche deviata del criminale segna una svolta radicale rispetto ai classici del genere, che fino ad allora avevano per lo più dipinto i loro antieroi come prodotti di un ambiente sociale disfunzionale o di un individualismo sfrenato, raramente scandagliando le motivazioni più oscure e irrazionali che si annidano nelle pieghe dell'inconscio. La Furia Umana, in questo senso, si erge come un monumento precursore della psicopatologia su pellicola, un decennio prima che le derive della mente umana diventassero un terreno fertile per il cinema più audace.
In ogni caso affascinante nella sua perversa poliedricità. La perversione, qui, non è soltanto etica, ma esistenziale.
Poi c’è la connotazione etica che viene bellamente turlupinata, a differenza di altri casi in cui i fuorilegge erano comunque messi alla gogna dalla prospettiva istituzionale dell’opera, benché certamente presentati come uomini valorosi. In quest’opera Walsh delinea l’archetipo dell’antieroe e trova nella maschera cinica di Cagney la perfetta incarnazione. Ma Cagney non indossa una semplice maschera; egli si cala nella pelle di Cody Jarrett con una fisicità vibrante e una modulazione emotiva che trasforma il personaggio in un fenomeno da baraccone psicologico. Il rigore moralistico del Codice Hays, che per anni aveva imposto la punizione esemplare del criminale sullo schermo, qui viene piegato e quasi irriso. La condanna di Cody non è tanto sociale quanto interna, una prigione autoimposta di follia e dipendenza materna, rendendo la sua fine non una redenzione, ma una catartica, eppure inevitabile, implosione. Walsh, con la sua regia asciutta e brutalmente efficace, scarnifica ogni ipocrisia, presentando Cody non come un esempio da non seguire, ma come un caso clinico da osservare con orrore e morbosa curiosità.
James Cagney interpreta Cody Jarrett, piccolo balordo cresciuto in una famiglia di banditi. Una famiglia, peraltro, atipica anch'essa, retta da una matriarca di ferro, la "Ma" Jarrett, figura tanto amorevole quanto spietata, che incarna essa stessa una deviazione dalla norma, rafforzando la tesi di un destino criminale trasmesso quasi per osmosi sanguigna.
Cody ha una venerazione per la madre ed è vittima di violenti cambiamenti d’umore che lo fanno apparire un uomo sulla soglia della follia. Questa venerazione è la vera chiave di volta del suo delirio, un legame edipico esasperato fino al parossismo, che funge da unico ancora in un mare di instabilità. La sua dipendenza dalla madre è totale, quasi fetale, e quando essa viene meno, il suo fragile equilibrio si spezza definitivamente, rivelando un uomo-bambino incapace di affrontare la realtà senza il suo totem affettivo. La sua furia non è solo distruttiva verso l'esterno, ma anche autodistruttiva, un vortice di rabbia incontrollabile che si manifesta in scatti improvvisi, in grida primordiali e in una violenza inaudita che esplode senza preavviso. La scena del suo crollo psichico in prigione, dove urla e si dimena come un animale ferito, è un tour de force attoriale di Cagney che va ben oltre la semplice "furia": è la manifestazione pura della disperazione e della psicosi.
Quando riunirà la vecchia banda in una fabbrica abbandonata inizierà a progettare un colpo ad un treno che dovrà cambiare le loro vite per sempre. Questa rapina al treno, simbolo di un mondo in corsa che Cody non riesce ad afferrare, diventa non tanto un piano per la libertà finanziaria, quanto l'ultimo, disperato tentativo di affermare un controllo su una realtà che gli sfugge, una sfida lanciata al destino, destinata al fallimento.
Memorabile, è davvero il caso di dirlo, l’interpretazione di Cagney. Cody Jarrett è l’archetipo della ferocia e della sottomissione edipica alla madre. L'attore, celebre per i suoi ruoli di "tough guy" fin dai tempi di Public Enemy (1931), qui si supera, consegnando al cinema una performance che è al contempo viscerale e perturbante. Non si limita a interpretare un gangster; egli è la furia repressa, la patologia incarnata, la vulnerabilità mascherata da violenza. Ogni suo sguardo, ogni tic, ogni esplosione di ira è calibrata per trasmettere l'implosione interna del personaggio. La sua capacità di passare da un'affettuosa devozione materna a una brutalità glaciale in un battito di ciglia è ciò che rende Cody Jarrett uno dei criminali più complessi e indimenticabili della storia del cinema. È un ruolo che ha ridefinito non solo la sua carriera, ma anche il genere stesso, aprendo la strada a personaggi criminali più sfaccettati e psicologicamente tormentati, lontani dalla bidimensionalità dei loro predecessori.
Hitchcock quando girò Psycho sicuramente rammentò la lezione di questo film e la figura che Walsh seppe progettare e Cagney incarnare. Il parallelismo tra Cody Jarrett e Norman Bates è lampante e profondo: entrambi personaggi dominati da una madre possessiva (anche se in modi diversi), entrambi affetti da profonde deviazioni psicologiche, con una doppia natura che oscilla tra la compiacenza e l'omicidio. Walsh, in La Furia Umana, anticipa di un decennio non solo l'analisi psicologica del crimine, ma anche la tecnica narrativa del suspense psicologico, portando lo spettatore a confrontarsi con la mente distorta del protagonista. La scena finale, con Cody che urla "Top of the world, Ma!", mentre l'acciaieria esplode in un tripudio di fiamme, è una delle più iconiche e nichiliste della storia del cinema. Non è solo la fine di un gangster; è l'auto-annientamento di un uomo che non ha mai trovato il suo posto nel mondo, un'esplosione liberatoria e al tempo stesso definitiva, che chiude un cerchio di violenza e pazzia. Questo film, con la sua intensità e la sua audacia tematica, si posiziona come un ponte tra il classico film di gangster e l'emergente film noir psicologico, lasciando un'impronta indelebile nella cultura cinematografica e nell'immaginario collettivo.
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