La signora scompare
1938
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Regista
Un treno che sfreccia attraverso un paesaggio innevato non è mai solo un treno. In Alfred Hitchcock, è un proiettile narrativo, un microcosmo su rotaie, una distopia in miniatura dove le leggi della fisica sociale vengono temporaneamente sospese e riscritte. E in nessun altro luogo questo è più evidente che ne La signora scompare, l'architrave del suo periodo britannico e, a conti fatti, uno degli oggetti cinematografici più ingannevolmente complessi mai concepiti. Ad un primo, disattento sguardo, il film si presenta come una deliziosa commedia degli equivoci, un vaudeville popolato da eccentrici sudditi di Sua Maestà intrappolati in un albergo sovraffollato nella fittizia nazione balcanica di Bandrika. Ma questa è solo la vernice superficiale, la zuccherosa copertura che nasconde un meccanismo di precisione infernale. Hitchcock, con l'aiuto fondamentale dei suoi sceneggiatori Frank Launder e Sidney Gilliat (il cui dialogo scoppietta con un'arguzia che P.G. Wodehouse avrebbe invidiato), ci attira in una trappola di fascino e leggerezza, solo per farla scattare quando siamo più vulnerabili.
Il film è una sorta di Matrioska narrativa. Lo strato più esterno è la commedia di caratteri: la giovane e viziata socialite Iris Henderson, in fuga verso il matrimonio; il musicologo etnomusicale Gilbert, una sorta di proto-nerd ossessionato dal folklore locale; la coppia di impenitenti appassionati di cricket, Caldicott e Charters, la cui flemma stoica di fronte al caos è la più pura distillazione dell'anima britannica pre-bellica. Poi, aperto questo primo guscio, troviamo il thriller psicologico. La gentile e anziana governante, Miss Froy, svanisce nel nulla dal loro scompartimento, e Iris è l'unica a ricordare la sua esistenza. Improvvisamente, l'intero vagone, l'intero treno, l'intero mondo si coalizza contro di lei in una cospirazione del silenzio. Non è un semplice caso di amnesia collettiva; è un atto di "gaslighting" su scala industriale, un esperimento di Milgram in movimento dove l'autorità non è un uomo in camice bianco, ma la pressione schiacciante del conformismo sociale. Ogni passeggero, per viltà, egoismo o complicità, nega l'evidenza, tentando di convincere Iris (e noi con lei) che la sua percezione della realtà è fallata, che Miss Froy non è mai esistita.
Questa dinamica trasforma il treno in un palcoscenico kafkiano. Iris diventa l'imputata di un processo senza corte né accusa, la cui unica colpa è ricordare. La logica del mondo esterno cessa di applicarsi. Un nome scritto col dito sulla condensa di un finestrino è una prova tanto potente quanto effimera, cancellata dal vapore del treno stesso, metafora perfetta della fragilità della verità in un'epoca che si appresta a negarla sistematicamente. Hitchcock orchestra questa discesa nella paranoia con una maestria che gela il sangue. La macchina da presa si fa complice dell'angoscia di Iris, isolandola in inquadrature che sottolineano la sua solitudine in mezzo alla folla, trasformando i sorrisi cortesi degli altri passeggeri in ghigni sinistri. Non siamo più in una commedia di Ealing, siamo in un racconto di Poe ambientato in prima classe. La lotta di Iris non è per ritrovare una signora scomparsa, ma per riaffermare il proprio diritto alla sanità mentale, per dimostrare che la sua memoria non è un'allucinazione.
Ma c'è un terzo, e più profondo, strato in questa Matrioska. Girato e distribuito nel 1938, con l'ombra dell'Anschluss nazista che si allungava sull'Europa, il film è una delle più acute e feroci allegorie politiche del suo tempo. Bandrika è un non-luogo che rappresenta tutti i luoghi sull'orlo del baratro. E i passeggeri britannici? Sono l'incarnazione della politica di appeasement di Chamberlain. La loro reazione iniziale alla sparizione di Miss Froy è un capolavoro di satira: un fastidio, un'interruzione del loro confortevole viaggio verso casa. Caldicott e Charters sono preoccupati solo di arrivare in tempo per la partita di cricket a Manchester; altri personaggi fingono di non aver visto nulla per non "creare problemi". Il loro rifiuto di credere a Iris, il loro desiderio di ignorare l'inquietante verità che si agita sotto la superficie della loro routine, è il ritratto impietoso di una nazione che chiude deliberatamente gli occhi di fronte alla crescente minaccia del fascismo. "Non immischiarsi" è il loro mantra, lo stesso che echeggiava nei corridoi di Whitehall.
Solo quando la minaccia diventa fisica, inequivocabile – quando i proiettili iniziano a fischiare e il treno viene dirottato su un binario morto – la comunità è costretta a risvegliarsi dal suo torpore autoindotto. L'intellettuale astratto (Gilbert) e la ragazza superficiale dell'alta società (Iris) diventano eroi d'azione, l'avvocato pacifista è il primo a cadere sventolando una bandiera bianca, e persino i fanatici del cricket imbracciano le armi. La trasformazione è completa. Il film postula che la neutralità e il disimpegno sono lussi insostenibili di fronte a un male organizzato. La scomparsa di una singola, innocua vecchietta diventa il catalizzatore che costringe un'intera società a scegliere da che parte stare. E chi è Miss Froy, in fondo? È il MacGuffin per eccellenza, come direbbe Hitchcock, ma è un MacGuffin con un'anima. Non una formula o dei piani segreti, ma una melodia, un frammento di cultura, un codice cifrato in una ninna nanna popolare. Il segreto che porta con sé non è materiale, è informazione, conoscenza. È la verità stessa, e il nemico farà di tutto per sopprimerla, per cancellarla dalla memoria collettiva.
Tecnicamente, il film è un miracolo di economia ed efficienza. Realizzato quasi interamente negli studi di Islington della Gainsborough Pictures, utilizza con superba intelligenza modellini, retroproiezioni e set claustrofobici per creare l'illusione di un viaggio epico e pericoloso. Hitchcock non spreca un'inquadratura. Il montaggio è un metronomo che accelera il ritmo in modo quasi impercettibile, portando lo spettatore da un senso di rilassata curiosità a un'ansia da tachicardia. La sequenza della sparatoria finale, dove il treno è isolato nei boschi, è un assedio western in miniatura, un assaggio di quella violenza più esplicita che caratterizzerà i suoi lavori americani. La signora scompare è il punto di arrivo del Hitchcock britannico, una sintesi perfetta della suspense de L'uomo che sapeva troppo, dell'umorismo de Il club dei 39 e di una nuova, profonda consapevolezza politica. È un film che funziona su ogni livello immaginabile: come thriller impeccabile, come commedia romantica arguta, come studio psicologico sulla percezione e la memoria, e come preveggente commentario sul precipizio verso cui il mondo stava correndo. È la prova definitiva che il cinema di genere, nelle mani di un maestro, può contenere più verità, intelligenza e complessità di un intero trattato di sociologia. È un capolavoro non perché intrattiene, ma perché ci ricorda che a volte, la cosa più radicale e coraggiosa che si possa fare è semplicemente insistere, contro ogni evidenza contraria, di aver visto ciò che si è visto.
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