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I 1000 Film da Vedere Prima di Morire

Lady Bird

2017

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Media: 4.40 / 5

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Un atto di autopoiesi, un battesimo laico officiato nel chiuso di un'automobile in corsa. Christine McPherson decide di non essere più Christine. Diventa "Lady Bird". Non un alter ego, non un nome d'arte, ma una dichiarazione d'intenti ontologica. In questa scelta nominale, in questo rifiuto del nome paterno per un'auto-creazione quasi dadaista, risiede l'intera cosmogonia del folgorante esordio alla regia di Greta Gerwig. Un film che, sotto la pelle levigata e accessibile della commedia coming-of-age, nasconde la complessità di un romanzo di formazione joyciano, se James Joyce fosse cresciuto nella Sacramento del 2002, ascoltando i Dave Matthews Band e sognando una costa Est idealizzata come un'Irlanda mitologica.

La topografia di Lady Bird è prima di tutto affettiva. Sacramento non è una semplice ambientazione, ma un personaggio a pieno titolo, un'entità ambivalente che la protagonista ama detestare. È il "Midwest della California", un luogo definito dalla sua stessa mancanza di definizione, un purgatorio geografico da cui evadere per raggiungere la vera vita, che si presume si svolga altrove – a New York, "dove vivono gli scrittori". In questo, Gerwig cattura con una precisione quasi etnografica l'angoscia provinciale, quel sentimento universale di essere nati nel posto sbagliato, un tema che attraversa la letteratura americana da Sherwood Anderson a Joan Didion, la quale, non a caso, viene citata nel film come la più illustre figlia di Sacramento. Lady Bird, come la Didion di Slouching Towards Bethlehem, è un'osservatrice acuta del suo ambiente, anche se il suo sguardo è ancora offuscato dalla rabbia e dall'impazienza adolescenziale. La regia di Gerwig trasforma la città in una serie di istantanee sature di nostalgia anticipata: i ponti, le case Tudor dei quartieri ricchi, il discount Thrift Town. È una Sacramento che esiste già come un ricordo, un paesaggio che acquisterà il suo vero significato solo una volta abbandonato.

Il cuore pulsante del film, tuttavia, non è la fuga dalla provincia, ma la relazione simbiotica e ferocemente conflittuale tra Lady Bird e sua madre, Marion (una Laurie Metcalf di statura tragica). Il loro rapporto è un campo di battaglia emotivo che evoca, nelle sue dinamiche più aspre, le camere di tortura psicologica di un'opera di Bergman, sebbene filtrate attraverso il registro della commedia brillante. Le loro conversazioni sono capolavori di scrittura, duelli verbali in cui amore e risentimento, approvazione e critica feroce, si scambiano di posto nel giro di una singola battuta. La scena iniziale, in cui un momento di commozione condivisa durante l'ascolto di Grapes of Wrath in audiolibro si trasforma in un litigio furibondo che culmina con Lady Bird che si lancia dall'auto in corsa, è un prologo programmatico che stabilisce le regole d'ingaggio per l'intero film. Marion e Christine sono due facce della stessa medaglia: testarde, orgogliose, incapaci di ammettere la propria vulnerabilità, e legate da un amore così profondo da diventare quasi intollerabile. Gerwig seziona questa dinamica con la precisione di un chirurgo e l'empatia di chi l'ha vissuta sulla propria pelle. Ogni loro scontro è un microcosmo della difficoltà di separarsi da chi ci ha generato, del dolore che si prova nel riconoscere i propri difetti nello specchio del volto di un genitore.

Il contesto storico, l'America del 2002-2003, non è un semplice orpello. È un'eco costante che riverbera nelle vite dei personaggi. La guerra in Iraq è una notizia che scorre sui televisori in sottofondo, l'ansia post-11 settembre permea l'aria, e la crisi economica si abbatte sulla famiglia McPherson con la perdita del lavoro del padre (un dolente e magnifico Tracy Letts), la cui depressione diventa il contrappunto silenzioso all'esuberanza della figlia. Questa cornice socio-culturale impedisce al film di scivolare nel solipsismo adolescenziale. Le ansie di Lady Bird – l'ammissione al college, il primo amore, la perdita della verginità, la paura di non essere abbastanza – sono inserite in un mondo reale, segnato da preoccupazioni economiche tangibili e da un'incertezza collettiva. In questo senso, Lady Bird si discosta dal canone del cinema di John Hughes, a cui è stato superficialmente paragonato. Se i film di Hughes mettevano in scena un'adolescenza quasi mitica e isolata dal mondo adulto, Gerwig lega indissolubilmente il percorso di crescita della sua protagonista alle crepe e alle tensioni della società che la circonda.

La sceneggiatura di Gerwig è un meccanismo a orologeria di una perfezione rara. Il ritmo è scandito da un montaggio rapido, quasi ellittico, che assembla brevi scene come frammenti di un diario o polaroid sbiadite. Questa struttura frammentata riflette perfettamente la natura della memoria adolescenziale: non un flusso continuo, ma una collezione di momenti intensi, imbarazzanti, esilaranti e dolorosi. Ogni personaggio secondario, dal primo ragazzo Danny (Lucas Hedges) al pretenzioso pseudo-intellettuale Kyle (un Timothée Chalamet già iconico nel suo nichilismo da cameretta), è tratteggiato con pochi, efficaci colpi di pennello, evitando la caricatura e restituendo a ciascuno la propria complessa umanità. Persino la migliore amica Julie (Beanie Feldstein) trascende il cliché della "spalla comica" per diventare il baricentro emotivo e la coscienza critica di Lady Bird.

La progressione di Lady Bird non è una parabola di trasformazione radicale. È un lento, quasi impercettibile, processo di aggiustamento dello sguardo. La sua ribellione, inizialmente rumorosa e performativa – i capelli tinti di rosa, il nome auto-imposto, il disprezzo per le convenzioni – si affina gradualmente in una comprensione più matura di sé e delle proprie radici. Il vero punto di svolta non è l'arrivo a New York, la terra promessa, ma una telefonata a casa. Dopo una notte di alcol e disorientamento nella metropoli, finalmente sola, si presenta al telefono con il suo nome di battesimo: "Ciao mamma e papà, sono Christine". È un'epifania sottile, non gridata. Il nome "Lady Bird" era un'armatura, un tentativo di costruirsi un'identità prima di averne davvero una. "Christine" è l'accettazione di quella che è, un'identità che non cancella Sacramento e Marion, ma li incorpora. Il film si chiude con una citazione di Suor Sarah Joan, una delle figure più sagge della sua scuola cattolica: "Non è forse la stessa cosa, l'amore e l'attenzione?". Lady Bird, diventata Christine, impara finalmente a prestare attenzione. A sua madre, alla sua città, a se stessa. E in quell'attenzione, trova una forma di amore più profonda e duratura della ribellione.

Lady Bird è un'opera che riesce nel miracolo di essere specificissima e universale al tempo stesso. È il ritratto di una ragazza, in una città, in un anno preciso, ma la sua risonanza emotiva è senza tempo. È un film sulla dolorosa bellezza del distacco, sulla consapevolezza che per poter apprezzare davvero il luogo da cui veniamo, dobbiamo prima avere il coraggio di lasciarlo. E che il nome più autentico che possiamo darci non è quello che inventiamo per fuggire, ma quello che impariamo ad abitare con gratitudine, una volta tornati a casa.

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