L'Atalante
1934
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Regista
Un’opera fondamentale nella storia del cinema, concepita e plasmata da un giovanissimo Jean Vigo che la girò a soli 29 anni, e scomparve subito dopo le riprese. La sua breve e sfortunata esistenza, segnata dalla tubercolosi che lo avrebbe spento prematuramente, conferisce al film un’aura quasi mitica, quella di un genio fulminante il cui estro è stato interrotto troppo presto. Non è un caso che l'opera sia spesso annoverata tra i "film maledetti" o "maledetti" per la travagliata produzione: Vigo, già minato dalla malattia, dovette affrontare l'ostilità della produzione Gaumont, che ne tagliò impietosamente oltre venti minuti, ne modificò il titolo da "Le Chaland qui passe" (Il barcone che passa) a "L'Atalante" (in riferimento a una popolare canzone dell'epoca) e ne impose un montaggio che ne stravolse parzialmente il senso poetico originale. Solo anni dopo, grazie all'impegno di cinefili e critici, il film fu restaurato e riproposto nella sua versione più vicina alle intenzioni di Vigo, rivelando appieno la sua grandezza.
L'opera, pur essendo stata realizzata con mezzi limitati e in un contesto difficile, ha saputo anticipare temi e stilemi che saranno fatti propri da movimenti quali la Nouvelle Vague, influenzando profondamente cineasti del calibro di François Truffaut e Alain Resnais. La libertà formale di Vigo, la sua capacità di mescolare realtà quotidiana e lirismo onirico, rappresentano una vera e propria epifania per i futuri auteurs francesi. Il film ha anticipato molti dei temi e degli stilemi che saranno poi cari ai registi del movimento, come l'attenzione al quotidiano, la sperimentazione stilistica, i personaggi anticonformisti e i temi esistenziali. Vigo non si limitava a narrare una storia, ma scavava nell'anima dei suoi personaggi e nell'essenza stessa dell'esperienza umana, con una modernità sorprendente per l'epoca.
Il piano onirico in "L'Atalante" di Jean Vigo riveste altresì un'importanza fondamentale, contribuendo a creare l'atmosfera nebbiosa e surreale del film, e a cesellare la psicologia dei personaggi. Vigo, figlio dell'anarchico Miguel Almereyda, sembra ereditare dal padre una vocazione alla decostruzione delle convenzioni, che si traduce qui nell'esplorazione del subconscio, un territorio allora poco battuto dal cinema. Il piano del sogno diventa un mezzo per addentrarsi nella psiche dei personaggi e per rivelare aspetti della loro personalità che non emergono nella realtà quotidiana. La sequenza in cui Juliette si immerge nell'acqua e scorge il volto di Jean riflesso sulla superficie ad esempio, rappresenta un tentativo di restituire alla narrazione l'inconscio di Juliette, i suoi desideri reconditi, le sue paure e le sue fantasie, in un atto di puro lirismo cinematografico che fonde la materialità dell'acqua con la fluidità del desiderio. È un momento di rara bellezza, un tuffo nell'essenza stessa dell'amore e della mancanza.
La storia è quella di Juliette, una donna raffinata e volitiva, che si innamora e sposa un comandante di una chiatta, Jean, e va a vivere con lui sulla barca, l'omonima Atalante. La chiatta stessa diventa un personaggio, un microcosmo galleggiante che naviga tra il familiare e l'ignoto, tra la provincia e la grande città. A bordo, con loro, convivono il burbero e saggio Père Jules, marinaio filosofo e collezionista di oggetti eccentrici provenienti da ogni dove, e un giovane mozzo, figura quasi angelica e innocente. A causa della monotonia della vita di bordo e della routine del fiume, unita alla gelosia di Jean e al richiamo della vita mondana di Parigi, la donna si stacca progressivamente dall’uomo fino a tornare alla vita barocca della capitale. Il loro distacco, lungi dall'essere definitivo, diventa una prova, un catalizzatore per la scoperta del profondo legame che li unisce. Ritroverà l’uomo anni dopo e capirà di non essersi mai separata da lui, in una riaffermazione di un amore che trascende la presenza fisica.
Un’opera complessa e affascinante, resa celebre in Italia anche dalla sigla di Fuori Orario di Ghezzi e Giusti, dove viene riproposta la sequenza subacquea in cui Juliette si tuffa, un vero e proprio biglietto da visita visivo per generazioni di cinefili. Splendida la fotografia, velata da una sfumatura di surrealismo e sempre con una sorta di sospensione temporale al culmine dell’inquadratura. Il direttore della fotografia Boris Kaufman, fratello del celebre Dziga Vertov, con inquadrature suggestive e poetiche, contribuisce a creare un'atmosfera screziata di lirismo, un realismo poetico ante litteram che mescola la grana della quotidianità con l'incanto del sogno. Le interpretazioni di Dita Parlo e Jean Dasté, intense e naturali, danno vita a due personaggi indimenticabili, due amanti persi in un amore panteistico che divora ogni cosa, persino il Tempo, quasi come se la loro unione fosse una forza primordiale della natura stessa. L'amore tra Juliette e Jean è presentato come un concetto totalizzante, che pervade ogni aspetto della loro vita e del film stesso. Vigo ci mostra un amore passionale, viscerale, che travolge i protagonisti e li spinge a superare ogni tipo di barriera. persino quando si allontanano il loro amore si rafforza e si allunga nel tempo e nello spazio, dimostrando la sua resilienza e la sua natura indissolubile.
Vigo, come detto ispirò profondamente molti registi con questo film, che divenne un faro per il cinema d'autore. La sua influenza si manifesta non solo nelle tematiche, ma anche nell'approccio alla regia, nel rifiuto delle convenzioni narrative e nella ricerca di una verità emotiva al di là della logica. In "Hiroshima mon amour" (1959) di Resnais l'amore tra i due protagonisti, come ne L'Atalante, è legato a un viaggio, in questo caso un viaggio nella memoria e nel trauma, dove l'intimità si svela attraverso flashback e monologhi interiori, un debito palese con la capacità di Vigo di esplorare la psiche profonda. In "Pierrot le fou" (1965) di Jean-Luc Godard l'amore è un viaggio, una fuga dalla società e dalle convenzioni, sulla falsariga della storia tra Jean e Juliette, ma con l'aggiunta del nichilismo e della disillusione tipici della sua epoca. L'irrequietezza dei personaggi di Godard trova una radice nella ricerca di libertà dei protagonisti di Vigo. In "Jules et Jim" (1962) di Truffaut l'amore è una forza che unisce e separa, che crea legami profondi ma anche conflitti e tensioni; anche qui si intravede la lezione di Vigo nella narrazione di Truffaut, nella capacità di ritrarre la complessità delle relazioni umane con leggerezza e profondità. E la lista potrebbe continuare ad libitum, includendo forse anche le derive del neorealismo italiano nella sua attenzione per il quotidiano, o persino certo cinema americano indipendente per l'empatia verso personaggi marginali. La cosa fondamentale è tener presente quanto questo giovane e sfortunato regista influenzò e ispirò con una sola opera la genesi artistica di tanti cineasti, e per questo suo singolare e fulminante contributo, è un fatto di cui essergli immensamente grati.
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