L'esercito delle 12 Scimmie
1995
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Regista
Quando Chris Marker nel 1962 scrisse La jetée creò una storia che avrebbe influenzato decine di cineasti che avrebbero avuto con quel piccolo grande film un debito di riconoscenza. La sua audace scelta di narrare interamente attraverso una successione di fotografie fisse, intervallate da un'unica, straziante, breve ripresa in movimento, conferì all'opera una qualità quasi onirica, un'indistinguibile fusione tra memoria e premonizione. Era un saggio sulla ciclicità del tempo, sulla fatalità del destino e sulla natura elusiva della percezione, capace di imprimere nella mente dello spettatore una traccia indelebile, più potente di molti film tradizionali.
Uno di questi cineasti è sicuramente Terry Gilliam che, affascinato dalla storia di Marker, e dal modo in cui la raccontò, decise dopo oltre trent’anni di realizzare una sorta di remake, o per meglio dire una riduzione cinematografica visto che l’opera di Marker era realizzata interamente senza girato, ma con una tecnica di fotografie in successione. Gilliam, maestro indiscusso del caos ordinato e dell'immaginazione debordante, non si limitò a trasporre la trama: egli ne colse l'essenza più profonda, quella malinconica meditazione sulla predestinazione e sulla fragilità della psiche umana, filtrandola attraverso la lente distorta e magniloquente del suo universo visivo.
Per farlo Gilliam si affidò naturalmente all’autore della storia originale, Chris Marker, che curò la sceneggiatura del film in collaborazione con David e Janet Peoples. Questo sodalizio creativo è la chiave della riuscita del film, garantendo una fedeltà allo spirito originario pur permettendo a Gilliam di infondere la sua distintiva visione barocca.
Ne uscì un film apocalittico e visionario che si riaggancia alle atmosfere surreali e oniriche di Brazil per filtrarle attraverso la filigrana della distopia. La connessione con Brazil non è puramente stilistica; Gilliam, infatti, è un artista ossessionato dal labirinto burocratico, dalla follia che pervade i sistemi e dall'eroe solitario che lotta contro un destino ineluttabile. Le sue ambientazioni sono sempre intrisi di decadenza e oppressione, e anche qui la sua mano è evidente nella creazione di un futuro sporco, funzionale, ma privo di ogni barlume di speranza, dove il controllo scientifico si sostituisce a quello politico, ma con esiti ugualmente disumanizzanti.
Nel 2035 la razza umana è rintanata nel sottosuolo dopo che un virus ne ha spazzato via il 99%. Il mondo di superficie è stato riconquistato dalla natura selvaggia e da animali fuggiti dagli zoo, un'immagine vivida che evoca la potenza della natura di fronte all'insignificanza della civiltà umana.
La nuova società formatasi nei rifugi sotterranei è retta da scienziati che studiano il modo di debellare il virus per poter risalire in superficie. In questa claustrofobica visione del futuro, la tecnologia è diventata un mezzo di pura sopravvivenza, priva di estetica o comfort, dominata da cavi aggrovigliati e macchinari rumorosi, un manifesto dell'anti-utopia gilliamesca.
Per farlo inviano i detenuti a raccogliere campioni protetti da tute anti contagio. Il tema della condanna e del sacrificio è qui evidente: gli ultimi barlumi di speranza vengono affidati a coloro che la società ha già scartato, in un cinismo pragmatico che definisce la nuova moralità.
Uno di questi detenuti viene inviato nel passato per risalire alla causa che ha dato origine a tanta devastazione. James Cole viene così rispedito nel 1990 con un unico indizio, trovare chi o cosa rappresenti l’Esercito delle 12 scimmie, organizzazione che sembra collegata alla diffusione del virus letale.
Cole inizierà ad indagare frastornato dal salto temporale e dal cambiamento ambientale che il suo corpo deve subire. La sua odissea è un tormento psichico, un viaggio non solo nel tempo ma nella progressiva disintegrazione della sua stessa percezione della realtà. La linea di demarcazione tra missione e follia si fa sempre più labile, trasformando la sua indagine in una sorta di incubo lucido, dove i ricordi del futuro e i fantasmi del passato si mescolano in un indistinto flusso di coscienza.
Troverà in una psicologa un alleato per risalire ai responsabili mentre la sua indagine lo condurrà in un istituto psichiatrico. Qui, la performance istrionica e febbrile di Brad Pitt nei panni di Jeffrey Goines, un paziente schizofrenico e figlio di un celebre virologo, si erge come un faro di caos e ambiguità, valendogli una nomination all'Oscar. Pitt incarna perfettamente la natura disorientante della trama, suggerendo con la sua energia maniacale che la follia potrebbe essere l'unica risposta sensata a un mondo impazzito. La dottoressa Railly, interpretata da Madeleine Stowe, diventa il suo specchio, la sua ancora di salvezza e, paradossalmente, la chiave per comprendere la tragica ciclicità del destino.
Film assolutamente affascinante nelle ricostruzioni di un mondo devastato da inquinamento e tensioni sociali. Gilliam, da vero demiurgo visivo, immerge lo spettatore in un'estetica della rovina: le città future sono un dedalo sotterraneo di tubi e cavi, claustrofobico e inospitale, mentre le epoche passate sono permeate da un senso di disordine caotico, premonizione della catastrofe imminente.
Ci sono molti elementi che fanno di quest’opera un superbo affresco della fantascienza moderna: il tema della distopia, quello dei viaggi nel tempo, poi sicuramente l’aspetto mystery con il puzzle della paternità del virus da ricomporre, la scansione psicologica del protagonista che vede il suo passato tornare in una sorta di flusso di coscienza onirico. La vertigine del tempo, in L'esercito delle 12 scimmie, non è solo un espediente narrativo, ma il fulcro di una riflessione più profonda sulla predestinazione e sul libero arbitrio. Cole è intrappolato in un loop temporale, un ouroboros visivo e narrativo, dove ogni tentativo di alterare il passato finisce solo per consolidare gli eventi che ha cercato di prevenire. La questione non è se il futuro possa essere cambiato, ma se l'uomo sia in grado di sfuggire al suo stesso destino, un interrogativo che risuona con il determinismo filosofico di pensatori come Nietzsche o lo stesso Eco. Questo rende il film non solo un'opera di genere, ma un'intensa tragedia esistenziale, in cui la memoria, la follia e la preveggenza si fondono in un'unica, ineluttabile visione.
Una narrazione fervida e rigogliosa nata dal seme lanciato da Chris Marker e fatto germogliare dal talento visionario di Terry Gilliam, il quale, con L'esercito delle 12 scimmie, ha offerto al pubblico non solo un capolavoro di fantascienza, ma un'acuta indagine sulla psiche umana e sulla natura labirintica del tempo. Un film che continua a risuonare, oggi più che mai, con le nostre paure collettive e con l'eterna domanda sul controllo che abbiamo sul nostro futuro.
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