Movie Canon

The Ultimate Movie Ranking

Lettera da una Sconosciuta

1948

Vota questo film

Media: 5.00 / 5

(1 voti)

Un’opera straordinariamente decadente, affascinante nella sua ossessiva ricerca di un profilo femminile in ogni sua più sottile sfaccettatura psicologica. Il termine "decadente" qui non è un mero aggettivo, ma una chiave di volta per comprendere l'atmosfera soffocante e sublime che pervade l'intera pellicola. È una decadenza che si annida negli sfarzosi ma malinconici saloni della Vienna fin-de-siècle, un'epoca di profonde trasformazioni sociali e psicologiche, dove le pulsioni dell'inconscio cominciavano a manifestarsi sulla scena culturale, tra valzer e inquietudini freudiane. Questa ricerca quasi forense dell'animo femminile, con la sua inesorabile indagine sulle pieghe più recondite del desiderio e del tormento, eleva il film a una disamina quasi psicanalitica della passione irrisolta, un tema ricorrente nella filmografia di Ophüls e nel contesto intellettuale del suo tempo.

Max Ophüls si dimostra cineasta di grandissima caratura, un maestro della macchina da presa che, con la sua inconfondibile eleganza fluida, ricava da un grande romanzo di Stefan Zweig un prototipo di donna vinta dal suo stesso amore. Il trapianto dall'asciutta ma vibrante prosa di Zweig alla lussureggiante messa in scena di Ophüls non è una mera trasposizione, ma una vera e propria reinvenzione. Il regista, esule europeo a Hollywood, infonde nella narrazione una sensibilità tutta continentale, un senso del destino ineluttabile e della fragilità dei legami umani che trascende il tipico melodramma americano. Zweig, con la sua maestria nel dissezionare l'anima umana e l'ossessione, trova in Ophüls un interprete visivo capace di rendere tangibile l'invisibile, di trasformare l'epistola in un fiume di coscienza filmato. La figura di Lisa Berndle, la donna "vinta dal suo stesso amore", diventa così un archetipo tragico, una Cassandra moderna la cui profezia – il suo amore incondizionato – si avvera nella sua stessa distruzione.

La storia inizia con un pianista, Stefan Brand, che nella Vienna di inizio ‘900 riceve, alla vigilia di un duello fatale, una lettera da una donna sconosciuta. Questo espediente narrativo, quello della lettera postuma, non è solo un meccanismo per innescare il flashback, ma diventa esso stesso un personaggio, un catalizzatore di memoria e di rimpianto. Attraverso la lettura della lettera si rivive in flashback l’amore che questa donna, Lisa, nell’ombra e nel silenzio di un'adorazione quasi religiosa, ha nutrito per l’uomo. La Vienna che ci viene presentata non è solo uno sfondo pittoresco, ma un organismo pulsante di convenzioni sociali, di illusioni borghesi e di un'estetica opulenta che contrasta con la solitudine interiore della protagonista. La lettera, scritta in un momento di estrema disperazione, è il suo ultimo grido, la sua confessione finale, un tentativo disperato di essere vista, conosciuta, amata, anche solo per un istante, prima che il sipario cali definitivamente sulla sua esistenza. È un palinsesto di passione, sacrificio e invisibilità.

Una passione non solo morbosa ma quasi mistica, che ha caratterizzato l'intera vita della donna: da vicina di casa bambina e sognatrice che idolatra il giovane musicista, a donna matura che non esita a lasciare marito e figli, infrangendo ogni convenzione sociale, pur di raggiungere l'oggetto del suo desiderio, un uomo che, in fin dei conti, rimane per lei un'idealizzazione, un'immagine sfuggente. La performance di Joan Fontaine nei panni di Lisa è un capolavoro di contenimento e al contempo di bruciante intensità; i suoi sguardi, i suoi gesti, le sue lacrime non dette, costruiscono un personaggio di straziante purezza e vulnerabilità. La sua devozione trascende la mera attrazione fisica per elevarsi a una forma di fede cieca, una condanna auto-imposta che la isola dal mondo reale, facendola vivere in un'eterna bolla di amore non corrisposto. Il suo è un amore senza ritorno, che si nutre di sé stesso e si consuma nella propria immanente bellezza tragica.

Finita la lettura, il pianista, il cui volto si contrae in un'amara epifania, dovrà recarsi ad un duello, sfidato proprio dal marito della donna. Questo duello non è un mero evento climatico, ma un simbolo potentissimo del destino che incombe e del prezzo da pagare per le passioni indomite. Il richiamo all'onore maschile di fronte all'onta del tradimento chiude il cerchio di una tragedia annunciata, in cui l'innocenza calpestata e l'amore cieco si scontrano con le rigide leggi di un mondo che non perdona deviazioni dalla norma. Il gesto finale di Stefan, che si lascia uccidere piuttosto che uccidere il marito di Lisa, è un tardivo, e per certi versi insufficiente, tributo alla donna che ha amato e dimenticato, un atto di redenzione in extremis che conferisce alla narrazione una profondità quasi classica, da tragedia greca, dove il fato si manifesta attraverso le azioni umane e le loro inevitabili conseguenze.

È un film di straordinaria modernità, una pietra miliare che, lungi dall'essere un semplice melodramma dell'epoca, si erge come uno studio psicologico di rara finezza. Il suo "lavoro psicologico" è teso a decifrare passioni tenebrose, a farle trasparire in filigrana, non con spiegazioni didascaliche, ma attraverso l'allusione, il non detto, il potere evocativo delle immagini. Ophüls, con una sensibilità quasi proustiana, indaga i meandri della memoria e l'impatto del passato sul presente. La sua "rivoluzionaria" scansione del tempo scenico è l'elemento forse più distintivo: l'uso sapiente del flashback non è mai affaticante, ma del tutto funzionale alla narrazione, come un valzer ininterrotto che danza tra passato e presente. La macchina da presa di Ophüls, quasi un'entità autonoma, segue i personaggi attraverso stanze e corridoi, in un moto perpetuo che riflette il flusso ininterrotto della memoria di Lisa. Non si tratta di semplici tagli temporali, ma di vere e proprie immersioni nel subconscio, dove gli spazi e i tempi si dilatano e si contraggono in base all'intensità emotiva. Questo virtuosismo tecnico, questa fluidità onirica, conferisce al film un'aura di ipnotica bellezza, rendendo la storia non solo un racconto d'amore, ma un'esplorazione filosofica sulla natura del ricordo, dell'illusione e del desiderio. È un film che si posiziona agli antipodi del realismo, abbracciando una dimensione squisitamente emotiva e stilistica, che influenzerà generazioni di registi, da Scorsese a Wong Kar-wai, per la sua capacità di trasformare il dolore in sublime arte visiva.

Un’opera memorabile che, nella sua struggente disamina dell'amore come condanna e salvezza, aprì nuove e feconde prospettive sul racconto cinematografico della soggettività femminile e sull'uso del tempo narrativo, consolidando Ophüls come uno dei più grandi stilisti e psicologi della storia del cinema. La sua influenza si avverte non solo nel melodramma, ma in ogni film che osi esplorare le intricate dinamiche del cuore umano con la stessa eleganza e profondità.

Galleria

Immagine della galleria 1
Immagine della galleria 2
Immagine della galleria 3
Immagine della galleria 4

Commenti

Loading comments...