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L'Infernale Quinlan

1958

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Il poliziotto messicano Mike Vargas è in luna di miele con la sua mogliettina statunitense in una città di confine. Si troverà invischiato in un fattaccio locale e dovrà testimoniare contro Grande, un narcotrafficante del posto. Sarà affiancato nelle indagini da Hank Quinlan, laido, losco e ambiguo detective.

Meraviglioso il piano sequenza iniziale dell’auto (una splendida Chrysler New Yorker decappottabile del ’56) cui è stata appena inserita una bomba che gira per le strade della cittadina in un crescendo di tensione, mentre in sottofondo, oltre la colonna sonora, si percepisce un ticchettio. Questa sequenza, un vero tour de force cinematografico, non è solo un virtuosismo tecnico destinato a lasciare a bocca aperta, ma un prologo narrativo che condensa in pochi minuti i temi portanti dell'intera opera: la suspense incalzante, la moralità ambigua di una zona di confine dove legalità e criminalità si fondono, e l'imminenza di una catastrofe incombente sulla banalità del quotidiano. Welles, con la sua inconfondibile maestria registica, orchestra un balletto di corpi e automobili attraverso vicoli e piazze brulicanti, immergendo lo spettatore in un ambiente claustrofobico e anarchico, un crocevia di culture e malaffare che fa da presagio al disfacimento morale che seguirà. È un manifesto del suo genio, un'affermazione del cinema come arte capace di trascendere il racconto per farsi pura esperienza sensoriale, influenzando generazioni di registi, da Robert Altman a Martin Scorsese, nella loro ricerca del piano sequenza significativo.

Orson Welles ci offre un’altra opera degna di essere assaporata lentamente, come un aroma che non deve essere dilapidato troppo in fretta dal palato. "L'Infernale Quinlan" (Touch of Evil) non è solo un noir, ma un'esplorazione abissale della corruzione, dell'ossessione e del crollo dell'integrità. La sua narrazione, intrisa di chiaroscuri visivi e morali, ci conduce in un labirinto dove la giustizia è un concetto elastico e la verità si contorce fino a diventare irriconoscibile. Il film è un perfetto esempio del tardo noir, dove gli archetipi del genere sono spinti al limite, sfocando le linee tra eroe e antieroe, vittima e carnefice.

Il personaggio di Quinlan è talmente controverso e diabolico da risultare di ardua lettura. Probabilmente era proprio l’intento originario di Welles. Per analizzare lo spessore psicologico di Quinlan bisogna guardarlo sotto un’altra luce probabilmente. Welles stesso, massiccio e deforme dietro il trucco e l'imbottitura, si trasforma fisicamente per incarnare la putrefazione morale del suo personaggio. Quinlan non è semplicemente un cattivo; è una figura shakesperiana, un colosso di un'epoca passata, consumato dalla propria hybris e da una distorta concezione di giustizia che lo ha condotto a manipolare la legge per anni. La sua lealtà, pur se cieca e malata, verso il suo braccio destro Menzies (interpretato con straziante devozione da Joseph Calleia), rivela un barlume di umanità contorta, ma è un'umanità che si nutre di menzogne e violenza.

Consideriamo questo: gran parte della filmografia di Welles contiene elementi autobiografici, ed i personaggi che ha scelto per le sue storie (Kane, Macbeth, Othello) erano giganti distrutti dalla superbia, uomini accecati dal proprio io proprio come Welles che in varie interviste ha confessato questa sua debolezza. Consideriamo ora Quinlan, un vecchio leone cinico e ferito che cerca di orchestrare questo scenario come un regista, assegnando dialoghi e ruoli ai protagonisti, proprio come farebbe Welles. Quinlan sta decadendo dopo anni di abusi e sregolatezza e il suo ego lo conduce nei guai.

C’è una risonanza tra il carattere di Welles e Quinlan? La storia della carriera di Welles ci racconta di progetti incompiuti e film alterati dopo che lui li aveva lasciati. In una certa misura, i suoi personaggi riflettono i suoi sentimenti e le sue prospettive, e “Touch of Evil” non fa eccezione. Quinlan è Welles in declino, o viceversa. Questa identificazione diviene ancor più toccante e dolorosa se si considera la travagliata produzione del film. Universal Pictures, insoddisfatta del suo primo montaggio, tolse a Welles il controllo finale, riconsegnando il film a un'altra équipe che lo rimontò, aggiunse scene e modificò la colonna sonora. Welles rispose con un leggendario "memo" di 58 pagine, un'epistola appassionata e dettagliata che spiegava la sua visione e le modifiche necessarie. Questo documento è diventato la bibbia per la rinomata "versione restaurata" del 1998, curata da Walter Murch, che tentò di ripristinare il film più vicino possibile alle intenzioni originali di Welles. La vicenda produttiva di "Touch of Evil" non è dunque solo un aneddoto, ma un parallelo drammatico e speculare al destino di Quinlan: entrambi, il regista e il suo personaggio, sono giganti che perdono il controllo della propria opera e della propria vita, vittime di forze esterne e interne che ne decretano una sorta di violenta castrazione artistica o morale.

Un elemento che aggiunge fascino ad un film che rimane un caposaldo del genere noir, non solo per la sua estetica avanguardistica e la sua atmosfera soffocante, ma anche per la profondità psicologica con cui esplora le zone d'ombra dell'anima umana. "Touch of Evil" è un'esperienza sensoriale e intellettuale, un testamento del genio di Orson Welles e della sua capacità di trasformare un B-movie in un'opera d'arte senza tempo, la cui risonanza e complessità crescono ad ogni nuova visione, come un eco di una verità scomoda che non smette mai di tormentarci.

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