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L'Ombra del Dubbio

1943

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Hitchcock nel suo elemento si muove con l’agilità sorniona di un gatto, un felino intellettuale che sorveglia la sua preda, calcolando ogni balzo con chirurgica precisione. E in questo film, ritenuto da molti, incluso lo stesso maestro, uno dei suoi capolavori più personali e compiuti, può liberare tutto il suo estro creativo nel far balenare l’ambigua identità del protagonista come in un paesaggio nebbioso quando a fatica distinguiamo chi ci viene incontro mentre quella figura si ritaglia una traballante realtà dal baluginare della nebbia. Questa metafora visiva e morale è centrale: il velo della nebbia non è solo atmosferico, ma psicologico, celando le torbide profondità che si annidano sotto la superficie apparentemente limpida della provincia americana.

La storia è incentrata sul personaggio di Zio Charlie, un affascinante parente che spezza la grigia monotonia di una famiglia americana, i Newton, residenti nell'idilliaca, eppure fatalmente vulnerabile, cittadina di Santa Rosa. Santa Rosa non è un semplice sfondo, ma un personaggio a sé stante, emblema della rassicurante e un po' claustrofobica normalità che Hitchcock si diverte a disintegrare. L'arrivo di Charlie Oakley, elegantemente mondano e pericolosamente carismatico, è un'irruzione del caos urbano e della corruzione morale in un eden borghese, un microcosmo di quieta disperazione e sogni infranti, dove l'unica vera emozione è l'attesa di qualcosa che accada, per quanto destabilizzante possa essere.

La nipotina di Charlie, l'adolescente Charlie Newton, che porta lo stesso nome del suo zio e idolo, resta ammaliata dai suoi racconti mondani e dalla sua aura di sofisticazione. Lei stessa è insofferente alla stagnazione della sua vita, e vede nello zio una fuga, un riflesso delle sue aspirazioni. Ma piano si insinua nella ragazza la convinzione che l’uomo non sia chi dica di essere, un sentore dapprima impercettibile, poi un'inquietante e crescente certezza. Un nuovo inquietante quadro prenderà gradualmente corpo sino a diventare un puntello ineludibile nella sua mente, trasformando l'ammirazione in orrore, l'innocenza in una consapevolezza agghiacciante. È il viaggio di un'anima che perde la sua purezza, costretta a confrontarsi con la dualità intrinseca della natura umana, una metamorfosi che la lega indissolubilmente al destino del suo omonimo. Il loro legame è uno specchio oscuro, un motivo ricorrente nell'opera hitchcockiana, dove la condivisione di un nome si traduce in una coesistenza simbolica tra il bene e il male, come in un perverso rito di iniziazione.

Magistrale Joseph Cotten nell’impersonare Charlie. La sua performance è un tour de force di ambiguità calcolata. Grazie ad una innata sensibilità e a un fascino sottile, riesce infatti a lasciarne intatta l’ambiguità maliziosa che Hitchcock contribuisce ad alimentare in ogni piano sequenza. Cotten non è un villain plateale, ma un predatore silenzioso, la cui minaccia si manifesta nel sorriso affabile e nelle parole misurate, come nel celebre e disturbante monologo in cui vomita il suo disprezzo per l'umanità, definendola "bestie grasse e ingorde". Il regista, con la sua ineguagliabile maestria visiva, utilizza primi piani rivelatori, illuminazioni sapienti e una composizione delle inquadrature che enfatizza la dicotomia tra l'apparenza e la terrificante realtà del personaggio, intrappolando lo spettatore nella stessa rete di incertezza e paura in cui si dibatte la giovane Charlie. La macchina da presa si muove come un occhio onnisciente, penetrando la facciata domestica per rivelare l'orrore latente.

Un classico psicodrama in cui avvince la metamorfosi mentale connaturata al dipanarsi della narrazione. Questo film, che Alfred Hitchcock stesso considerava il suo preferito per la sua plausibilità e profondità psicologica, è un esempio sublime del suo cinema "puro". La suspense non deriva tanto da colpi di scena esterni, quanto dalla graduale scoperta di una verità terrificante e dal peso psicologico che essa impone. È un'esplorazione penetrante del tema del "trasferimento di colpa", una costante nel repertorio di Hitchcock, dove l'innocente si trova gravato da un fardello morale che non gli appartiene, ma che è costretto a portare per proteggere la facciata della sua famiglia e della sua comunità.

Realizzato nel 1943, in piena Seconda Guerra Mondiale, "L'Ombra del Dubbio" riflette anche un'inquietudine più profonda nella psiche americana, suggerendo che il male non è sempre un'entità esterna o esotica, ma può annidarsi nel cuore stesso della normalità borghese, minando le fondamenta del sogno americano dall'interno. Questa disillusione, presentata con una narrazione quasi documentaristica per l'epoca (anche grazie al contributo alla sceneggiatura di Thornton Wilder, noto per la sua acuta osservazione della vita americana), conferisce al film una risonanza che travalica il genere del thriller. La sua influenza è palpabile in opere successive che esplorano la dualità e l'ipocrisia della provincia, da "Velluto Blu" di David Lynch a molteplici noir urbani e suburbani. La conclusione ambigua, dove il segreto viene mantenuto e il male, in un certo senso, non viene pienamente estirpato ma riassorbito dal tessuto sociale, lascia lo spettatore con un senso di profonda, inquietante ambiguità morale, rendendo "L'Ombra del Dubbio" non solo un capolavoro di suspense, ma un'intramontabile meditazione sull'oscurità che si cela dietro le maschere della quotidianità.

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