
Madre e Figlio
1997
Vota questo film
Media: 5.00 / 5
(1 voti)
Regista
Un delicato ritratto in bilico tra intimismo e impressionismo che si avvale di due unici attori. In questa scelta di essenzialità risiede la prima, folgorante intuizione di Alexander Sokurov: deprivare la narrazione di ogni superfluo per elevare l'esperienza a pura contemplazione. Non una pièce teatrale, né un semplice studio di personaggi, quanto piuttosto una sinfonia visiva dove il campo lungo e il primissimo piano si fondono in un respiro unico, pulsante di vita e imminente fine. L'impressionismo si manifesta non solo nelle pennellate di luce e colore che scolpiscono l'ambiente, ma anche nella resa soggettiva delle percezioni, nel modo in cui il mondo esterno si riflette e si deforma nell'animo dei protagonisti, quasi come le tele di Monet in cui la realtà è filtrata dall'emozione e dalla luce cangiante.
Un piccolo congegno iconico che fa brillare nella cremagliera dei suoi meccanismi un lungo addio tra madre e figlio senza per questo coinvolgere imbragature etiche ma connotando la storia con vividezza espressionista e sensibilità romantica. Il "congegno iconico" è qui la struttura stessa del film: un'ode al transitorio, un rito di passaggio catturato con una reverenza quasi sacra. L'assenza di "imbragature etiche" è liberatoria; non c'è giudizio, non c'è dramma convenzionale, solo l'osservazione pura di un legame che si distende verso l'ultimo confine. La vividezza espressionista non si traduce in urla o gesti concitati, ma in un'intensità emotiva distillata, manifestata attraverso la deformazione della prospettiva, l'uso di filtri che alterano la percezione cromatica, le atmosfere surreali che ricordano le visioni distorte di un Munch o l'angoscia silenziosa di un quadro di Otto Dix. È un espressionismo dell'anima, non del corpo, che si fonde con una sensibilità romantica degna dei grandi poeti del XIX secolo, dove la natura diventa specchio e complice dei sentimenti più profondi.
La storia è ambientata in uno sperduto villaggio russo dove un figlio rimane al capezzale della madre morente e ne accudisce amorevolmente gli ultimi istanti con una conversazione implicita, sussurrata, impregnata di ricordi e musiche rarefatte. Questa ambientazione non è casuale: la Russia profonda di Sokurov è un luogo fuori dal tempo, quasi mitologico, dove la modernità non ha ancora corrotto il legame primordiale tra uomo e terra. L'isolamento geografico amplifica l'intimità claustrofobica ma al contempo espansiva del loro rapporto. La "conversazione implicita" è forse l'aspetto più toccante: non servono parole quando ogni gesto, ogni sguardo, ogni silenzio è carico di un'intera vita di affetto e comprensione. È un dialogo fatto di memorie condivise, di carezze lievi, di respiri all'unisono, accompagnato da una colonna sonora non invadente, quasi un soffio etereo che emerge e svanisce, come le folate di vento tra gli alberi o il fruscio del tempo che passa. Questo minimalismo sonoro è un tratto distintivo di Sokurov, che eleva il suono ambiente a componente essenziale del racconto, conferendo al film una dimensione quasi tattile, sensoriale.
Sullo sfondo i colori autunnali di una natura che avvolge gli amorosi sensi dei due protagonisti sublimandoli in archetipi sovrannaturali. La natura, in "Madre e Figlio", non è un mero fondale, ma un'entità viva e partecipante, quasi un terzo personaggio muto e maestoso. I toni caldi e malinconici dell'autunno – i gialli ocra, i rossi bruciati, i marroni profondi – sono una metafora visiva della fine di un ciclo, ma anche della promessa di un'eterna rinascita. Questo rapporto simbiotico tra uomo e paesaggio è un tema ricorrente nel cinema russo, da Tarkovsky a Zvyagintsev, ma Sokurov lo eleva a un livello trascendentale. Madre e figlio, immersi in questo scenario di ineffabile bellezza e struggente decadenza, si trasfigurano da individui a simboli universali: la vita che si spegne, la devozione filiale, il ciclo inesorabile dell'esistenza. Divengono figure archetipiche, quasi mitologiche, sospese tra il finito e l'infinito, come le figure solitarie nei paesaggi romantici di Caspar David Friedrich, dove la piccolezza dell'essere umano si confronta con la grandezza indifferente e sublime della natura.
La suggestione della campagna è il punto focale di quest’opera, visioni spirituali si alternano a colori cangianti, soffusi, sospesi nella nebbia: boschi e prati in bilico tra ricordo e dolore, tra spirituale natura e fragile condizione umana. Sokurov, con la sua maestria visiva, manipola la luce e l'atmosfera per evocare non solo uno spazio fisico, ma uno stato d'animo, un'esperienza quasi mistica. Le nebbie che avvolgono i boschi, le luci filtrate che danzano tra le foglie, i cieli lividi e infiniti, creano un'atmosfera sospesa, quasi onirica, dove il confine tra realtà e allucinazione, tra il tangibile e l'ultraterreno, si assottiglia fino a svanire. Le "visioni spirituali" non sono apparizioni soprannaturali in senso tradizionale, ma piuttosto un'intuizione profonda della continuità tra vita e morte, tra la materia e lo spirito. È la natura che sussurra segreti ancestrali, che offre conforto nel dolore e che, con la sua perpetua trasformazione, rende meno amara la consapevolezza della fragilità umana. Il film diventa un'esperienza meditativa, un viaggio nell'interiorità più che un racconto lineare. La macchina da presa di Sokurov non si limita a registrare, ma partecipa, con lenti deformanti e prospettive insolite, a creare una sensazione di spaesamento e meraviglia, invitando lo spettatore a guardare oltre la superficie, a sentire il pulsare della vita anche nella sua più tenue manifestazione. È la cifra stilistica di un regista che ha sempre esplorato i confini dell'esistenza umana, dalla monumentale epopea di Arca russa al tormento filosofico di Faust, qui condensata in un'opera di un'intima, disarmante bellezza.
Un’opera di un lirismo mozzafiato, poco più di un’ora per percepire questo film come un balsamo per l’anima, un deja-vu nel tessuto del quotidiano che ci ostiniamo a voler interpretare silenziosamente, con un sorriso appena accennato.. Il suo lirismo non è retorico, ma essenziale, quasi ascetico, come un haiku cinematografico. "Madre e Figlio" è un'esperienza catartica, un "balsamo per l'anima" non perché offra facili risposte, ma perché onora il silenzio, il dolore e la bellezza in un modo così puro da elevare lo spettatore. È il riconoscimento universale della perdita e della tenerezza, il "déjà-vu" di un'esperienza che, pur essendo unica, risuona con il vissuto di ciascuno. Ci invita a fermarci, a osservare, a sentire la gravità e la grazia di momenti che spesso lasciamo scivolare via. L'interpretazione silenziosa, quel "sorriso appena accennato", è il gesto di chi ha compreso la caducità della vita e, pur nella malinconia, trova una profonda accettazione, una serenità che trascende il dolore. È il segno di un film che non chiede lacrime, ma una profonda risonanza, un'eco che continua a vibrare ben oltre i titoli di coda.
Attori Principali
Generi
Galleria




Featured Videos
Trailer Ufficiale
Commenti
Loading comments...