Movie Canon

I 1000 Film da Vedere Prima di Morire

Cupo tramonto

1937

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Uscito nel 1937, all'apice della Grande Depressione, questo film rifiuta ogni forma di compromesso. Non ci sono milionari svitati o gag acrobatiche. C'è solo l'orrore economico della vecchiaia in un mondo che non ha più spazio, né tempo, per i suoi vecchi. È il film più coraggioso, e forse il più crudele, mai prodotto da uno studio system hollywoodiano. È la tragedia che persino Frank Capra non ha mai osato raccontare.

La premessa è un incubo malthusiano. Barkley (Victor Moore, un comico del Vaudeville qui strappato alla sua comfort zone e gettato in una tragedia greca) e Lucy (la sublime Beulah Bondi, che definisce la dignità della sconfitta) perdono la casa pignorata. Hanno cinque figli adulti. Cinque. Eppure, in una riunione di famiglia che è un capolavoro di imbarazzo borghese e calcolo egoistico, nessuno ha "spazio" per entrambi. Sono l'antitesi del King Lear: non c'è un regno da dividere, solo un fastidio da spartire. E così, i due anziani, dopo cinquant'anni di vita condivisa, vengono separati. "Bark" andrà a vivere dalla figlia Cora (lontano); Lucy andrà a New York dal figlio George e dalla nuora Anita. McCarey è troppo intelligente per dipingere i figli come mostri. Sono peggio: sono persone normali. Sono noi. Sono la generazione che ha interiorizzato la logica del "progresso" e ha deciso che i genitori sono un pezzo di arredamento obsoleto, un inconveniente che rovina la lezione di bridge della nuora o occupa il telefono. La loro colpa non è l'odio; è la superficialità.

Se questo film vi sembra familiare, è perché lo è. È il codice sorgente, la matrice genetica da cui Yasujirō Ozu estrarrà, sedici anni dopo, il suo capolavoro zen, Viaggio a Tokyo. Ozu stesso lo ammise. Ma dove Ozu è ellittico, statico, e la sua tragedia è mediata dal tatami e dal mono no aware, McCarey è brutalmente diretto, quasi neorealista prima del tempo. La sua regia è un capolavoro di prossimità. La macchina da presa sente il disagio. Quando Lucy, confinata in una sedia a dondolo nell'angolo del soggiorno, disturba la lezione di bridge di Anita, sentiamo noi la sua inutilità. McCarey la isola nell'inquadratura, un fantasma seduto nel suo stesso funerale. Quando Bark, ospite dalla figlia Nellie, cerca di raccontare le sue vecchie storie a una generazione più giovane e annoiata, sentiamo noi la sua obsolescenza. Il film è una sinfonia di porte chiuse, telefonate interrotte e sguardi di sopportazione. Non c'è violenza fisica, solo la violenza emotiva di chi ti fa sentire che la tua stessa esistenza è un errore di programmazione.

Il film culmina in uno degli atti finali più devastanti della storia del cinema. I figli hanno deciso: la situazione è insostenibile. Lucy andrà in una casa di riposo per anziane signore; Barkley... chissà, forse in California, "dove c'è il sole". I due si incontrano a New York per il loro ultimo addio. E qui, McCarey compie il suo miracolo più crudele. Per quindici minuti, il film smette di essere una tragedia sociale e diventa la commedia romantica che il regista sapeva fare così bene. I due "scappano" dai figli, vanno nell'hotel della loro luna di miele di 50 anni prima. Bevono un drink. Ricordano. L'orchestra suona la loro canzone ("Let Me Call You Sweetheart"). Il direttore d'albergo, in un raro gesto di gentilezza umana in un film che ne è privo, offre loro champagne. Per un breve, lancinante momento, sono di nuovo giovani, sono di nuovo rilevanti, sono di nuovo una coppia. Questa parentesi di felicità ritrovata non è un sollievo; è un giro di vite. Rende la separazione imminente, quella alla stazione ferroviaria, un'amputazione a cui siamo costretti ad assistere.

Cupo Tramonto fu un disastro al botteghino. La Paramount lo odiò e lo seppellì. Il pubblico, che cercava Cary Grant, lo rifiutò. McCarey, che aveva un accordo sui profitti, sacrificò una fortuna per realizzarlo. Eppure, è il suo vero, incontestabile capolavoro. È un film che non offre catarsi. L'immagine finale di Lucy sul treno che si allontana, e di Barkley che le fa cenno dal marciapiede—mentendo, dicendole che la raggiungerà presto, sapendo entrambi che non sarà così—è un'immagine che si conficca nella memoria e non se ne va più. È la verità nuda e cruda sulla vecchiaia, sulla famiglia e sull'economia. Orson Welles disse che "farebbe piangere una pietra". Aveva ragione.

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