I compari
1971
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Regista
I compari (McCabe & Mrs. Miller) è un'elegia funebre per un genere, un sogno febbrile e fangoso che Robert Altman, il maestro della decostruzione anarchica, usa per smontare pezzo per pezzo il Mito della Frontiera. Dimenticate la Monument Valley di John Ford, la sua epica della costruzione della Nazione, la sua chiara dialettica tra deserto e giardino. Qui siamo a Presbyterian Church (un nome che è già una beffa), una cittadina che non "nasce", ma arranca nel fango, un'accozzaglia di assi di legno non finite sotto un cielo perennemente gravido di pioggia o neve. Non ci sono eroi. Non c't la Civiltà contro la Natura Selvaggia. C'è solo un capitalismo goffo, un freddo che penetra le ossa e la colonna sonora anacronistica e perfetta di Leonard Cohen, che canta di estranei e amanti perduti come un fantasma che si aggira sul set.
Esteticamente, il film è un miracolo di alchimia. È l'opera che definisce la collaborazione tra Altman e il direttore della fotografia Vilmos Zsigmond. Girato sotto una pioggia e una neve quasi costanti nella Columbia Britannica (dove la troupe costruì la città man mano che il film procedeva, dandole un senso di precarietà tangibile), Zsigmond, su incoraggiamento di Altman, "flashò" la negativa. Pre-espose la pellicola a una luce diffusa prima di girare, degradando deliberatamente l'immagine. Il risultato non è il Technicolor saturo del Western classico, ma un'immagine desaturata, lattiginosa, quasi un dagherrotipo danneggiato. Non è nostalgia; è patina. È un film che sembra essere stato ritrovato anziché girato. Su questa tela spettrale, Altman compie il suo atto di sovversione più audace: la colonna sonora. Invece di un'epica orchestrale alla Tiomkin, ci sono le nenie folk di Leonard Cohen. È uno straniamento Brechtiano: la voce di Cohen, intrisa di malinconia moderna (il film è del 1971, Cohen è del 1971), ci dice immediatamente che questa non è una rievocazione storica. È un lamento universale sull'isolamento e sulla perdita. "The Stranger Song" non accompagna l'arrivo di McCabe; è l'anima di McCabe.
Al centro di questo fango, ci sono due imprenditori falliti, due sognatori disillusi. John "Pudgy" McCabe (un Warren Beatty che demolisce la sua stessa icona di sex symbol) non è l'eroe silenzioso di Eastwood o il monolite morale di Gary Cooper. È un parolaio, un giocatore d'azzardo di terz'ordine, insicuro, che arriva in città avvolto in una pelliccia troppo grande, borbottando tra sé per darsi coraggio. È l'imprenditore romantico, l'individualista che crede alla sua stessa leggenda (che lui stesso sussurra allo specchio) e che pensa di poter costruire un impero (un bordello) sul nulla. Ma è un dilettante. È l'America del "self-made man" come barzelletta. La sua antitesi, e il vero motore del film, è Constance Miller (una Julie Christie celestiale e terrestre). Lei è la professionista. Arriva su un carretto, con il suo accento Cockney (un altro segno di alterità, di classe operaia importata) e una visione chiara: il sesso non è passione, è un business. È lei che importa le sue ragazze ("colombe"), che progetta il bagno con acqua calda, che impone l'igiene. È la capitalista pragmatica.
La loro relazione non è una storia d'amore; è una negoziazione fallita. Altman, con il suo marchio di fabbrica del dialogo sovrapposto (l'overlapping dialogue), ci fa sentire la loro incapacità di comunicare. Lui cerca in lei una conferma della sua virilità, un amore da frontiera; lei cerca in lui un socio inetto da manipolare, trovando l'unico vero sollievo non nell'interazione umana, ma nei fumi dell'oppio in una fumeria di Chinatown. La loro incapacità di connettersi è la vera tragedia del film. Sono due anime terminalmente sole, circondate dal rumore della comunità—il mormorio costante del saloon, il chiacchiericcio delle prostitute, il suono dei martelli—ma fondamentalmente isolate.
I compari non è un film su una sparatoria; è un film su un'acquisizione ostile. La vera trama, il vero antagonista, non è un pistolero rivale, ma la Compagnia. L'Harrison Shaughnessy Mining Company. È un'entità senza volto, un precursore della Corporation moderna, che arriva non per distruggere Presbyterian Church, ma per assorbirla. Vuole comprare il saloon, il bordello, la miniera, la città. E qui, l'hybris di McCabe raggiunge il suo apice. Lui, l'individualista, crede di poter "giocare" con loro, di poter alzare la posta. Ma il capitalismo corporativo non negozia con l'individualismo; lo elimina. Non c'è un duello leale al tramonto. La Compagnia manda tre sicari—un trio di assassini spietati, tra cui il quasi mitologico Butler (Hugh Millais)—che non sono cattivi romantici, ma agenti di un consiglio di amministrazione. Altman trasforma la conquista del West in una transazione economica finita male. La Frontiera non è stata chiusa dai contadini; è stata chiusa dagli avvocati e dai loro sicari.
Il climax è il capolavoro della sovversione altmaniana. La "resa dei conti" finale non è un'epica. È un disastro patetico. Avviene durante una bufera di neve che trasforma il mondo in un'astrazione bianca e ovattata. McCabe non affronta i suoi nemici; inciampa su di loro. È goffo, spaventato, e la sua "vittoria" (riesce a ucciderli) è sporca, disperata, quasi casuale, culminando in un colpo alla schiena sparato da un ragazzino che voleva solo essere un cowboy. E mentre questo dramma "eroico" si consuma, cosa fa la città? Cosa fa la comunità che McCabe credeva di rappresentare? È da un'altra parte. È tutta radunata per spegnere l'incendio della chiesa (l'altro polo della città, la spiritualità, che brucia mentre il capitalismo si consolida). La comunità, in un classico gesto altmaniano, è troppo occupata a salvare se stessa per accorgersi del sacrificio dell'individuo. La sparatoria, il momento fondativo del genere Western, è ridotta a un fastidio secondario, ignorato da tutti.
E così, il film si chiude su due immagini di isolamento terminale che gelano il sangue. Da un lato, McCabe, ferito a morte, che si trascina e affonda lentamente nella neve, il suo corpo che diventa parte del paesaggio indifferente che non è riuscito a conquistare. Dall'altro, Mrs. Miller, rannicchiata nella fumeria d'oppio, lo sguardo vitreo perso nell'oblio artificiale, cullata dalla sua pipa. Non c'è unione, non c'è catarsi. La comunità (la chiesa) è stata salvata (o forse no, è solo un edificio) e andrà avanti, ma i due individui che hanno cercato, goffamente, di fondarla, sono stati cancellati. I compari è il necrologio definitivo del Sogno Americano, un capolavoro intriso di whisky e malinconia, un film che non si guarda, ma si respira, fino a sentirne il freddo nei polmoni.
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